A parecchi anni dall’esordio dietro la macchina da presa, Riccardo Milani ritorna sul tema della scuola, quasi a continuare il fil rouge interrottosi appunto dopo "Auguri professore" (1997). Se nel primo lungometraggio la scuola di montagna costituiva una parentesi importante del vissuto umano e professionale dell’insegnante precario, straordinariamente interpretato da Silvio Orlando, qui il protagonista Michele, un Antonio Albanese in forma altrettanto smagliante, è invece un docente di ruolo che volontariamente sceglie di lavorare in una sede disagiata. Tanto era dunque disilluso e sfiduciato Vincenzo Lipari, almeno fino all’incontro con l’ex alunna poi collega che fungerà da mentore per la rigenerazione del protagonista del primo film, quanto Michele Cortese è volitivo, innovativo, perfino audace, ma soprattutto empatico e contagioso nel suo indefesso ottimismo nel secondo.
Rispetto a tanta cinematografia italiana sulla scuola, l’abilità di Milani consiste nell’essersi calato in quel mondo con una semplicità ma al contempo un’aderenza alla realtà fattuale (es.: crisi demografica, guerra in Ucraina) tali da collocare il pubblico nel medesimo orizzonte umano e ideale sia di chi tale servizio elargisce (gli insegnanti), sia di chi ne usufruisce (gli alunni). Sotto questo profilo la conclusione del film, che non riveliamo, gioca un ruolo decisivo.
L’intento di Milani, tra l’altro in simbiosi rispetto ai convincimenti personali di Antonio Albanese, sempre più attore-feticcio del regista, è nobile e sincero. Scegliendo infatti un’ambientazione inedita rispetto al trito panorama urbano e suburbano, fatto di scuole immancabilmente definite "di frontiera", come nel caso di "Mery per sempre" (1989), oppure, all’opposto, "borghesi", come per le più recenti "La scuola cattolica" (2021), o "Educazione fisica" (2023), pellicole con le quali veniva contestato il modello del benessere sociale come diretta promanazione dell’efficienza meritocratica e formativa del sistema scolastico, il regista romano vuole da un lato riaffermare il ruolo decisivo dell’insegnante, dall’altro ribadire soprattutto il concetto di scuola come comunità vitale, come centro di una valorialità condivisa che abbatte gli steccati.
Arrivato in uno sperduto centro dell’Abruzzo abbarbicato sulle pendici montane che ospitano l’omonimo Parco Nazionale, l’insegnante sembra avere tutto contro, perfino quella Natura incontaminata in nome della quale ha rinunciato a una cattedra ben più comoda e ambita agli occhi di tanti colleghi. Tanto che è una nevicata a bloccare l’utilitaria sulla quale cerca di raggiungere la nuova sede. Le prime sequenze dedicate al protagonista catapultato nella nuova realtà sono perciò all’insegna dell’ironia e del paradosso, ma perfettamente funzionali a esaltare il carattere di Michele.
Ma "Un mondo a parte" non è molto più di un film ambientalista. L’oggetto del desiderio del protagonista è evitare che la scuola chiuda a causa dei pochissimi iscritti. È per questa ragione che l’arco di trasformazione del protagonista consisterà nel suo progressivo adattamento, nell’accezione più fertile, alle difficoltà. A mano a mano che l’intreccio si dipana ogni distanza tra il nuovo arrivato e gli autoctoni si accorcia fino a svanire. Ecco allora che l’abbigliamento, gli orari, le abitudini da cittadine si fanno montane. Ma è soprattutto sotto l‘aspetto linguistico-espressivo che questo processo è rappresentato al meglio. "La montagna lo fa", si sente dire più e più e più volte, in una saldatura morale che accomuna vecchi e nuovi abitanti del microcosmo appenninico.
La messa in scena è solida ed essenziale, mentre per il rapporto tra il protagonista e i comprimari, e ancor più per l’ambientazione e la non casuale consonanza nel titolo, il film di Milani, più che alla cinematografia nostrana, è accostabile a opere del cinema asiatico, quali "Non uno di meno", di Zhang Yimou (1999), o "Lunana – Il villaggio alla fine del mondo", di Pawo Choyning Dorji (2019). Sensibili, invece, le distanze rispetto al recente "La sala professori" (2023): alle frequentissime inquadrature mosse e ravvicinate che isolano la protagonista del film di Ilker Çatak, "Un mondo a parte" oppone una grammatica di regia che raramente mette in quadro il protagonista in solitaria, preferendo ritrarlo invece prevalentemente insieme agli altri personaggi: è l’accento sulla dimensione comunitaria della piccola scuola di cui si diceva sopra, enfatizzata tra l’altro dalle dimensioni ridotte dell’unica classe (sette alunni!).
"Un mondo a parte" è insomma un film di campi medi, e anche la tentazione di campi lunghissimi autocompiaciuti, ancorché plausibili in un contesto fatto di grandi spazi naturali, viene saggiamente evitata. Insomma, Milani non ha lasciato nulla al caso, confezionando un’opera che, anche dopo "Grazie ragazzi" (2023), conferma la sua innata propensione più per la commedia che per il dramma. Se un appunto può essere mosso al regista romano è quello di averci forse fatto ascoltare qualche ululato di troppo. Su questo punto, tuttavia, confidiamo che vogliate constatare e giudicare di persona.
cast:
Virginia Raffaele, Antonio Albanese
regia:
Riccardo Milani
titolo originale:
Un mondo a parte
distribuzione:
Medusa Film
durata:
113'
produzione:
Wildside
sceneggiatura:
Riccardo Milani, Michele Astori
fotografia:
Saverio Guarna
scenografie:
Marta Maffucci
montaggio:
Patrizia Ceresani, Francesco Renda
costumi:
Alberto Moretti
musiche:
Piernicola Di Muro