A livello internazionale il cinema dello Sri Lanka ha registrato il suo momento più alto di questi ultimi decenni con la vittoria della Caméra d’or per la miglior opera prima da parte del regista Vimukthi Jayasundara, con il film "Sulanga Enu Pinisa" presentato nella sezione Un certain regard al Festival di Cannes del 2005.
Prima di allora la "lacrima dell’India" era ricordata più che altro come location di importanti produzioni internazionali che avevano scelto lo Sri Lanka per le ambientazioni esotiche (è il caso di "Indiana Jones e il tempio maledetto" e di "Il ponte sul fiume Kwai").
Di sicuro il cinema cingalese non può vantare l’eco internazionale né i numeri della vicina India, eppure ciò non ha impedito alla triestina Pilgrim Film e al regista Andrea Magnani ("Easy - Un viaggio facile facile") di avventurarsi nella coproduzione (insieme alla locale Sapushpa Expression) di quest’opera di Sanjeewa Pushpakumara, presentata al Tokyo International Film Festival del 2022, dove si è aggiudicata il premio per il miglior contributo artistico.
Il film racconta la storia del giovane Amila, che dopo aver perso i genitori si trasferisce da un villaggio dello Sri Lanka alla capitale Colombo, assieme ai suoi fratelli e sorelle. Tra di essi c’è la piccola Inoka, affetta da una rara patologia cardiaca per la quale servirebbe un costoso intervento chirurgico da eseguirsi in India. Amila prova a metter da parte i soldi per l’operazione lavorando in un cantiere, ma non essendo ciò sufficiente inizierà a commettere piccoli furti, fino a quando verrà avvicinato da una signora dai modi gentili che gli proporrà di lavorare per lei. Amila si troverà così catapultato nel mondo del traffico clandestino di neonati, staccati dalle braccia delle proprie madri e venduti alle coppie di europei che non vogliono o non possono sottoporsi alla trafila burocratica delle adozioni legittime.
"Il canto del pavone" è un’opera dagli ampi tratti autobiografici, in cui il regista non si dimostra per nulla tenero con il proprio paese, di cui vengono evidenziati, senza sconti, problemi quali la corruzione, la povertà estrema della popolazione, gli squilibri sociali, nonché lo stesso tema dei traffici di esseri umani che è al centro della sceneggiatura.
Lo Sri Lanka è un paese profondamente segnato dalle tensioni religiose (si pensi agli scontri tra buddisti e musulmani del 2018) ed etniche (il conflitto tra il governo centrale e le Tigri Tamil si è concluso soltanto nei primi anni 2000, dopo vent’anni di lotta), ma anche dalla crisi economica che nel 2022 ha portato all’assalto del palazzo presidenziale e dalla memoria non ancora sopita dei danni derivanti dal devastante tsunami del 2004.
In questo contesto, la storia di Amila ci rimanda per certi versi agli scenari a noi noti dell’Italia del secondo dopoguerra (la prima parte sembra voler essere un "Ladri di bicilette" a Ceylon), dove si mescolano povertà e spinta alla ripartenza. In tal senso, il regista utilizza metafore piuttosto marcate, come quella del grattacielo in costruzione - dove si rifugiano i protagonisti, non avendo una casa - che rappresenta un paese che prova a rialzarsi per l’ennesima volta.
Quanto allo stile, Sanjeewa Pushpakumara si rifà al cinema d’autore europeo e a quello dell’estremo oriente, più che ai suoi omologhi indiani e indocinesi. Più che al realismo magico di Apichatpong Weerasethakul, il regista cingalese sembra ispirarsi al realismo nordico (non è peregrino accostarlo a Refn) e in generale a un cinema in cui gli aspetti metafisici e spirituali lasciano completamente spazio a un profondo sentimento di umanità e a un totale ancoraggio alle dinamiche sociali.
cast:
Akalanka Prabhaswara, Sabeetha Perera, Dinara Punchihewa, Lorenzo Acquaviva
regia:
Sanjeewa Pushpakumara
titolo originale:
Peacock Lament
distribuzione:
Pilgrim Film
durata:
102'
produzione:
Pilgrim Film, Sapushpa Expressions
sceneggiatura:
Sanjeewa Pushpakumara
fotografia:
Sisikirana Paranavithana
montaggio:
Giuseppe Leonetti
musiche:
Cristian Carrara