Esiste un paradosso nell'opera prima di Andrea Magnani che per fortuna dell'interessato concorre al successo del suo film. Prima di addentrarsi in ulteriori spiegazioni è però necessario entrare nel merito del lungometraggio perché "Easy" è una di quelle opere a cui il pubblico italiano è purtroppo poco abituato. E qui non si fa riferimento alla struttura da road movie scelto da Magnani per raccontare il personaggio che da il titolo al film - un ex promessa dell'automobilismo colpito da una depressione che lo ha fatto ingrassare a dismisura - e neanche al fatto che "Easy", avendo come obiettivo primario quello di divertire il suo pubblico, appartenga di diritto alla schiera dei prodotti che puntano ad ottenere un consenso vasto e popolare ricercandolo attraverso la proposta di un contesto - la solitudine del personaggio, la sua difficoltà di relazionarsi con il mondo esterno, la costrizione a farlo nei suoi modi goffi e impacciati - di facile interpretazione. Il motivo che fa la differenza in "Easy" è anche quello più rischioso per un cinema (italiano) che ha paura di uscire fuori dalle proprie sicurezze; e con questo intendiamo puntare l'attenzione di chi legge su una tipologia di comicità fuori dalla norma, in ragione del fatto che le risate suscitate dalla storia nascono all'interno di uno scenario tutt'altro che felice (c'è di mezzo la morte di un operaio, avvenuta nel cantiere del fratello del protagonista) e sullo sfondo di un paesaggio dominato dalla pianura desolata e piatta che dall'Italia conduce Easy e il suo carro funebre nel piccolo villaggio dell'Ucraina dove dovrà essere recapitata la salma.
Ma non è finita qui perché Magnani in qualità di sceneggiatore firma un copione quasi privo di parole e in cui i dialoghi, quando presenti, altro non sono che il modo usato dal regista per dare voce - si fa per dire - all'incomunicabilità di Isidoro (uno strepitoso Nicola Nocella, autore di una performance da attore di cinema muto). Da qui si capisce, e lo spettatore avrà modo di vederlo con sommo piacere sul grande schermo, che a provocare gli applausi a scena aperta e la partecipazione della sala (così ieri è successo durante la proiezione) non è la capacità di inanellare una battuta più felice di un'altra ma piuttosto la capacità del regista di calare Isidoro in una serie di accadimenti e di situazioni che diventano esplosive allorché ci si rende conto della strana compatibilità tra il corpo extra large del "candido" protagonista e quello rarefatto e senza nome raffigurato dalla galleria di tipi umani che Easy incontra sul suo percorso. Appurato che in "Easy" il silenzio e la stasi (si pensi al senso di certi campi lunghi che ci mostrano Easy immerso nel paesaggio) contano come e forse di più del rumore e del movimento, va detto che il menù offerto da Magnani non si fa mancare niente, imbastendo una serie di scene "madri" davvero irresistibili, a cominciare da quella che nella prima parte del film ci mostra Easy alle prese con una tecnologia che si ribella alle sue funzioni; oppure alle altre, di diverso tenore, in cui non senza difficoltà a emerge è la presa di coscienza delle proprie responsabilità, inizialmente restituite al mittente attraverso il refrein - "Cosa devo fare?" - pronunciato da Easy ogni volta che è chiamato a prendere una decisione. Se è vero che perdersi è l'unico modo per ritrovarsi, "Easy", alla stregua dei vari "Marrakesh Express" e di di "Marrakesh Express" potrebbe diventare il manifesto (esistenziale) di una gioventù contemporanea che si trova in mezzo al guado. In quest'ottica il film di Magnani è espressione di un'universalità ovunque riconoscibile, ispirando un senso di identificazione in cui si trovano parte delle ragioni che decretano il successo del film. In gara nel concorso dedicato ai Cineasti del presente "Easy" è uno dei candidati alla vittoria del premio maggiore e più in generale non ci stupiremmo di ritrovare Andrea Magnani e la sua banda tra i candidati dei prossimi David di Donatello.
09/08/2017