Durante la post-produzione di "Seoul Station" nel 2014, al regista e sceneggiatore Yeon Sang-ho viene chiesto di iniziare a lavorare al suo primo live action che poi diventerà "Train to Busan". L’operazione commerciale si conclude egregiamente col successo internazionale di quest’ultimo, accompagnato dagli apprezzamenti del prequel animato, per arrivare alla trilogia con "Peninsula". "Seoul Station" è difatti il tassello pre-apocalittico che segue alcuni dei topoi dello zombi film romeriano, lasciandone volutamente alcuni sospesi per concentrarsi sulle persone.
Il lungo animato di Yeon comincia dal "basso": intento a sottolineare principalmente il divario sociale in seno alla metropoli sudcoreana, i soggetti di "Seoul Station" sono persone vessate dalle problematiche economiche, visibilmente indigenti. Volendo enucleare il film si intravede la riflessione sulla mancanza di appartenenza famigliare e l’incapacità di trovare complicità e sicurezza nell’altro se non in una situazione estremamente innaturale come una calamità zombi. Evento che però rintuzza anche la feroce disumanità delle fratture sociali e dunque comportamentali.
A rimarcare la pervasiva critica sociale è il prodromico diffondersi della piaga attraverso i gruppi di senzatetto che latitano nei pressi della stazione di Seoul. Tutto e il contrario di tutto quanto visto in "Train to Busan" in cui sono gli sfibrati workaholics dal colletto bianco a confrontarsi con lo scoppio della metafora zombiana.
In "Seoul Station" sono un senzatetto e una ragazza vessata dal fidanzato a doversi scontrare con tutte le fasi del genere di riferimento: l’assedio, la prevaricazione militare, la perdita della speranza. Si scriveva in apertura anche dell’assenza di elementi tipici di questo tipo di film, in questo caso a rimanere sospesa è la presenza dei media sfiduciati, rappresentazione di una paventata stabilizzazione dell’ordine (in "Train to Busan" sottolineato dai passeggeri che osservano le notizie sullo smartphone).
Dichiaratamente ispirato allo zombi d’assalto di Zack Snyder (e di conseguenza, agli infetti di "28 giorni dopo") e al manga "I am a Hero"1 (il cui film omonimo tratto è del 2016), il mostro in "Seoul Station" attacca dimenandosi e correndo, quasi cieco ma terribilmente dinamico. Yeon però non trasforma tutto in eccitate dinamiche action, piuttosto riflette su situazioni claustrofobiche in modo da ricavarne una dimensione prima ridotta (la cella della stazione, il bagno di un appartamento) infine enorme (la strada sbarrata con i superstiti, il laconico showroom di appartamenti).
La lezione di genere è efficacemente e scolasticamente replicata, funziona a dovere finché non si scontra con una rappresentazione visiva in carenza di mezzi e di cui Yeon mostra tante tensioni in contrasto tra loro.
Citazione a "Resident Evil" di Shinji Mikami (1996), nello specifico l'incontro col primo zombi, evidenza che le influenze di Yeon Sang-ho arrivino anche dai videogiochi
Dalle produzioni animate indipendenti in cui Yeon si è fatto le ossa (il bullismo in "The King of Pigs" e il dramma sociale in "The Fake") egli riprende tematiche e soprattutto la direzione artistica sporca, deforme, in una resa 3D particolarmente evidente. "Seoul Station" pulisce drasticamente i modelli dei personaggi umani/zombi prestandoli a un corroborante effetto cel-shading (spessi bordi neri e texture di colore piattissime) avaro di ombreggiatura. Una scelta estetica molto chiara, in contrapposizione, a titolo esemplificativo, con la 3D animation mascherata da disegno 2D di "Dov’è il mio corpo?"/"Klaus". In questo modo l’attenzione si sposta sui dettagli macabri come le chiazze di sangue o le vene in evidenza. La composizione dell’immagine si basa profondamente sugli sfondi: statiche diapositive di una Seoul cementizia e notturna.
L’orrorifica staticità degli sfondi però contrasta con un’animazione dei soggetti meccanica, limitata eppure ritrosa a voler "celare" le mancanze produttive che lo spettatore non dovrebbe scorgere. Gli animatori cercano in modi diversi di accelerare le scene di caos, finendo per acuirne l’effetto marionetta, evidenziando col blur qualsiasi movimento: le panoramiche filate durante le fughe, le scene di corsa sui veicoli sono l’apice negativo di un insensato spostamento, seppur sporadico, verso un connubio action paralizzato, limitato.
"Seoul Station" funziona egregiamente quando valorizza i campi dalla profondità appiattita (non sempre è voluto) con la scelta dei colori e delle ombre, oscurando e illuminando gli ambienti asettici della città. Controproducente la resa artistica che invece di stabilizzarsi e puntare su scene di grande efficacia visiva e narrativa (la lunatica in metropolitana, il finale) preferisce acuire dei difetti non indifferenti, penalizzando un film nel complesso dignitoso e a tratti eccellente nella riproposizione di un sotto genere troppe volte demitizzato.
1 Fonte: koreanfilm.or.kr
regia:
Yeon Sang-ho
titolo originale:
Seoul-yeok
durata:
92'
produzione:
Finecut Next, Entertainment World, Studio Dadashow
sceneggiatura:
Yeon Sang-ho
montaggio:
Lee Yeon Jeong
musiche:
Jang Young-gyu