C’era una volta il biker movie, quel sottogenere nato con il film "Il selvaggio" (1953), che consacrò la stella di Marlon Brando nel firmamento cinematografico hollywoodiano fotografando l’allora recente fenomeno degli outlaw motorcycle club, i gruppi di motociclisti che dopo la fine della Seconda guerra mondiale raccolsero centinaia e poi migliaia di adepti tra ribelli, anticonformisti, reietti ed emarginati della società.
Dopo il successo del film di László Benedek seguirono svariati epigoni, molti dei quali nell'ambito del bikexploitation, la produzione di b-movie che ebbe nel recentemente scomparso Roger Corman il principale deus ex machina. Nel 1969 giunse poi "Easy Rider" coniugando biker movie e controculture e così slegandosi da quel filone per abbracciare il diverso ambito del road movie (ne abbiamo parlato diffusamente qui).
Jeff Nichols ripesca da quell’immaginario con una sceneggiatura tratta da un libro fotografico di Danny Lyon del 1968, che aveva documentato le gesta dell’Outlaws Motorcycle Club di Chicago - che nel film diventano i Vandals - tra il 1963 e il 1967. Il regista decide di portare la storia anche oltre quegli anni, raccontando le vicende in chiave retrospettiva mediante l’escamotage dell’intervista a una giovane donna, Kathy (Jodie Comer), moglie di uno dei principali membri del club, il taciturno Benny (Austin Butler). Espediente narrativo che mette in primo piano un personaggio femminile in un contesto prettamente maschile, più - parrebbe - per una questione di politica di genere che per una reale esigenza narrativa, e che finisce per portare "The Bikeriders" dalle parti del biopic, con uno sguardo ex post insistito e verboso, che sicuramente snatura lo spirito del biker movie, ma che dona al film, gli va riconosciuto, un delicato retrogusto nostalgico, già accentuato da scenografie, costumi, acconciature. Se poi si aggiunge la decisa virata verso il gangster movie impressa in alcuni tratti della pellicola e l'impostazione pseudo-documentaristica già evidente nello schema intervistatore-intervistata, l’allontanamento dal film di motociclisti classico sembra definitivamente compiuto.
Dopo un paio di film dal deciso sapore spielberghiano ("Loving" e "Midnight Special", entrambi del 2016) Nichols sembra qui abbracciare toni più scorsesiani, soprattutto del primo Scorsese, quello di "Mean Streets": lo si vede soprattutto dal modo in cui sono girate le scene in interni (i bar e i locali dove si riuniscono i Vandals) in particolare nella prima parte, in cui si tenta la costruzione di un’epica dell’outlaw mediante il ricorso ai ralenti e a una colonna sonora pop-rock piuttosto spinta, mettendo sempre a fuoco l’individuo prima che il contesto. In ciò siamo piuttosto distanti dallo stile de "Il selvaggio", che pure era ambientato a larghi tratti dentro un locale di mescite. E da quel film siamo lontani anche per il modo in cui Nichols inquadra i motociclisti durante i loro spostamenti: se in Benedek le inquadrature di Brando in sella - su fondali rigorosamente retro-proiettati - erano spesso alternate ai totali che raffiguravano l’intero gruppo nel loro ambiente prediletto, la strada - ma comunque non con i campi lunghi e lunghissimi di "Easy Rider" -, in "The Bikeriders" è invece privilegiato quasi sempre il piano ravvicinato, facendo prevalere lo sguardo sull’individuo rispetto a quello sul contesto, che sia quello paesaggistico o quello del gruppo sociale. In Nichols prevale dunque il dramma individuale urbano, in cui peraltro casca a fagiuolo la scelta di Chicago, che fu culla del gangsterismo durante i roaring twenties.
Ciò nonostante, pur discostandosene stilisticamente, sia "Il selvaggio" che "Easy Rider" sono citati esplicitamente e più volte: del resto sono due film - così diversi - che ancora oggi rappresentano un modello di riferimento imprescindibile per il cinema su due ruote. La visione del film con Marlon Brando è presentata come la motivazione che porterà Johnny alla decisione di fondare i Vandals, con una curiosa mise en abyme in cui il cinema che documenta la realtà è ispiratore di una realtà che diventerà, a sua volta, oggetto di rappresentazione. I richiami al film di Hopper sono invece meno incisivi, quasi al livello della inevitabile e dovuta citazione: c’è l’immancabile scena attorno al falò e c’è un omaggio esplicito nel finale, quando, passando in rassegna il destino dei vari membri del motorcycle club, si racconta di come uno di essi sia diventato, di fatto, la parodia di se stesso (il biker californiano promuove il film di Hopper sgasando con la moto fuori dai cinema).
Si è parlato prima di gangster movie, un genere che fa capolino soprattutto nel finale, al momento del passaggio di consegne tra vecchia e nuova generazione: dai bevitori di birra si passa ai fumatori di erba, dai pugni e coltelli si passa alle pistole e, soprattutto, dai biker che cercavano una via di fuga da una quotidianità asfissiante si passa alle vere e proprie gang di criminali che mettono in piedi organizzazioni a delinquere dedite allo spaccio, alle rapine, allo sfruttamento della prostituzione e - inevitabile conseguenza dell'escalation - all’omicidio. Sembra quasi di assistere alla parabola generazionale che interessò la famiglia Corleone nei primi due capitoli de "Il padrino", rendendo così il personaggio di Johnny - uno straordinario Tom Hardy - per certi versi più vicino a un altro ruolo di Marlon Brando, Vito Corleone, che al protagonista de "Il selvaggio".
Un altro aspetto fondamentale sembra poi accomunare "The Bikeriders" al modello del gangster movie moderno. Nel biker movie "classico", infatti, la figura del leader carismatico della banda di motociclisti e quella del giovane e bello senz’anima tendevano a coincidere nella stessa persona: si pensi allo stesso Brando de "Il selvaggio" o a Peter Fonda ne "I selvaggi". Nel film di Nichols, invece, i ruoli si duplicano e al leader della banda Johnny viene affiancato il character del giovane discepolo Benny, un Austin Butler in versione James Dean, splendidamente raggiante e malinconico al tempo stesso. Si introduce così il tema della mentorship, più consona appunto ai gangster movie che ai film di motociclisti, argomento che in ogni caso resta sullo sfondo e che comunque non porterà a nulla, visto il finale.
C'è poi un terzo elemento che avvicina il film al genere gangster e alla sua versione scorsesiana in particolare, quello dell'ironia, che in "The Bikeriders" ricorre soprattutto nella prima parte e nel finale, in maniera piuttosto accentuata: i biker della vecchia generazione arriveranno in auto - anziché in moto - alla resa dei conti tra Johnny e il ragazzo che lo ha sfidato e - ancor più ironicamente - i compagni di Johnny si chiuderanno in macchina durante il duello perché… fuori fa freddo!.
Insomma, Nichols ha il grande merito di riesumare sul grande schermo [1] un filone glorioso, con una discreta riuscita nella messa in scena - le sequenze in motocicletta sono indubbiamente di grande suggestione visiva ed emotiva -, ma con scelte strutturali discutibili, in primis appunto quella della narrazione affidata al personaggio di Kathy, e addirittura singoli passaggi di sceneggiatura - in teoria uno dei punti di forza del regista di Little Rock - che rischiano di cadere nel ridicolo involontario (il pretesto del vestito rosso che porta al tentato stupro della ragazza di Benny è forse il punto più basso dello script, per fortuna non accompagnato da altri grossi scivoloni).
Nichols è additato pressoché unanimemente come autore, anche se onestamente si fatica a vedere nella sua filmografia una idea di cinema unitaria, che non vada oltre - banalmente - il fatto di scriversi le sceneggiature e quello di incentrarle nel mondo degli emarginati d’America. Le aspettative ingenerate da "Shotgun Stories" e da "Take Shelter", sembrano dunque almeno parzialmente tradite, per un regista che aveva l’occasione di offrire qualcosa di più dell'approccio furbescamente glamour e sostanzialmente viscerale di questo "The Bikeriders".
[1] In tv, invece, il sottogenere aveva avuto una rivisitazione piuttosto recente con la serie "Sons of Anarchy".
cast:
Austin Butler, Tom Hardy, Jodie Comer, Michael Shannon, Norman Reedus
regia:
Jeff Nichols
titolo originale:
The Bikeriders
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
116'
produzione:
Regency Enterprises, Tri-State Pictures
sceneggiatura:
Jeff Nichols
fotografia:
Adam Stone
scenografie:
Chad Keith
montaggio:
Julie Monroe
costumi:
Erin Benach
musiche:
David Wingo