Senza parole
In una realtà in dissoluzione le parole diventano inutili, superflue, è sufficiente l'immagine, l'occhio della macchina da presa a registrare l'immobilità dei rapporti umani, la loro implosione o, meglio, il loro ritorno a uno stato primordiale. L'ultimo film di Kim Ki-duk è completamente privo di dialoghi e l'unico sonoro che sentiamo sono i rumori degli oggetti - le porte che scorrono, le bottiglie che cadono, le coperte che strusciano, i coltelli che tagliano e penetrano le carni, gli spari di una pistola, le pietre che sfregano la pelle fino a sanguinare - o i versi animaleschi dei personaggi, le urla di dolore, di piacere masochistico, i pianti. I personaggi di "Moebius" comunicano tra di loro attraverso linguaggi "altri": fatti di movimenti, gesti, suoni. L'assenza di parola non fa altro che potenziare ciò che si "guarda" con una messa in quadro oppressiva: ai personaggi è sufficiente uno sguardo tra loro per capirsi, per comunicare odio e amore, passione e rabbia.
Kim Ki-duk ha sempre lavorato alla sottrazione della parola usando il linguaggio delle immagini per raccontare le sue storie, (e tra i tanti esempi del suo cinema citiamo su tutti il capolavoro "Ferro 3 - la casa vuota") ma "Moebius" arriva a un grado zero del suo cinema, l'altra faccia della medaglia del lavoro precedente - "Pietà", Leone d'oro al Festival del Cinema di Venezia dell'anno scorso, dove lì, invece, i dialoghi avevano un'importanza drammaturgica.
Il nastro del desiderio
"Io sono il padre, la madre è me e la madre è il padre. In origine nasciamo nel desiderio e ci riproduciamo nel desiderio. Quindi siamo collegati in un tutt'uno come il nastro di Moebius e io finisco per invidiare, odiare e amare me stesso". Nell'affermazione del regista sudcoreano abbiamo la definizione d'intenti della sua opera numero diciannove.
La storia di un marito fedifrago e della moglie impazzita di gelosia che tenta di evirarlo senza riuscirci e allora rivolta la sua rabbia verso il figlio. L'evirazione dell'organo genitale è reiterata (lo subisce il figlio, un ragazzo della gang che stupra l'amante del padre, il padre stesso donatore per il trapianto per il figlio), azione simbolo della distruzione del desiderio maschile, che in "Moebius" non provoca altro che dolore. Il piacere è sempre accompagnato dalla violenza sul corpo - quello femminile, maschile ma anche sul corpo filmico - in un continuo girare su se stessi senza via d'uscita. In realtà, "Moebius" è una messa in scena onanistica in cui il corpo attoriale non è altro che il corpo dell'autore.
Il film è Kim Ki-duk, così come il Figlio diventa Padre e viceversa (con un continuo scambio di ruoli). Anche la Madre e l'amante del padre (e poi del figlio) - interpretata dalla stessa attrice (Lee Eun-woo, in una performance notevole) - sono la riaffermazione dell'unicità iconica in un unico corpo di donna-madre-amante, oggetto di un rapporto incestuoso che è messa in scena di una morale in disfacimento e di un'estetica visiva fatta di violenza. Una rappresentazione dell'uno e trino: un solo corpo familiare composto dalla trinità di icone filmiche assolute. In "Pietà" Kim Ki-duk parlava di disfacimento della società e del potere dei soldi come elemento distruttivo; in "Moebius" il disfacimento nasce da se stessi, è interiore e insito nell'essere umano a un livello primordiale. In un continuo movimento dei corpi che ti porta sempre allo stesso punto di partenza, senza via di uscita, in una visione claustrofobica del desiderio che porta morte e distruzione.
Uno squarcio di dolore
"Moebius" è un film sul dolore dell'anima, dei sentimenti. Una storia fatta di squarci visivi ed emotivi. Un'opera dura e difficile - anche per lo spettatore che viene investito per tutta la durata da magli emotivi che si abbattono sullo sguardo.
Il film ha subito una forte censura in patria e il regista ha dovuto apportare dei tagli di alcune scene troppo violente. Ma rimane lo stesso una pellicola piena di dolore - non solo e non tanto per i rapporti incestuosi che hanno destato tanto scandalo - soprattutto per il continuo masochismo della messa in scena, senza un attimo di respiro. Certo, a volte il registro stilistico cade nel grottesco, ma è un'operazione voluta per alleggerire la visione dolorosa sia emotiva che fisica.
"Moebius" - pur essendo tra i film meno riusciti del regista sudcoreano - rimane un nuovo tassello dell'opera poetica complessiva di Kim Ki-duk e della capacità di rappresentare in modo crudo gli abissi dell'animo umano. Un continuo puntamento dell'occhio della macchina da presa sul decadimento della realtà in una visione personale, un punto di vista unico.
cast:
Cho Jae-hyun, Seo Young-ju, Lee Eun-woo
regia:
Kim Ki-duk
titolo originale:
Moebius
distribuzione:
Movies Inspired
durata:
90'
produzione:
Finecut
sceneggiatura:
Kim Ki-duk
fotografia:
Kim Ki-duk
scenografie:
Hong Zi
montaggio:
Kim Ki-duk
costumi:
Lee Jin-sook
musiche:
Park In-young
Consumata dall’odio nei confronti del marito per le sue continue infedeltà, la moglie vuole vendicarsi di lui ma finisce per evirare il figlio per poi fuggire. Il padre disperato cerca in tutti i modi di aiutare il figlio e alla fine dona la sua virilità in un trapianto d’organo. Al ritorno della moglie e madre, la famiglia precipita verso una distruzione fisica e morale fino alla morte.