Out flew the web and floated wide
The mirror cracked from side to side
"The curse is come upon me" cried
The Lady of Shalott.
Alfred Tennyson
Tre sequenze. Uno: all'inizio del film, la mdp si stacca da Kelly-Anne (Juliette Gariepy), venuta ad assistere a un processo, e con un lento e misurato piano sequenza ci invita a prendere posto tra i giurati. Mantiene un'inclinazione dall'alto in basso, e oscillando avanti e indietro meccanicamente, come un pendolo, inquadra il presunto serial killer (Maxwell McCabe-Lokos) chiuso dentro una gabbia di vetro, e ritorna. Due: a metà film, Kelly-Anne e l'amica Clémentine (Laurie Babin) guardano al computer i video delle uccisioni; la mdp inquadra le loro reazioni in un primo piano fisso inondato di luce rossa, la stanza risuona delle urla delle vittime. Tre: nel finale lo sguardo allucinato di Kelly-Anne, fisso sul killer, viene finalmente ricambiato in un inquietante controcampo.
Le tre sequenze chiave indagano tutte uno sguardo. "Les chambres rouges" è soprattutto questo, un film sullo sguardo, sul modo in cui guardiamo le immagini e in cui cerchiamo di farci guardare, di diventare immagini. Kelly-Anne è una giovane modella, fredda, apatica, che esprime gioia e godimento soltanto quando gioca nelle poker room virtuali o quando posa per gli shooting fotografici. Shooting in inglese significa anche sparatoria, perché come pensava Susan Sontag la fotocamera è un'arma simbolica, e ogni fotografia è un omicidio sublimato: la voglia di posare è sorella della voglia di farsi toccare, manipolare, riprendere e squartare dal demone di Rosemont. Il desiderio di morte è desiderio di estasi – ek-stasis, "star fuori di sé", e nulla ci porta più fuori di noi stessi della morte. Come in "The Neon Demon" (e in Walter Benjamin) "il trionfo della moda è una celebrazione del sex appeal dell’inorganico, in cui parallelamente l’organico – il corpo umano – viene vampirizzato dal potere ipnotico della bellezza, trasformandosi in supporto cadaverico" (Capra 2022, 107). Gli shooting sono questo per Kelly-Anne, tentativo di trascendere l'umano in una morte simulata, programmata, desiderata, di avvicinare la morte per sentirsi viva.
Insomma, anche se l'inizio in presa diretta e piano sequenza al tribunale ricorda "Saint Omer" siamo lontani dall'umanesimo di Alice Diop, sicuramente più vicini a NWR, anche se il nume tutelare qui sembra David Fincher: la messa in quadro rigorosa, ordinata, il movimento automatizzato e inorganico della mdp, la cura minuziosa e maniacale del dettaglio. E dei colori: il blu gelido degli esterni, il bianco asettico e respingente del tribunale, il rosso delle camere in cui le adolescenti vengono torturate e uccise. Luoghi atroci, come tutti i luoghi del film: non-luoghi, quegli spazi che non lasciano attecchire alcuna identità, relazione o senso storico: la metropolitana, il tribunale, il palazzo di giustizia, le poker room, il downtown di Montreal, i set fotografici, la palestra, il loft freddo e impersonale di Kelly-Anne, che lo divide con Guienièvre, un'assistente digitale. La moltiplicazione di vetri trasparenti e schermi aumenta il senso di realtà disincarnata, di progressiva virtualizzazione del reale, radice di numerosi problemi della contemporaneità: perdita di empatia, solitudine urbana, dipendenza, hikikomori, voyeurismo, proliferazione acritica e incontrollata di tutti i tipi di immagine. Persino il denaro perde sostanza, "non è altro che numeri in un computer".
Ma "Les chambres rouges" non è un semplice commentario del tempo presente. Evoca pulsioni senza tempo, come l'istinto di morte e il narcisismo, ed epoche passate. Ad esempio con la suite post-barocca, clavicembalo e percussioni tribali, di Dominique Plante (quest'anno ha curato anche "Decision to Leave"). O con il dipinto decadente di Atkinson Grimshaw The Lady of Shalott, sfondo del desktop di Kelly-Anne, ispirato a una leggenda arturiana. Per una misteriosa maledizione, la ragazza di Shalott era condannata a guardare la realtà solo attraverso uno specchio e tessere al telaio tutto quello che vedeva. Un giorno, catturata dalla bellezza di Lancillotto, si affaccia alla finestra; lo specchio si rompe, la maledizione colpisce: la Lady di Shalott si abbandona su una barca lungo il fiume e si lascia morire.
Kelly-Anne è Lady Shalott, e il computer è il suo specchio: soffre di un male più profondo rispetto all'innamoramento puerile di Clémentine. Le mitologie raccontano di sguardi che uccidono (Semele, Euridice, Narciso) e sguardi che vivificano (il Cristo). Per Kelly-Anne, i due sguardi coincidono: si sente vivificata, ovvero materializzata, unicamente dallo sguardo dell'assassino, che la rifrange smembrata in migliaia di schermi. Il desiderio della camera rossa, desiderio di morte, è in lei desiderio di vita. Fino a quando, anche qui, lo specchio si rompe.
cast:
Maxwell McCabe-Lokos, Laurie Babin, Juliette Gariepy
regia:
Pascal Plante
titolo originale:
Les chambres rouges
distribuzione:
Entract
durata:
118'
produzione:
Nemesis Film
sceneggiatura:
Pascal Plante
fotografia:
Vincent Biron
scenografie:
Laura Nhem
montaggio:
Jonah Malak
costumi:
Renée Sawtelle
musiche:
Dominique Plante