Può la violenza nascere dalla rimozione sociale della violenza stessa? Può una società trasformare inconsapevolmente le proprie vittime in aguzzini? La risposta che Stefano Mordini dà a tale interrogativo è più complessa di quanto possa apparentemente sembrare.
I quartieri della Roma bene che egli ritrae sono un mosaico di famiglie molto simili eppure molto diverse tra loro. Simili nello status sociale e nel curato aspetto esteriore, ma soprattutto nel fatto d’esser tutte, irrimediabilmente, infelici. Diverse, proprio nel modo di sperimentare e di rispondere a tale infelicità, nell’esemplificare il motto kareniniano secondo cui: "ogni famiglia infelice è infelice a modo suo".
I loro rampolli, dall’aspetto ben tenuto e dai lineamenti apollinei, frequentano tutti le scuole cattoliche private, non per effettive convinzioni religiose, quanto per un sentire elitario e benpensante, il quale nasconde tuttavia svariati scheletri nell’armadio: un culto della forza e un machismo di eredità fascista che, ignorati da un contesto educativo intento a mantenere una buona immagine di facciata, finiscono per trovare altre, pericolose, valvole di sfogo.
In tale contesto perbenista crescono infatti, tra gli altri, Andrea Ghira, Angelo Izzo e Gianni Guido, i tre giovani tragicamente noti alla cronaca nera italiana per essere stati gli autori del drammatico massacro del Circeo: l’avvenimento che sta, per l’appunto, al centro della narrazione.
Nel tratteggiare un affresco di tale ambiente sociale, Mordini (e prima ancora Edoardo Albinati, l’autore del romanzo da cui l’opera è tratta) ricerca il legame, il rapporto di causa-effetto con i fatti sanguinolenti che ivi ebbero luogo. Egli mostra in che modo un contesto volto a reprimere ogni impulso e a nascondere sotto il tappeto le proprie componenti violente, possa trasformarsi in un terreno di crescita incontrollata per eventuali fenomeni di devianza, che, nascosti dalla luce del sole e dal controllo collettivo, si sviluppano sottotraccia, fino a sfociare in vere e proprie esplosioni di ferocia.
Ma Mordini ritrae un’intera società dolente, in cui l’efferatezza criminale risulta essere solo la più estrema tra le tante modalità del soffrire, tra le quali rientrano le tendenze suicide, le solitudini familiari e la sessualità vissuta come colpa. Rimane però una domanda alla base, che il film non affronta come ci si aspetterebbe e che viene lasciata all’intelligenza dello spettatore: ovvero quale sia, in tutto ciò, il peso della responsabilità del singolo e della morale individuale.
Le debolezze del film emergono però tutte a livello di struttura narrativa e formale. Da questo punto di vista "La scuola cattolica" è costruita come un climax emotivo orientato verso il cruento spannung finale, che gli spettatori già si aspettano e di cui attendono l’esplosione. L’intenzione di realizzare un crescendo drammatico è dimostrata dallo stesso montaggio, che riferisce ogni scena all’evento conclusivo ("una settimana prima", "36 ore prima", ecc.), in un avvicinarsi inesorabile e angosciante al terribile epilogo.
Tuttavia il ritmo risulta incapace di costruire e mantenere la giusta tensione e di coinvolgere lo spettatore in maniera adeguata.
Tutta la prima, consistente, parte della pellicola si perde nella descrizione delle vicende personali di un eccessivo numero di personaggi. Non v’è dunque il tempo per una caratterizzazione profonda di nessuno di essi, tantomeno dei protagonisti. La conseguenza più negativa di tutto ciò è la difficoltà, da parte del pubblico, di provare la giusta dose di empatia e coinvolgimento nelle vicende.
Di conseguenza, lo stesso finale non può essere vissuto con l’adeguata partecipazione emotiva, perché delle vittime e degli aguzzini conosciamo ben poco, tanto che fatichiamo persino a ricordarne i nomi.
Molte delle storie personali trovano solamente lo spazio di un accenno, per poi essere tristemente abbandonate, rese improvvisamente vacue e futili dall’esplosione della violenza. La conclusione risulta così affrettata, ingiustificata, immotivata e dunque indigesta agli occhi dello spettatore, che non ha avuto il tempo per comprenderne le dinamiche.
Le vite dei ragazzi che affollano l’opera non risultano essere "interrotte" dall’esplodere della violenza, ma piuttosto abbandonate da una struttura narrativa che ha terminato lo spazio a disposizione ed è costretta a sacrificare qualche elemento.
Risulta infine doveroso un accenno al divieto imposto ai minori di diciotto anni, che ha trasformato la pellicola in un caso giornalistico prima ancora che cinematografico. Perché "La scuola cattolica" ci parla proprio del pericolo della censura, di come la rimozione degli istinti non porti a una loro eliminazione, ma piuttosto a un loro sviluppo sotterraneo, inconscio, incontrollabile e violento.
Il divieto imposto al film di Mordini dimostra dunque, oltre alla miopia di un’istituzione ormai anacronistica, come questo tentativo paternalistico di rimozione sia, ancora oggi, oltremodo presente.
cast:
Riccardo Scamarcio, Giulio Pranno, Emanuele Maria Di Stefano, Giulio Fochetti, Alessandro Cantalini, Andrea Lintozzi Senneca, Guido Quaglione, Luca Vergoni, Francesco Cavallo, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Benedetta Porcaroli
regia:
Stefano Mordini
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
106'
produzione:
Warner Bros. Entertainment Italia, Picomedia
sceneggiatura:
Massimo Gaudioso, Luca Infascelli, Stefano Mordini
fotografia:
Luigi Martinucci
scenografie:
Paolo Bonfini
montaggio:
Massimo Fiocchi, Michelangelo Garrone
costumi:
Grazia Materia