Filiazione di un processo produttivo chirurgico, "La belva" si inserisce nei nuovi e inesplorati tasselli di genere di Grøenlandia (Rovere-Sibilia). A passeggiare tra le fonti filmiche mainstream, si finisce inevitabilmente per essere sedotti dall’action, salvo poi incastrarne elementi sparsi già presenti nel curriculum filmico della suddetta casa di produzione italiana. "La belva", infatti, sembra frutto di una vision aziendale collettiva, in cui ogni esperienza si riflette in bozza in un calco disperato e incostante.
Si comincia dall’antieroe segnato dal reducismo, Leonida, lontano da moglie e figli per il peso dei traumi che lo tormenta, richiamato all’azione nel momento del rapimento della sua bambina da parte di una banda di criminali per il mercato sessuale dei minori. "La belva" parte sicuramente dall’idea di restituire azione e dramma in forma classica, pescando tra le dicotomie dei due: la torsione caotica e ridanciana del B-movie e l’introspezione di temi e patemi dei personaggi invischiati. Però i due mondi coesistono in maniera conflittuale, sottraendosi a vicenda minutaggio e sensazioni positive, approdando a risultati lasciati a metà e incollati.
Non è la scelta del canovaccio narrativo di base derivativa a inficiare il film (semmai la riduzione inconsapevole e contestuale dei valori reazionari di "Taken" a insospettire), poiché appunto costruita su base archetipica e facilmente riconoscibile (tipico dei lavori di Grøenlandia), quanto piuttosto la resa delle singole parti produttive che partecipano di una messa in scena fuori luogo.
Sceneggiatura e regia scambiano "La belva" per un museo delle cere: inseguimenti in auto (questi figli dell’ottima esperienza in "Veloce come il vento"), combattimenti in ville fumettistiche, rincorse in giungle di cemento e tubature, incisi war movie, stand-off imprevisti (John who?). In mezzo, a fare da collante, improbabili svelamenti drammatici, conditi da musica e ralenty, a ricordarci che le azioni di Leonida non sono soltanto divertite scorribande ludiche ma hanno una propulsione sentimentale reale, giustificabile.
Ecco perché Leonida colpisce ma viene altrettanto ferito, è fragile e segnato nel fisico dalla magrezza. Sottolineature che spargono sale sulla ferita aperta tra due elementi mal conciliati: tensioni drammatiche e parentesi grottesche.
Il cocktail non funziona e sono scenografia e messa in scena a far pagare a "La belva" una mancata collocazione strutturale: la condensazione stilizzata di alcuni ambienti (diner, pompe di benzina, ville) si affrancano dai contesti grigi e asettici (magazzini, strutture portuali, grattacieli). In questa metropoli indecifrabile, spuntano macchiettistiche reminiscenze di genere, stereotipi macroscopici che quando si ricordano di parlare esasperano luoghi comuni. Cura maggiore nella direzione artistica hanno avuto "Lo spietato" e "5 è il numero perfetto", per restare in territori comuni.
Lo stesso moto centripeto dell’action non regala sussulti, scartabellando manuali di scazzottate e risse senza ritmo, nascondendo il granguignolesco pur accennandolo, potenziandone l’effetto con il sound design in post-produzione. Ebbene, quando ci si accorge che i fendenti fanno rumore, qualcosa non gira, e il rischio di far ridere involontariamente è raggiunto (il tonfo esasperato di una caduta di un uomo da un palazzo altissimo, con rumore e tremolio di camera; il pedofilo che, pistola puntata, chiede scusa).
"La belva" risulta deficitario anche nel suo genere d’interesse, provando a portare a casa la medaglia del film piccolo e ben confezionato. Ma il problema non sta in quello che manca, piuttosto in come gli sforzi convergano in un risultato indeciso, pasticciato e sbiadito. Si guardi a "City Of Crime" (2019) o alle prove migliori di Jaumet Collet-Serra, spostandoci nei territori che Grøenlandia saccheggia, per capire come un action minore oggi possa divertire senza particolari ambizioni.
cast:
Fabrizio Gifuni, Lino Musella, Monica Piseddu, Andrea Pennacchi, Emanuele Linfatti, Giada Gagliardi, Andrei Nova
regia:
Ludovico Di Martino
distribuzione:
Netflix
durata:
97'
produzione:
Groenlandia, Warner Bros Italia
sceneggiatura:
Claudia De Angelis, Ludovico Di Martino, Nicola Ravera Rafele
fotografia:
Luca Esposito
scenografie:
Fabrizio D'Arpino
montaggio:
Francesco Loffredo
costumi:
Andrea Cavalletto
musiche:
Andrea Manusso, Matteo Nesi