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recensione di Matteo Zucchi
5.0/10

Ah, il biopic. Amato dall’industria e dagli spettatori di cinema più casual e disprezzato da molta critica per la sua usuale monotonia, questo genere dimostra in realtà di poter produrre spesso pellicole di un qualche interesse, siano essere vere e proprie sorprese o piuttosto stimolanti conferme. A nessuna di queste due categorie appartiene, per chiarire subito la direzione di questa recensione, il film qui in analisi. Questo perché "Tolkien" appare fin da subito un degno e prevedibile successore del filone così ben incentivato da "La teoria del tutto": un setting novecentesco, così da poter sfoggiare un certo talento ricostruttivo senza che questo comporti difficoltà di concezione e realizzazione di mondi troppo altri; un protagonista giovane e ambizioso con cui empatizzare, di solito socialmente poco dotato e caratterizzato da determinate passioni, anzi ossessioni, che ne sottolineano la natura in un qualche modo predestinata; una storia sentimentale (a volte pretestuosa, per ovvie limitazioni del soggetto, come avviene in "The Imitation Game") che ribadisca le difficoltà contestuali nel poter "essere se stessi" in quei mondi vicini eppure lontani e che funga da propellente alle spinte autorealizzative del protagonista perché, come tutti sanno, dietro ogni grande uomo c’è una grande donna; il focus su un lasso di tempo piuttosto ristretto, di solito la prima maturità, per rendere più evidenti i cambiamenti dei personaggi, mantenendo la funzione esplicativa dell’intreccio e ricostruttiva della biografia tramite un corposo ricorso a flashback.

Fin qui le occorrenze narrative e tematiche fondanti, cui vanno aggiunte anche notevoli somiglianze tecnico-estetiche, come il cast rigorosamente più inglese possibile (molto curioso che la maggior parte di queste pellicole sia di produzione totalmente statunitense), l’assunzione di un regista giovane, non esordiente, ma spesso alle prime esperienze con grandi produzioni narrative (non di rado nord-europeo, interessante), l’abuso del montaggio parallelo, la regia pulita, perfettamente classica, composta da primi piani, campi medi e campi lunghi in quest’ordine, a ripetizione, asservita a una sceneggiatura quanto più esplicativa possibile e a una fotografia curata che pare ricercare il calore e la pastosità delle prime fotografie a colori, senza dimenticare i così contemporanei lens flare. Si potrebbe contestare, come già avvenuto in passato, che finora non si è parlato del film di Dome Karukoski ma la realtà è che sommando tutti gli elementi succitati al canovaccio narrativo della vita di John Ronald Reuel Tolkien dal 1904 al 1925 avremmo un ritratto dello scrittore che nulla muta rispetto alla tipologia di pellicola sopra descritta, se non per la fugace immissione di elementi fantastici, a metà strada fra l’allucinazione, la fantasia regressiva verso i giochi d’infanzia e l’uso più o meno cosciente dell’immaginazione per affrontare le difficoltà. L’ignavia dell’intero progetto, che pare illudersi di poter trasporre le vicende che hanno portato Tolkien a maturare una personalità e delle convinzioni non indifferenti senza porvi una prospettiva, non permettere di arguire alcunché e quindi rende questi inserti al più un richiamo all’immaginario tolkieniano così ben eternato da Peter Jackson e, forse, l’ennesima sottolineatura dell’eccezionale fantasia e genialità del letterato.

Come detto sopra la caratterizzazione dello scrittore rientra perfettamente in quelle retoriche dell’eccezionalità che da sempre sono il sangue del genere e che negli ultimi anni risultano paradossalmente rafforzate dall’enfasi, a volte quasi morbosa, sulle sventure e le difficoltà che i poveri eroi devono patire per poter emergere (un rispetto delle funzioni narrative proppiane davvero particolare quando adoperato nella biografia di uno scrittore fantasy), definendoli come dei freak, o meglio ancora dei fool, il cui legame col genio come si sa è imperscrutabile (e forse per questo vi è ben poca voglia di individuarne le matrici e fornirne interpretazioni critiche) e proviene direttamente dal divino. La capacità del futuro padre dell’high fantasy di poter parlare lingue morte con facilità esce dal regno della dedizione e dello studio e si tramuta in un talento da esibire, come una bestia ammaestrata (o un regista che ci ammorba con una selva di piani-sequenza), a riprova della tendenza del biopic contemporaneo a spettacolarizzare ogni tratto dei protagonisti, sposando una certa retorica di personalizzazione che oggi impera, dai new media alla politica. Anche l’abilità degli attori, cui va fatto sicuramente un plauso, in primis al protagonista Nicholas Hoult, viene sfruttata con queste finalità, dalla minuziosa costruzione dello sgomento nei momenti drammatici alla cura nel caratterizzare l’accento di ogni singolo personaggio (ma non mostrando quasi nulla dell’interiorità), producendo la perfetta saldatura fra classico e postmoderno che questo genere è.

Non che siano poche comunque le frecce nella faretra di "Tolkien", considerata la buona qualità fattuale della pellicola, un biopic perfettamente ordinato e perfettamente ordinario, capace di condurre tranquillamente lo spettatore per quasi due ore verso la rassicurante fine (laddove si sarebbe potuto sottolineare molto di più il trauma vissuto dallo scrittore dopo la morte dei suoi più cari amici in guerra), alterando la realtà storica laddove l’invenzione risulterebbe più efficace ma, dati i limiti della pellicola, si rivela solo più banale. Esemplificativo al riguardo è il momento in cui Tolkien e Edith Bratt si riavvicinano, trasformante un evento genuinamente cinematografico in una banale corsa per ritrovarsi prima della partenza di lui per la guerra, a riprova della forte referenzialità della pellicola rispetto al genere. Anche la centralità cronologica attribuita alla guerra, che inizialmente pare un buco nero attraente e minacciante di far scomparire ogni storia e alla fine si rivela il luogo in cui l’immaginazione di Tolkien si sbizzarrisce di più, dando una prospettiva ancora più ambigua sulle fantasticherie dello scrittore e sul conflitto stesso, ribadisce l’ignavia totalizzante del film di Karukoski. Questa non lo rende un’opera malriuscita, quanto piuttosto un’opera nulla, priva di identità, quindi quanto di più sbagliato per un biopic, ancor più per uno su uno scrittore fantasy. Come diceva un tale, il nulla nulleggia. Un cattolico e patriota fino quasi al fanatismo come J.R.R. Tolkien non avrebbe mai potuto accettare un simile nichilismo, tanto più travestito da parabola edificante.


13/09/2019

Cast e credits

cast:
Nicholas Hoult, Tom Glynn-Carney, Patrick Gibson, Anthony Boyle, Laura Donnelly, Owen Teale, Derek Jacobi, Colm Meaney, Mimi Keene, Harry Gilby, Lily Collins, Craig Peters


regia:
Dome Karukoski


distribuzione:
20th Century Fox


durata:
112'


produzione:
Fox Searchlight Pictures, Chernin Entertainment


sceneggiatura:
David Gleeson, Stephen Beresford


fotografia:
Lasse Frank Johannessen


scenografie:
Grant Montgomery


montaggio:
Harri Ylönen


costumi:
Colleen Kelsall


musiche:
Thomas Newman


Trama
La vita del padre dell'high fantasy John Ronald Reuel Tolkien dalla preadolescenza al ritorno dalla guerra e la convivenza con Edith Bratt, con particolare enfasi sugli anni di formazione culturale presso gli amici dell'autocostituito club TCBS e l'inizio della storia d'amore con la futura moglie.