La vicenda umana e storica di Alan Turing è di quelle che lasciano a bocca aperta: agli albori di una brillante e precocissima carriera accademica, viene ingaggiato dai Servizi Segreti inglesi per tentare l'impresa impossibile di decodificare messaggi bellici tedeschi; inventa così la celebre Macchina di Turing, antenata del computer odierno; subisce un processo per omosessualità (reato in Gran Bretagna fino al 1967) e viene condannato alla castrazione chimica; si suicida infine a soli 41 anni con una mela avvelenata. Una di quelle storie che a Hollywood definirebbero, a ragione, bigger than life: stupisce, appassiona, indigna, commuove. Purtroppo "The Imitation Game", l'ultimo dei bio-pic dedicati al matematico e crittografo britannico, non fa nulla di tutto ciò.
Tratto dal romanzo biografico "Alan Turing - Storia di un enigma" di Andrew Hodges, il film segue il pioniere della computer science in un percorso a ritroso nel tempo, attraverso tre epoche differenti che si alternano nella narrazione in un millimetrico gioco di flashback intrecciati. Si comincia negli anni 50, con l'interrogatorio presso una stazione di polizia, cui seguirà l'infausta condanna e il relativo carico di tragiche conseguenze. Ci si addentra poi nel cuore della pellicola: gli anni durante i quali, in piena Seconda Guerra Mondiale, Turing e alcuni tra i più brillanti linguisti, analisti e matematici britannici misero a punto un sistema in grado di decrittare la diabolica macchina di comunicazione nazista Enigma. Si arriva infine all'adolescenza infelice del protagonista, spesa tra le angherie dei compagni presso un college esclusivo e illuminata solo dalla tenera (ma sfortunata) amicizia con il coetaneo Christopher.
Chiamato, per la prima volta, al banco di prova internazionale, il regista norvegese Morten Tyldum imbastisce un drammone in salsa bellica tanto solido quanto insapore, solenne ma senz'anima. La colpa è soprattutto della verbosissima e didascalica sceneggiatura del (quasi) esordiente Graham Moore, che, errore grave, preferisce di-mostrare invece di mostrare: poco o nulla è affidato al potere evocativo delle immagini, mentre la voce over del protagonista si premura di spiegare (neutralizzando qualsiasi possibilità di empatia) ogni notazione emotiva, ogni progressione narrativa, ogni risvolto storico.
Il risultato è dunque un film bolso e insapore, una sorta di agiografia laica che ricalca (male) la lezione di un certo cinema calligrafico tipicamente british. La confezione, infatti, è inappuntabile.
Dalle scenografie di essenziale eleganza di Maria Djurkovic ("The Hours", "La talpa") alla colonna sonora del veterano Alexandre Desplat ("The Queen", "Il curioso caso di Benjamin Button", "Il discorso del re"), dalla fotografia sobria e rigorosa di Oscar Faura ("The Impossible", "The Orphanage") al montaggio funzionale di William Goldenberg, specializzato in thriller impegnati ("Heat - La sfida", "Insider - Dietro la verità", "Zero Dark Thirty"). Tutto concorre a definire un quadro di ineccepibile e ammirevole finezza, ma irrimediabilmente senza pathos: manca, per esempio, il contrappunto ironico de "Il discorso del re" oppure, sul versante opposto, lo spregiudicato cattivo gusto dell'affine "A Beautiful Mind".
Prova a ravvivare il film un gruppo di interpreti brillanti e di ottimo nome, alle prese però con personaggi spesso solo abbozzati. Keira Knightley, da par sua, ci mette grazia e fascino e prova a colorare la sua emancipata Joan con rigurgiti proto-femministi, ma non riesce a evitare del tutto il rischio del macchiettistico, rimanendo imbrigliata in un ruolo del tutto subalterno e funzionale al protagonista maschile. Il camaleontico e talentuoso Benedict Cumberbatch cerca invece di infondere verità umana a un Turing fin troppo ammiccante, tutto tic e (finte) idiosincrasie che servono solo a renderlo ancora più amabile (e infatti basta il regalo di una mela a cancellare mesi di screzi e ostilità).
Tyldum, regista senza guizzi, si limita ad assecondare il talento istrionico del suo prim'attore e a esaltare il solido mestiere dei suoi insigni collaboratori. Ne risulta così un film illustrativo che pare costruito a tavolino per l'imminente stagione dei premi, ma talmente impegnato a piacere a tutti i costi, da fallire rovinosamente il suo obiettivo.
cast:
Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Rory Kinnear, Allen Leech, Mark Strong, Matthew Beard
regia:
Morten Tyldum
titolo originale:
The Imitation Game
distribuzione:
Videa
durata:
114'
produzione:
Black Bear Pictures, Bristol Automotive
sceneggiatura:
Graham Moore
fotografia:
Oscar Faura
montaggio:
William Goldenberg
musiche:
Alexandre Desplat
Tratto dal romanzo biografico “Alan Turing – Storia di un enigma” di Andrew Hodges, il film segue il pioniere della computer science in un percorso a ritroso nel tempo, attraverso tre epoche differenti che si alternano nella narrazione in un millimetrico gioco di flashback intrecciati. Si comincia negli anni 50, con l’interrogatorio presso una stazione di polizia, cui seguirà l’infausta condanna e il relativo carico di tragiche conseguenze. Ci si addentra poi nel cuore della pellicola: gli anni durante i quali, in piena Seconda Guerra Mondiale, Turing e alcuni tra i più brillanti linguisti, analisti e matematici britannici misero a punto un sistema in grado di decrittare la diabolica macchina di comunicazione nazista Enigma. Si arriva infine all’adolescenza infelice del protagonista, spesa tra le angherie dei compagni presso un college esclusivo e illuminata solo dalla tenera (ma sfortunata) amicizia con il coetaneo Christopher.