Sembra che il cinema d'intrattenimento italiano abbia finalmente intrapreso una svolta capace di farlo uscire dalla situazione di piatta stabilità in cui brancola da lungo tempo: situazione che tenta di salvaguardare un cinema d'arte ormai decaduto e lasciato nella mani dei soliti noti, o che ripropone ripetutamente situazioni e canovacci macchiettistici e sempre più uguali a sé stessi (commedie demenziali e film sulla malavita in primis).
Il cambiamento arriva per mano di una nuova generazione di registi, cresciuta assieme ai blockbuster hollywoodiani, alla luce di quel cinema della convergenza che ormai da un ventennio domina la scena internazionale e che finora l'Italia aveva (forse un po' snobisticamente) ignorato.
Dopo il meritatissimo successo di "Lo chiamavano Jeeg Robot", con il quale Gabriele Mainetti ha portato il genere supereroistico in un contesto di italianità, arriva "Veloce come il vento": film di genere sportivo che riprende i modelli dell'industria americana (si pensi al recente "Rush" di Ron Howard, ma non si può non citare anche "The Fighter" di David O. Russel per vicinanza di tematiche), firmato dal giovane regista romano Matteo Rovere, qui già al suo terzo lungometraggio.
Come nel film di Mainetti, anche qui la scrittura gioca sulla compenetrazione tra uno sfondo efficace, svecchiato e caricato dalla vertigine del contemporaneo, ed elementi più tipicamente italiani, che riescono a far sentire lo spettatore più vicino alla narrazione e a non rendere la pellicola soltanto un fratello minore delle grandi produzioni d'oltreoceano.
Giulia De Martino è una giovane e promettente pilota di auto da corsa che, dopo l'abbandono da parte della madre e la morte del padre-allenatore, si ritrova da sola con il fratello minore Nico, sommersa dai debiti. È qui che entra in scena il fratello maggiore Loris, ex-leggenda del rally, da tempo caduto nell'abisso della tossicodipendenza. Starà a lui allenare la giovane sorella, nell'obiettivo di farle vincere il campionato e di risanare in tal modo i debiti che nessuno dei due è in grado di coprire.
Il successo cinematografico di Rovere sta in questo intreccio tra dinamiche note allo spettatore italiano (il complesso intreccio familiare, l'amore-odio tra i due fratelli), evidenziate dall'intelligente utilizzo del dialetto emiliano, e uno stile capace di intrattenere puntando al coinvolgimento sensoriale del pubblico (elemento che emerge soprattutto nelle scene più propriamente sportive).
Il montaggio parallelo nella sequenza in cui Loris assiste per la prima volta a una gara di Giulia e prende in mano la situazione è, proprio per la presenza di entrambi questi elementi, vincente ed emozionante.
Anche i ritmi risultano ben gestiti da una regia che contrappone scene più intense e toccanti ad altre più distensive e ironiche.
Ma se i pregi sono notevoli (e sarebbe un grave errore non accennare anche all'incredibile performance di Accorsi: trasformato nel fisico e abilissimo nel reggere il ruolo instabile ed eccentrico del fratello tossicomane), non mancano però i difetti, rinvenibili soprattutto sul piano della caratterizzazione dei personaggi.
Da una parte Giulia, che dovrebbe essere protagonista, ma che cade in secondo piano in rapporto all'eccessivo spessore dato al personaggio di Loris. Dall'altra Loris stesso, il cui passato è lasciato all'immaginazione dello spettatore e la cui metamorfosi da campione di rally a inetto ai margini della società rimane inspiegata, nonostante la curiosità del pubblico venga alimentata più volte nel corso delle vicende da continui accenni al suo passato.
Il risultato non è dunque perfetto, ma dopotutto il film è piacevole e sicuramente rappresenta un tassello significativo in un possibile percorso di rinascita di un cinema italiano capace di presentarsi nuovamente e con dignità nella scena internazionale contemporanea. Un cinema italiano che possa ritrovare il valore dell'azione e dell'intrattenimento; un cinema italiano finalmente al passo coi tempi e che allo stesso tempo non rinunci a un valore aggiunto di genuinità e di personalità.
Il cammino è ancora lungo, il materiale ancora grezzo e il rischio che si cada nell'emulazione senza arte né parte di prodotti stranieri di successo è pericolosamente presente. Probabilmente questa è la strada giusta e prima di perderla di vista o di sorpassarla distrattamente dovremmo affrettarci a imboccarla, veloci come il vento.
cast:
Stefano Accorsi, Matilda De Angelis, Paolo Graziosi, Roberta Mattei, Lorenzo Gioielli, Giulio Pugnaghi
regia:
Matteo Rovere
titolo originale:
Veloce come il vento
distribuzione:
01 Distribution
durata:
119'
produzione:
Fandango, Rai Cinema
sceneggiatura:
Filippo Gravino, Francesca Manieri, Matteo Rovere
fotografia:
Michele D'Attanasio
scenografie:
Alessandro Vannucci, Mina Petrara
montaggio:
Gianni Vezzosi
costumi:
Cristina La Parola
musiche:
Andrea Farri