Non esistono più neanche i film scandalo di una volta! Nonostante i milioni di copie vendute in tutto il mondo dalla trilogia di E.L. James e la partenza esplosiva al botteghino della versione cinematografica diretta da Sam Taylor-Johnson, "50 sfumature di grigio" era un libro più ridicolo che conturbante, e ora è un film più insignificante che altro. Interessante finché si vuole a livello sociologico per farci capire le infinite vie del successo, ma artisticamente il tutto lascia piuttosto a desiderare.
Sarebbe ingiusto comunque sentire dire stavolta il classico "è sempre meglio il libro", perché forse l'unica cosa che si può concedere alla regista di "Nowhere Boy" e alla sua sceneggiatrice Kelly Marcel (che lo scorso anno si è messa in mostra grazie a "Saving Mr. Banks") è quella di aver evitato le più grossolane ingenuità della fonte letteraria, che, ricordiamolo, era nata come fan fiction ispirata alla saga di "Twilight", e solo in un secondo tempo (e dopo qualche inevitabile anche se evidentemente non sufficiente lavoro di editing) portata nelle librerie (in effetti la storia dietro al caso letterario è più interessante del caso letterario stesso e la Taylor-Johnson e la Marcel sarebbero più indicate a raccontare la storia della James, moglie dello sceneggiatore televisivo Niall Leonard che dopo anni di lavoro anonimo nel campo della produzione trova quasi cinquantenne un successo inatteso e forse insperato). E' vero che anche le campionesse della letteratura erotica del passato, come Erica Jong, Emmanuelle Arsan e Pauline Réage, hanno dovuto affrontare gli strali di una critica spesso moralista e prevenuta, ma nessuna di loro si era però sentita rimproverare di aver scritto una storia erotica giusto per chi l'erotismo non sa cosa sia.
La storia ormai è nota: Anastasia Steele, studentessa in procinto di laurearsi, in occasione di un'intervista incontra il manager giovanissimo e rampantissimo Christian Grey (a soli ventisette anni è a capo di un impero finanziario che tra poco nemmeno i più grandi capitani d'industria!). Soggiogata dal fascino irresistibile (si fa per dire) del giovanotto, intreccia con lui una relazione che è resa subito complicata dalle preferenze sessuali di Grey, virate verso il sado-maso. Lui vorrebbe farle firmare un contratto in cui si specifica che lui è il dominatore e lei la sottomessa, prevedibilmente la ragazza tituba ma qualche amplesso, contratto o no, ci scappa lo stesso. Però, siccome non si può andare avanti così, Anastasia si stufa e decide di andarsene. Grey pare addolorato ma essendo un uomo tutto d'un pezzo (o uno stoccafisso a seconda dei punti di vista) non fa niente per fermarla...tanto poi nel sequel si ritrovano!
Cosa ci dovrebbe essere di così sconvolgente a vedere le vicissitudini di una finta "plain jane" (finta perché la figlia d'arte Dakota Johnson segue il trend arcinoto di scegliere attrici più che carine per personaggi che funzionerebbero solo se dimessi) e del più innocuo dei sex symbol (il modello irlandese Jamie Dornan sarà anche intrigante ed efficace come serial killer nella serie tv "The Fall", ma in questa versione leccata e impalata decisamente no)? Non si pretende da due attori emergenti di reggere il paragone con Kim Basinger e Mickey Rourke ma in queste operazioni è fondamentale la scelta dei protagonisti. Se durante il primo incontro fra Johnson e Dornan lei quasi sviene, lui se non può essere il Richard Gere di "American Gigolo" (vagamente citato all'inizio) poco ci deve mancare! Prima che il film entrasse in produzione, lo scrittore Bret Easton Ellis (che si ventilava potesse occuparsi dell'adattamento) aveva pubblicamente criticato l'ipotesi di un attore dichiaratamente gay come Matt Bomer per il ruolo di Grey; a parte che al giorno d'oggi polemiche sul fatto che interpreti gay non siano credibili in ruoli etero dovrebbero essere superate (e comunque questo spiega i molti attori "in the closet" che continuano a esserci e non solo a Hollywood), dopo avere visto Dornan in azione spiace che l'ipotesi Bomer non si sia mai concretizzata (in effetti fonti ufficiali hanno riportato altri nomi riferendosi agli attori in predicato per il ruolo). Per il resto non si capisce perché regista e riviste più o meno specializzate abbiano scomodato i nomi di Bertolucci, Oshima, Lyne o Kechiche. Qui le cinquanta sfumature di perversione sono più dichiarate che manifeste e le scene erotiche non particolarmente memorabili ma fredde e distanti; oltre tutto le situazioni più potenzialmente forti vengono interrotte subito impedendoti quasi di entrare nella sequenza. Anche la stanza dei giochi, dove la protagonista cede al bondage e a leggerissime scudisciate, farebbe ridere chi conosce il cinema di Jesùs Franco o chi ha visto "Nymphomaniac" e alla fine ce ne è abbastanza per rimpiangere Verhoeven, ma anche Borowczyk, Just Jaeckin e persino Zalman King.
Peccato perché l'idea che un film del genere fosse affidato ad una regista donna sulla carta mi era sembrata interessante, ma purtroppo la Taylor-Johnson non è né Jane Campion né Lynne Ramsay, che avrebbero impresso al tutto un'impronta più personale e naturalmente più singolare e non si sarebbero limitate ad un lavoro leccatino (il cast tecnico è ricco di nomi importanti) e inoffensivo. Ma evidentemente per il pubblico odierno va comunque bene così. Quelli che non si accontentano, speriamo che possano vedere presto in sala "The Duke of Burgundy" di Peter Strickland.
cast:
Dakota Johnson, Jamie Dornan, Eloise Mumford, Jennifer Ehle, Marcia Gay Harden, Victor Rasuk, Luke Grimes, Rita Ora, Max Martini, Dylan Neal
regia:
Sam Taylor-Johnson
titolo originale:
Fifty Shades of Grey
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
125'
produzione:
Focus Features
sceneggiatura:
Kelly Marcel
fotografia:
Seamus McGarvey
scenografie:
David Wasco
montaggio:
Lisa Gunning, Anne V. Coates
costumi:
Mark Bridges
musiche:
Danny Elfman