Tale padre, tale figlio potremmo dire. Non poteva non tornare sui grandi schermi, Duncan Jones, dopo la più che convincente opera prima di "Moon". Il talento visivo e il virtuosismo concreto di Bowie junior si erano rivelate come una delle sorprese più affascinanti della stagione cinematografica del 2009; quel ridimensionamento del genere sci-fi secondo un canone nuovo e inesplorato (inaugurato dall’odissea spaziale kubrickiana) che decide di non aggrapparsi principalmente alla spettacolarità degli effetti speciali e visivi ma che, altresì, è in grado di elaborare una sorta di analisi introspettiva, una profonda disamina psicologica sulle tematiche più misteriose che ruotano attorno all’essere umano. E quale mezzo migliore se non l’ausilio della fantascienza può riuscire a catapultare lo spettatore verso questi territori sconosciuti e inesplicabili?
In questo caso "Source Code" è per molti versi il prolungamento naturale di "Moon". Il successo della pellicola indipendente d’esordio (realizzata con un budget all’osso e con Sam Rockwell a comporre l’unico membro del cast) ha consentito inevitabilmente a Jones di potersi avvalere in questo secondo lavoro di un costo di produzione maggiormente corposo e di un cast di alto livello seppur ristretto (Gyllenhall su tutti). Eppure tra i due film si respira lo stesso messaggio, quella favola utopistica in salsa sci-fi atta a rimarcare la fragilità dell’uomo, che indaga sulla possibilità di un individuo solo che possa cambiare la sua vita e soprattutto quella degli altri. Come in "Moon", "Source Code" affronta il tema dell’identità (Colter Stevens/Sean Fentress) e quello della scienza, sfidando la meccanica quantistica e captando con occhio tanto vigile quanto contorto e confuso la strada dell’evoluzione (il merito del regista è anche quello di saper infondere tra gli spettatori quella sensazione positiva, pur non avendo compreso appieno tutte le dinamiche del film, come ad esempio il finale aperto alla Nolan).
Il thriller a forti tinte giallo-poliziesche è così solo un altro scaltro trucco, lo dimostra il fatto che basterebbero anche solo i primi cinque minuti per individuare il potenziale attentatore; semplicemente perché non è quello che interessa a Jones. Lo sguardo è allora rivolto sulla fantascienza, strumento imprescindibile per combattere le minacce terroristiche e per confrontarsi con se stessi al di fuori del mondo esterno. L’ottima sceneggiatura di Ben Ripley ha la sola pecca di forzare la mano sul fronte melò, con il film che si dilunga un po’ troppo nei minuti finali alla ricerca di una risposta di speranza che forse non convince come il resto della pellicola.
L’impianto narrativo in loop ricorda molto le vicende vissute da Bill Murray (alias Phil Connors) nella commedia "Ricomincio da capo" ma anche altri modelli recenti di fantascienza psicologica come "Apri gli occhi" o "Se mi lasci ti cancello" senza dimenticare la fortunata serie televisiva di "Lost". A differenza del quasi coetaneo Richard Kelly ("Donnie Darko", "The Box") le riflessioni di Duncan Jones non si perdono per strada, non accedono in intellettualismi e filosofismi vari, ma si caratterizzano per la loro cinica concretezza e per la forza interiore delle immagini.
Insomma, "Source Code" conferma più che mai le doti del regista inglese e consegna allo spettatore un ingegnoso modo di infondere fantascienza e interessanti spunti di meditazione. Non resta altro che attendere la prova del nove, magari quella del grande salto.
cast:
Jake Gyllenhaal, Michelle Monaghan, Vera Farmiga, Jeffrey Wright
regia:
Duncan Jones
titolo originale:
Source Code
distribuzione:
01 Distribution
durata:
93'
produzione:
The Mark Gordon Company, Vendome Pictures
sceneggiatura:
Ben Ripley
fotografia:
Don Burgess
scenografie:
Barry Chusid
montaggio:
Paul Hirsch
musiche:
Chris Bacon