Una delle cose che salta subito all'occhio nei film di Jeff Nichols è la cifra di un'autorialità che si manifesta innanzitutto in fase di sceneggiatura. A differenza di molti colleghi che come lui possono dirsi autori dei propri film, Nichols aggiunge la costante di essersi scritto per proprio conto le storie dei lungometraggi che ha diretto. Questa caratteristica, lungi dall'essere un mero dato statistico, incide non poco nell'economia dei risultati sia in termini formali che di contenuti. "Midnight Special" ingiustamente dimenticato dai distributori italiani dopo il suo passaggio (in concorso) a Berlinale del 2016 ci permette di entrare nel merito del discorso a partire dalla scelta di genere operata dal regista americano che per il suo quarto film si confronta con il cinema di fantascienza, raccontando di un bambino dotato di poteri sovrannaturali costretto a fuggire da chi (le forze governative che lo vorrebbero "studiare" e la setta religiosa che lo ha elevato a profeta) vorrebbe impedirgli di seguire il proprio destino. Se di "Midnight Special" analizzassimo esclusivamente la forma, ne verrebbe fuori un contesto apprezzabile ma non originale poiché l'equilibrio della composizione visiva, caratterizzata dall'uso di campi medi e piani americani e il montaggio delle varie sequenze, organizzato all'interno di una logica consequenzialità, dimostrano sì una buona padronanza della lezione offerta dai classici del passato, ma non permettono una efficace caratterizzazione del prodotto finale. Al contrario, il testo del film è di quelli in grado di creare delle peculiarità che lo collocano al di fuori dalla norma. A partire dalla consistenza dei dialoghi e dalla tipizzazione dei personaggi, i primi come i secondi depauperati di quella surplus di informazioni verbali e visive a cui ci ha abituato il
mainstream contemporaneo. In questo senso "Midnight Special", alla stregua degli altri titoli del regista, valorizza ciò che le parole non dicono, assegnando ai silenzi e ai non detti il compito di stratifi
care lo stato d'animo dei personaggi e, più in generale, di lambire i connotati di una realtà tanto indecifrabile quanto lo sono le identità degli uomini e delle donne che le appartengono. A conferma di ciò, basterebbe soffermarsi sul rapporto tra il padre e il figlio (un topos del cinema di Nichols) a cui prestano il volto Michael Shannon e Jaeden Lieberher, calibrato su livelli di gravità da romanzo esistenziale lontani anni luce da quelli che ci si aspetterebbe da un prodotto di questo tipo (per contro, vedasi quello ludico e infantile impostato da Shyamalan in "After Earth") e ancora, valutare gli sviluppi dell'indagine di Paul Savier (Adam Driver), agente della NSA incaricato (per conto dello spettatore) di fare luce sulla figura del misterioso transfuga destinata a rimanere tale per la scarsità di rivelazioni raccolte nel corso della sua ricerca.Una continuità testuale che "Midnight Special" manifesta, anche e soprattutto nella presenza dei temi cari alla poetica del regista, consta in quello che ruota intorno al senso di sconfitta derivato dalla consapevolezza di non riuscire a proteggere i propri cari dai rovesci di una realtà ostile e indecifrabile: vera e propria ossessione dell'uomo
nicholsiano (compreso il Richard Loving interpretato da Joel Edgerton in "
Loving", appena uscito nelle nostre sale) che per questo è capace di arrivare alla follia ("
Take Shelter") o di sacrificarsi finanche alla morte ("Mud"). lLa sopraffazione che ne deriva si trasforma in "Midnight Special" in un'accettazione che, a conti fatti - per le caratteristiche messianiche della storia, legittimate dall'ascensione finale del piccolo protagonista - si rivela meno drammatica del previsto in ragione di uno scenario complessivo in cui i genitori del piccolo Alton (l'immancabile Shannon affiancato da Kirsten Dust) assistono al compimento della sorte del proprio figlio con una predisposizione simile a quella della "famiglia" di Nazareth, modello inarrivabile e, però, in qualche modo riprodotto dai tre protagonisti lungo il percorso narrativo che li vede impegnati in prima persona o indirettamente attraverso lo sguardo dei loro "persecutori".
Vera e propria variazione sul tema, il lavoro operato da Nichols in fase di scrittura, combinato con l'abitudine del regista di girare in spazi aperti, ha tra gli effetti più evidenti quello di creare una sorta di mondo a parte in cui il contrasto tra l'intimismo delle storie (tutte, nessuna esclusa) e l'infinito del paesaggio naturale funzionano come cassa di risonanza dei sentimenti dei personaggi, stabilendo un punto di contatto tra il sentimento di inadeguatezza dei singoli ("Talvolta ci viene chiesto di fare cose che vanno al di là di noi" dice ad un certo punto uno degli inseguitori) e lo scarto visivo prodotto dalla messa in scena di vite tanto ordinarie dal punto di vista del quotidiano quanto complesse sotto il profilo esistenziale. La sensazione è quella di un film che può dirsi riuscito ove il genere in questione non sia il fine ultimo della visione ma solamente lo strumento che permette al regista di continuare a ragione sulle cose che gli stanno più a cuore.