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recensione di Simone Pecetta
9.0/10

Werner Herzog è quello strano individuo che all'interno dello stesso discorso con il cappellano del braccio della morte di una prigione texana è capace di chiedere "perché Dio consente l'esistenza della pena capitale?" e "mi racconti il suo incontro con uno scoiattolo" e così, parlando dello scoiattolo, il cappellano non riesce a trattenere le lacrime. Werner Herzog è quello strano individuo che con questo documentario dal titolo "Into The Abyss" ci guida per l'ennesima volta nella sua lunghissima carriera cinematografica, con più di sessanta pellicole alle spalle, al confine ultimo della terra e della vita per cercare di gettare uno sguardo ancora più in là, ancora oltre il limite di quello che è dato vedere per catturarlo in frammenti di celluloide.

La capacità del cinema di fermare, congelare e cristallizzare un istante del mutevole divenire del tempo in un eterno fotogramma si scontra con la più intima natura del regista tedesco di trasformare tutto ciò che tocca in lava incandescente, un magma oscuro che ci avvolge come in questo documentario spinto da un incalzante domandare, da un ricercare che non trova né sosta né quiete: "Into The Abyss" è la straziante storia di un triplo omicidio, dei due assassini e dei loro carnefici, delle vittime e dei loro parenti. Ma non solo, perché l'inquietudine che non consente ad Herzog di fermarsi si svela come uno dei tanti volti della morte che da sempre il regista cerca di indagare.

Guardando dentro l'abisso

L'abisso che, infatti, da sempre inquieta l'essere umano è quello del tempo, del tempo che l'uomo stesso è e cui l'uomo appartiene senza la possibilità di esercitare alcun dominio su di esso: l'abisso del tempo è l'abisso della mortalità e della morte che pone l'uomo di fronte all'inevitabilità della sua fine. Guardare dentro quest'abisso di tempo-morte è per quasi ogni cultura tanto un tabù quanto una sfida al singolo individuo. La morte è come una voce che silenziosamente chiama l'uomo dalla sua interiorità, che richiama l'uomo alla sua natura più propria di mortale, di essere-che-finisce. Gli intellettuali hanno più volte raccolto il richiamo di questa voce[1], l'arte ne ha amplificato il suono[2]. Ma l'uomo nella sua media esistenza cerca di rifuggirne l'abissale pensiero, respingerlo, continuare la sua esistenza come se fosse immortale.

Tuttavia, ci sono situazioni limite in cui è impossibile non trovarsi di fronte all'orlo dell'abisso senza fissare la sua vertiginosa voragine. La più paradossale delle situazioni è quando un uomo è posto dinanzi alla data certa della propria morte, un assaggio di cosa possa significare ce lo aveva offerto già Von Trier con "Melancholia" ora Herzog si spinge e ci conduce oltre in questo oscuro domino che svela l'autentica umanità dell'uomo.

Guardando dentro uno sguardo

L'impossibilità di gettare con semplice naturalezza uno sguardo diretto in quella profondità che è la morte allo stesso modo in cui nella nostra vita di tutti i giorni possiamo guardare un albero o un tramonto spinge il regista tedesco alla ricerca di coloro che quello sguardo l'hanno necessariamente avuto fisso, indelebilmente ancora impresso nel ricordo e nel sentimento che li accompagna quotidianamente. Così quella che ci racconta stavolta Herzog è una storia di volti, di sguardi che guardano quello che ai più è precluso. Di sguardi persi in un altrove tanto irraggiungibile quanto vicino a chiunque.

Così Herzog ci ha condotti fino a guardare uomini che guardano l'abisso. Cosa trapela sui loro volti? Dove si spingono i loro occhi? Cosa si cela nel fondo nero delle loro pupille? Con una telecamera fissa il regista bavarese inizia la mappatura di tanti volti e con la perizia dell'esploratore traccia la carta geografica del dolore ricalcando il vuoto ed il nulla che li attraversa, riversando su una mappa cinematografica la carenza di un senso che risuona amara sul fondo di tanti sguardi lacerati.

Storie di morte, storie di vita

Cosa è, allora, il senso? O se volete, esiste un senso per eventi cronachistici di ordinaria atrocità?
Conroe, Texas. Due adolescenti, Michael Perry e Jason Burkett, per rubare un'automobile assassinano tre persone. Burkett verrà condannato all'ergastolo mentre la pena capitale sarà sentenziata per Perry. Poco più d'una linea di cronaca nera che Herzog affronta con sguardo caleidoscopico mostrando le molteplici facce del dolore. Tutte strazianti, tutte gelidamente devastate. Come con una panoramica a 360 gradi che si avvolge su se stessa vediamo ogni possibile declinazione che una tragedia banalmente quotidiana può assumere, ne percepiamo i volti ne sentiamo le voci seguendole fino alle estreme conseguenze sancite dall'epilogo giudiziario. Le storie che ci racconta Herzog sono tante e narrano di tutte quelle persone che danzano in un oscuro circolo la macabra danza della morte attorno all'abisso che li lega insieme. Di certezza ce ne è una sola: tutti soffrono tremendamente. Soffre Michael Perry, intervistato da Herzog 8 giorni prima della sua esecuzione, assassino a sangue freddo e che in punto di morte perdonerà i suoi carnefici. Soffre Jason Burkett, scampato alla pena capitale grazie all'intervento in tribunale del padre ergastolano e a sua volta condannato al carcere a vita. Soffrono tutti i famigliari delle vittime, increduli ancora delle pieghe che può prendere quell'insensato baratro che è la vita. Nessuno si sottrae al dolore che sembra investire l'intero universo, nemmeno al capo delle guardie che seguono i detenuti nelle loro ultime ore è concesso liberarsene tanto che dopo aver assistito ad oltre 120 esecuzioni semplicemente non ce la fa più, si licenzia rinunciando alla pensione. Arriviamo infine alla carcassa di quella Camaro rossa, l'auto che i due volevano rubare, abbandonata in un deposito giudiziario a un decennio di distanza degli avvenimenti. Un albero era cresciuto al suo interno e il senso di tutto continua ad essere latente in un altrove sconosciuto.

Il dolore è tutto ciò che resta all'uomo una volta scoperchiato il vaso di Pandora, un dolore trascritto sui freddi documenti della burocrazia: referti d'omicidio che non colgono l'odore che aleggiava nella casa quando una donna è stata assassinata mentre stava cucinando dei biscotti, i rapporti del braccio della morte che ordinatamente descrivono l'efficienza con cui un condannato è stato guidato fino alla morte, ma non lasciano intuire il sapore salino delle lacrime versate.

Autopsia di un documentario

Demiurgo occulto, Herzog tesse le tela del documentario guidando con le sue domande il sentiero percorso dagli spettatori grazie al contrappunto di filmati della polizia giudiziaria ed una lunga serie di interviste che denudano un'umanità sofferente. Così, scarnificando le sovrastrutture della cronaca giornalistica, tra la telecamera frontalmente fissa e diretta come uno schiaffo e la panoramica emotiva che ruota attorno al proprio asse si insinuano numerosi paradossi che il regista riesce sapientemente a scovare e mostrare senza provare vanamente a scioglierli: Herzog sa che c'è sempre qualcosa da guardare e sa precisamente dove andare a cercare, ma si tiene sempre a distanza da ogni semplicistica conclusione.

La sua posizione è chiara sin dal principio, ma non cerca di instradare il discorso sulla falsariga del "pro o contro la pena capitale" non essendo minimamente interessato alla pubblicità, quanto piuttosto a quella intima dimensione interiore che lega ogni uomo agli altri, quella dimensione dove la politica si fonde con la metafisica e nulla resta chiaramente definito. È questo il terreno in cui "Into the Abyss" scava con maggiore energia, il terreno dell'irrazionale dove siamo tutti allo stesso tempo vittime e carnefici legati insieme dalla nostra imperfetta umanità.

La maestria documentaristica del regista tedesco ha raggiunto la sua piena maturità già da molti anni ("Apocalisse nel deserto" 1992, "Grizzly Man" 2005, "Encounters at the end of the world" 2007, "Cave of forgotten dreams" 2010), "Into The Abyss" ne è l'ultimo, forse più significativo, figlio che chiarisce definitivamente quanto per Herzog sia semplice narrare storie di uomini e degli abissi che questi nascondono nel profondo del loro animo.



[1] Le considerazioni filosoficamente più interessanti sono firmate da Martin Heidegger in "Essere e tempo",trad. it. Di P.Chiodi a cura di F.Volpi, Longanesi, Milano  2005; ma notevoli contributi sono anche quelli di V.Jankelevitch in "La morte",trad. it di V.Zini a cura di E.Lisciani-Petrini Einaudi, Torino 2009 e sempre di Jankelevitch in "Pensare la morte" a cura di E.Lisciani-Petrini, Raffaello Cortina, Milano 1995. Notevole anche lo studio di E. De Martino "Morte e pianto rituale nel mondo antico. Dal lamento pagano al pianto di Maria", Bollati Boringhieri, Torino 2000.

[2] Gli esempi sarebbero così tanti che ci limitiamo a citare il solo Luigi Capuana, capostipite ed importante teorico del verismo, che oltre all'impegno letterario era uno dei pionieri dell'arte fotografica e tra le sue fotografie possiamo trovare due scatti della madre: uno subito prima della morte e l'altro successivo con la donna vestita d'un abito tradizionale siciliano (si veda in merito W. Settimelli, "Le fotostorie", 18 febbraio 2007).


08/04/2012

Cast e credits

cast:
Werner Herzog, Jason Burkett, Michael Perry, Jeremy Richardson, Adam Stotler, Sandra Stotler, Kristen Willis


regia:
Werner Herzog


titolo originale:
Into the Abyss


durata:
107'


produzione:
Werner Herzog


sceneggiatura:
Werner Herzog


fotografia:
Peter Zeitlinger


montaggio:
Joe Bini


musiche:
Mark De Gli Antoni


Trama
Conroe, Texas. Due adolescenti, Michael Perry e Jason Burkett, per rubare un'automobile assassinano tre persone. Burkett verrà condannato all'ergastolo mentre la pena capitale sarà sentenziata per Perry. Poco più d'una linea di cronaca nera che Herzog affronta con sguardo caleidoscopico mostrando le multiple facce del dolore