Non ci sono più gli Stati Uniti d'America di una volta. Se la caduta delle Torri Gemelle ha spezzato la sicurezza onnipotente del gigante d'Occidente, la recessione del 2008 ha dato il colpo di grazia alla serenità finanziaria della classe media. La crisi economica, che sta attraversando una nuova fase di recrudescenza, ha dato stura a sceneggiatori senza idee di tuffarsi nelle problematiche quotidiane di chi, dopo anni di sacrifici e di mutui, deve stringere la cinghia e faticare per arrivare alla fine del mese.
A novembre, con l'uscita nelle sale di "
Warrior", abbiamo vissuto la lotta a distanza tra due fratelli, l'uno professore di fisica del liceo, e l'altro reduce dell'Iraq, entrambi in cerca di riscatto individuale per riemergere da una società che per assassine abitudini finanziarie e politiche li stava schiacciando. Thomas McCarthy, dopo averci raccontato la storia di un incontro che annullava le barriere razziali e la paura del prossimo ("
L'ospite inatteso", 2008), con "Win Win" rimane a stretto contatto con l'attualità più importante per la
middle class americana: la sua è un'altra storia di edificazione morale che poggia gran parte del peso della narrazione sulle solide spalle di un grande attore, Paul Giamatti (in luogo del sottoutilizzato Richard Jenkins), contando anche su una ben composita squadra di comprimari (Amy Ryan, Bobby Cannavale e il giovane Alex Schaffer).
L' avvocato civilista Mike Flaherty, che nel tempo libero fa il coach della scarsissima squadra di lotta del liceo, ha problemi economici: il lavoro è poco e lo stress parecchio, tanto che cede anche ad attacchi di panico mentre va a correre (cosa che lo dovrebbe far rilassare). Il patrocinio legale di Leo, un anziano signore (Burt Young) coi primi accenni di demenza senile, porta Mike a nascondere sotto il tappeto la sua conclamata onestà, per il bene di mantenere lo
status quo delle finanze della sua famiglia: si fa assegnare dal giudice come tutore dell'anziano promettendo che, così facendo, si sarebbe potuto tener fede alla volontà di Leo di rimanere nella tranquillità della sua dimora, anche vista l'irreperibilità della sua unica figlia. L'obiettivo di Mike è, molto cinicamente, quello di intascare l'assegno di millecinquecento dollari di provvigione e rinchiudere il vecchietto in una casa di cura. La faccenda si complica con l'arrivo di Kyle, nipote di Leo, scappato dalla madre, tossicomane in una casa di cura, per andare a vivere col nonno mai conosciuto. Mike lo porta dal parente, ospitandolo per la notte e pensando di rimandarlo al mittente senza problemi. Il ragazzo viene invece lentamente adottato dalla famiglia Flaherty che gli offre inconsapevolmente una seconda chance: quella di essere un figlio tenero sebbene taciturno, di ricominciare con la lotta, disciplina nella quale si stava imponendo come una grande promessa, prima di essere sbattuto fuori dalla squadra per le sue intemperanze. Ma col ritorno della madre, decisa a riprendersi figlio e assegno di mantenimento, si scopre che anche Mike ha qualcosa da farsi perdonare.
Lo sviluppo è noto: l'incontro tra i due protagonisti, il maturo Mike e il giovane Kyle, porterà a ristabilizzare l'equilibrio e ad insegnamenti morali che si distribuiscono equamente tra i vari personaggi. La tensione etica che vorrebbe instaurare McCarthy con questa storia quotidiana di lievi redenzioni a basso tasso di interessi si dimostra parecchio lenta e non ha la forza stringente delle disquisizioni dell'iraniano "
Una separazione". "Mosse vincenti" è una commedia auto-assolutoria e usa un linguaggio spuntato, sia sul profilo verbale che cinematografico, dove uno stile piano (per non dire piatto) porta avanti, con il didascalico impiego di campi/controcampi e piani medi/figure intere (spezzati solo dalla dinamicità degli incontri di lotta), una sceneggiatura dalle tempistiche calcolate a tavolino: l'intimismo ricercato dal regista di "The visitor" è assai scolorito e anche la fotografia di Bokelberg usa colori caldi che sembrano ricalcati sui prodotti pseudo-indipendenti di Jason Reitman. Alla fine, l'unico vero vincitore è la coscienza dell'uomo medio americano che, macchiatosi di una colpa, riesce a redimersi tenendosi nonno e nipote, e liberandosi della figlia diseredata: tutto ciò solo con un secondo lavoro da barman. Evviva la pedagogia.
10/12/2011