Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
6.5/10

È ormai notte e una giovane donna, ripresa in ralenti con un breve carrello in avanti, esce da un aeroporto che si scoprirà poi essere il JFK di New York. Una volta all'esterno, sale in un taxi che la condurrà nel proprio quartiere, quello di Midtown. Dopo qualche attimo di silenzio, tra la donna e il tassista inizia una conversazione che abbraccerà l'intero arco narrativo del film. Raccontato limitandosi alla trama, l'esordio alla regia di Christy Hall potrebbe sembrare banale, mentre "Una notte a New York" (titolo originario: "Daddio") presenta svariati elementi d'interesse.

Nata come testo teatrale, la sua sceneggiatura ha assunto un corpo filmico grazie alla scelta di due interpreti (Dakota Johnson, nel ruolo di Girlie e Sean Penn in quello di Clark) decisamente ispirati, ma soprattutto alla coinvolgente sintassi delle inquadrature. In linea generale, infatti, è quando i personaggi di un dramma sono costretti all'immobilità fisica che emergono più prepotentemente le differenze tra un'opera teatrale e una filmica, proprio grazie al variare nella seconda del senso della distanza tra lo spettatore e gli attori. Così, laddove in un testo teatrale regna incontrastata la parola, in quello filmico entra in gioco la posizione della macchina da presa. Nello specifico, poi, mentre delle qualità attoriali di Sean Penn, il volto inquieto del sogno americano ("Mystic River" di Clint Eastwood, 2003), non abbiamo mai dubitato, è la performance di Dakota Johnson a stupirci positivamente: la sua mimica facciale esprime molte più gradazioni del film che l'ha imposta sul grande schermo ("Cinquanta sfumature di grigio", 2015). Sì, perché fin da subito l'attenzione alle espressioni dei volti dei due protagonisti ci dice che non è un film banale di cui possiamo intuire il finale dopo una quindicina di minuti.

Di pellicole che fondono il Kammerspiel con il road movie ve ne sono parecchie, ma nessuna presenta il gioco di campi e controcampi, di primi piani e dettagli in modo così graduale, sciolto e asciuttamente significativo. Apparentemente, niente potrebbe deporre in favore di una conversazione che vada oltre la quotidiana superficialità dettata dalle circostanze: lui un uomo visibilmente attempato e negli "anta" della saggezza, lei molto più giovane e insicura; lui coi bicipiti in bella mostra e con le dita nodose che tamburellano sul volante, lei con lo smalto inappuntabile che trasuda muta sensualità. Eppure, nel corso del film le distanze inizialmente così incolmabili, grazie all'atmosfera discorsiva quasi ludica, si riducono sensibilmente su un fertile terreno dialogico che fa affiorare vicissitudini e debolezze di entrambi.

Si diceva delle inquadrature: inizialmente, come avviene in tanta cinematografia in cui questi riveste un ruolo marginale, il tassista non viene inquadrato in volto; successivamente, egli ci appare di profilo, mentre lei frontalmente. Di seguito, anche il tassista è inquadrato frontalmente e, a mano a mano che la diffidenza cede il passo alla confidenza, si imbastisce il gioco dei campi/controcampi e, da ultimo, a testimoniare che i protagonisti condividono la medesima temperatura emotiva, compaiono i totali dalla parte anteriore verso quella posteriore del taxi. Il gesto della Johnson che fa scorrere il vetro che la separava da Penn e il gesto di lui che si volta di spalle per continuare la conversazione sono il segno che il tassista è passato da comprimario a personaggio a tutto tondo e che il dialogo imprimerà in loro un'impronta profonda.  

Tutta questa costruzione così ben oliata pone "Una notte a New York" al di sopra di altri film che elevano il conducente al rango di protagonista, come ad esempio ne "One Night on Earth", (titolo italiano: "Taxisti di notte" del 1991). Il film a episodi di Jim Jarmusch, infatti, reitera la figura del tassista reinventandola di volta in volta in contesti differenti, senza darle tuttavia profondità e soprattutto con inquadrature piattamente rigide. Diverso il paragone con "Drive My Car" (2021) di Ryūsuke Hamaguchi il quale, per quanto operi un indubbio scavo sul conducente, lo fa rinunciando comunque a priori all'unità di tempo, scelta che invece, assieme alla fotografia misurata, risulta uno dei fattori immersivi determinanti per lo spettatore del film della Hall. Inevitabile il paragone con Travis, il tassista più celebre della storia del cinema mondiale: il protagonista di "Taxi Driver" (1976) condivide con Clark un senso di consapevole e profonda solitudine, ma mentre il primo la trasforma in un soliloquio finendo per demolire sé stesso, il secondo la reifica riproponendola come argomento di dialogo.

Non a caso è proprio l'apprezzamento fatto alla cliente circa il fatto che non utilizzi il cellulare e non si estranei così da ciò che la circonda a rompere il ghiaccio tra i due. Tutto il discorso sulle app e sul senso di alienazione che discende dal loro utilizzo, tanto sul piano lavorativo quanto su quello più schiettamente sociale, non è altro che la conseguenza di quella premessa, così decisiva sul piano dialogico e così cogente dal punto di vista della sceneggiatura. Tanto che Clark, pur non utilizzando il cellulare, dimostra a Girlie di conoscere di lei molti aspetti di cui la ragazza stessa non è pienamente consapevole, restituendo così alla dimensione dello sguardo interpersonale quella dignità che i cosiddetti social (e i cellulari che li veicolano) gli hanno tolto.

E un film che si sofferma sull'acutezza dello sguardo non poteva non rispettare quest'istanza con una confezione attenta a tutti gli aspetti legati all'inquadratura. Una curiosità sulla divergenza tra il titolo originario e quello della distribuzione italiana: "Daddio" è la deformazione di Daddy, epiteto vezzeggiativo con cui ci si rivolge al padre, o alla persona che ne incarna la figura.


27/12/2024

Cast e credits

cast:
Dakota Johnson, Sean Penn


regia:
Christy Hall


titolo originale:
Daddio


distribuzione:
Lucky Red, Leone Film Group


durata:
141'


produzione:
Hercules Film Fund, TeaTime Pictures, Raindrop Valley, Projected Picture Works, Rhea Films


sceneggiatura:
Christy Hall


fotografia:
Phedon Papamichael


scenografie:
Alyssa Winter


montaggio:
Lisa Zeno Churgin


costumi:
Mirren Gordon-Crozier


musiche:
Dickon Hinchliffe


Trama
Aeroporto JFK di New York. Appena tornata dall'Oklahoma, la trentenne Girlie sale su un taxi il cui conducente, il sessantenne Clark, inizia a dialogare prima su questioni banali, poi sui risvolti intimi e personali dell'esistenza. 
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