A poco più di vent'anni dalla fortunata presentazione a Venezia di "Tano da morire", il musical che raccontava una vicenda di "amore e malavita" commentato dalle canzoni di Nino D'Angelo, Roberta Torre porta a Torino "Riccardo va all'inferno", il suo sesto lungometraggio (ma il corpus della sua opera aumenta considerevolmente se teniamo conto dei cortometraggi, dei documentari e degli spettacoli teatrali realizzati nel corso di una carriera quasi trentennale). Come nel caso di "Sud Side Stori", nel quale Romeo e Giulietta diventavano rispettivamente un cantante alla Elvis e una prostituta nigeriana, si torna a mescolare Shakespeare e canzoni. Alla base del film c'è lo spettacolo del 2013 "Insanamente Riccardo III", dove la tragedia giovanile del Bardo era recitata anche da pazienti psichiatrici. Scritto dalla stessa Torre insieme a Valerio Bariletti (lo sceneggiatore di fiducia di Aldo, Giovanni e Giacomo), il film ovviamente più che un adattamento filologico del testo vuole esserne una libera riscrittura.
Come in tutte le sue regie, l'autrice si discosta da quel cinema pseudotelevisivo che negli anni, tristemente, ha preso troppo piede, e quindi si respira un'aria diversa dal resto della produzione italiana. Si riconoscono infatti omaggi a registi come
Kubrick,
Gilliam,
Campion, Burton, Franju,
Wilder,
Argento e naturalmente
Baz Luhrmann, anche se il nume tutelare di tutta l'operazione resta
Carmelo Bene, evocato anche dalla figura di Sonia Bergamasco, che ha lavorato con lui e che qui è impegnata nel ruolo della Regina Madre, una sorta di sintesi fra Margherita e la duchessa di York, in una performance che sembra un compendio di "maschera e voce", visto che il volto dell'attrice è, tranne che nei flashback, camuffato da un pesante trucco.
Il tema della maschera, come quello della marionetta, molto caro alla regista siciliana, ritorna anche nel disegno degli altri personaggi, interpretati da attori spesso irriconoscibili e impostati su una cifra grottesca piuttosto spiccata, alla quale non si sottrae neanche il personaggio principale.
Già cavallo di battaglia sulle scene e sugli schermi di attori come Laurence Olivier, Ian McKellen e Benedict Cumberbatch, Riccardo di York, ultimo sovrano medievale inglese, ha stavolta il volto di Massimo Ranieri. Anche se il cantante-attore napoletano ha alle spalle un percorso artistico lungo quasi cinquant'anni contraddistinto da successi canori, cinema d'autore, sceneggiati televisivi da prima serata e tournée teatrali trionfali, persino i suoi fan più appassionati faticheranno a riconoscerlo in questo ruolo. Il Riccardo immaginato dalla Torre non è infatti un usurpatore assassino deforme, ma una sorta di Pierrot lunare vestito di pelle nera che dopo anni in manicomio può tornare dai propri familiari che non sono una casata reale nel senso classico (il film è ambientato in un presente criminale e iperrealista) ma una famiglia malavitosa che gestisce traffici illeciti nel quartiere Tiburtino 3 (ogni riferimento a film o serie televisive di successo non deve essere evidentemente casuale). Una sorta di novello Amleto tornato per "rimettere il mondo nei cardini" o, per meglio dire, per vendicarsi dei parenti serpenti che gli hanno fatto male in tutti i modi possibili; ad aiutarlo un gruppo di fedelissimi apparentemente innocui ma che nel corso della storia si rivelano sicari di rara perizia. Anche il suo essere claudicante non va interpretato come un segno di mostruosità ma come la riprova che è stato vittima ancor prima che carnefice. Il carosello di omicidi ai danni di fratelli, nipoti e complici, dal quale prevedibilmente si salveranno in pochi, si intervalla a numeri musicali (Mauro Pagani ha curato la parte musicale) che contengono una spiccata cifra queer e che ribadiscono la libertà di un lavoro nel quale la celebre seduzione di Lady Anna diventa un duetto canoro (durante il quale Ranieri viene affiancato dalla giovane cantante di X-Factor Antonella Lo Coco) e dove durante un funerale la regina Elisabetta (qui semplicemente Betta e sorella di Riccardo invece che cognata), sempre impasticcata e in lingerie, canta un'aria mozartiana.
La fotografia di Matteo Cocco, le scenografie di Luca Servino e i costumi del bravo Massimo Cantini Parrini (che ricordiamo per il suo lavoro nel "
Racconto dei racconti" di Garrone) contribuiscono a ricreare un mondo notturno e minaccioso, dove però c'è spazio anche per il luccichio sfavillante delle luci e degli strass, palcoscenico perfetto per le vicende raccontate da un film insolito che forse non convincerà tutti ma che comunque resta l'espressione di un'artista, voce unica nel mondo dello spettacolo italiano.
02/12/2017