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recensione di Vincenzo Chieppa
7.0/10

"CODA", in Italia dapprima tradotto con e poi affiancato da "I segni del cuore", è il remake di "La famiglia Bélier", quel delizioso film francese di Eric Lartigau che anche da noi, ormai sette anni fa, ebbe un discreto successo di pubblico raccontando la storia di una famiglia i cui membri sono affetti da sordità, ad eccezione di uno dei due figli, la giovane Paula, che si prende carico delle questioni familiari, dalle più banali alle più complesse. Un onere che finisce per diventare un limite all’emersione della propria personalità e della propria libertà come individuo.
È esattamente la storia che racconta anche "CODA", acronimo di Child Of Deaf Adults (figlio di genitori non udenti), che sposta l’azione dal contesto bucolico dei Pays de la Loire a quello marinaresco di Gloucester, Massachusetts, a due passi da Manchester-by-the-Sea e da Salem, in quella Contea di Essex che è evidentemente zona geografica propizia all’immaginario cinematografico.
Dall’allevamento, attività cui è dedita la famiglia Bélier, si passa alla pesca, che da generazioni occupa la famiglia di Frank Rossi, che ha iniziato a tale pratica i due figli Ruby e Leo, avuti dalla moglie Jackie, sorda anch’ella, come Frank.
Il film si apre proprio con padre e figli impegnati in una giornata di pesca in pieno Atlantico. Vediamo Ruby cantare a squarciagola canzoni che suo fratello e suo padre non possono sentire (e tantomeno ascoltare), introducendo fin da subito l’altro tema importante del film, quello musicale. Per Ruby il canto è una passione, esattamente come per la Paula di "La famiglia Bélier". Una passione che non può condividere con la famiglia e che si rivelerà un autentico dono agli occhi del suo maestro di coro.

In Italia "CODA" è passato decisamente sottotraccia: anteprima nazionale fuori concorso al Torino Film Festival, cui non è seguita la distribuzione in sala, nonostante fosse stata inizialmente annunciata; uscita diretta per il mercato home video (e contemporaneamente su alcune piattaforme v.o.d.) lo scorso mese di febbraio, per poi essere riesumato dalla pay per view in seguito alla candidatura a tre Oscar (tra cui miglior film); uscita in sala soltanto dopo che le tre nomination si sono trasformate in altrettanti premi, solo apparentemente a sorpresa, visto che il film aveva già trionfato al Sundance 2021 (dove si era aggiudicato il Gran Premio della Giuria, il Premio del pubblico e i premi per la miglior regia e il miglior cast), ai BAFTA (miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista a Troy Kotsur) e ai SAGA (anche qui premiato Kotsur insieme al cast nel suo complesso).
Come in tutti gli ormai sempre più diffusi remake americani di film europei di successo, la storia di "CODA" si discosta poco o nulla dal soggetto originale, tanto da sembrarne una copia carbone, con piccole variazioni narrative e di contesto che eppure, almeno in qualche caso, sono configurabili come distinguo non banali, capaci di conferire un piglio diverso e peculiare alla storia made in USA rispetto all’originale francese.
Intanto l’aver spostato il contesto in ambito marinaresco non si è risolto soltanto in una banale differenza di ambientazione. Lo dimostra la piega che prenderanno gli eventi e, in particolare, quanto il paventato allontanamento di Ruby dalla sfera familiare possa risultare pregiudizievole nei confronti della stessa sussistenza dei propri genitori, con una minaccia diretta all’attività economica da essi svolta.
O ancora la sottotrama politica, che nell’opera francese era un’improbabile campagna elettorale che vedeva il capofamiglia nei panni di candidato sindaco, mentre in "CODA" è una più centrata lotta sindacale tra pescatori e grossisti, che a noi italiani non può non ricordare – almeno per il tema – "La terra trema" di Visconti, ma che per Sian Heder, nata e cresciuta vicino alla costa atlantica del New England, altro non è che un modo di contestualizzare la storia in un ambiente geografico e culturale a lei più prossimo.
Ma a emergere è ancor di più la scelta di spostare in secondo piano le tematiche musicali, che nell’opera francese facevano capolino più insistentemente. In "La famiglia Bélier" centrale era infatti la focalizzazione sull’opera di un grande chansonnier della canzone popolare francese, Michel Sardou, i cui brani costituivano la colonna sonora pressoché esclusiva del film, per culminare con la straordinaria "Je vole", che assecondava in maniera perfetta la narrazione. In "CODA" non c’è invece un aggancio a uno specifico autore, forse - banalmente - perché trovare qualcosa di analogo a Sardou (e alle sue canzoni) nella musica popolare americana non era così semplice. In particolare, la pur bellissima "Both Sides Now" di Joni Mitchell non ha la rilevanza narrativa di "Je vole", vero e proprio momento clou della pellicola francese.
In "CODA" la musica diventa quindi strumento espressivo indefinito, quello che porterà all’emancipazione di Ruby, e non un vero e proprio strumento diegetico, o almeno non come nell’originale francese. Senza che ciò costituisca un difetto, beninteso, bensì un diverso modo di intendere il ruolo delle canzoni (e in particolar modo dei loro testi) in un film in cui la musica ha un peso importante anche sotto il profilo narrativo.

Quelle sopra elencate sono piccole variazioni, sì di sostanza, ma sicuramente insufficienti a giustificare l’entusiasmo attorno a una sceneggiatura che, in fin dei conti, non fa che rimasticare in salsa americana l’originale francese (checché ne pensino l’Academy hollywoodiana e quella britannica che, in modo abbastanza incomprensibile, gli hanno conferito i premi - rispettivamente, Oscar e Bafta - nella relativa categoria).
Perché al massimo è la regia – ben più che la sceneggiatura – ad avere momenti degni di rilievo rispetto all’originale. Nella sequenza più suggestiva dell’intero film, quella che si svolge durante il duetto cantato al saggio di fine anno, l’audio svanisce lentamente fino ad azzerarsi del tutto, portando gli spettatori sullo stesso piano sensoriale dei genitori di Ruby, che la stanno guardando senza poterla ascoltare. È esattamente ciò che accade anche in "La famiglia Bélier", eppure là dove Lartigau inquadrava la scena utilizzando quasi esclusivamente delle oggettive, Heder ricorre a una più logica e centrata alternanza di oggettive e soggettive, che permettono di portare a compimento il processo di immedesimazione. È solo uno degli esempi - per quanto apparentemente banale - di come la regia di Heder sembri più a fuoco rispetto a quella di Lartigau, ripercuotendosi sull’equilibrio complessivo del film, che finisce per apparire visivamente più quadrato dell’originale, sicuramente nel rapporto tra il soggetto e il modo in cui esso è rappresentato.
Centrata anche la scelta di utilizzare attori effettivamente non udenti (a differenza di "La famiglia Bélier" - che per questo motivo fu criticato dalla comunità sorda - e del recente "Sound of Metal"), tra cui Troy Kotsur, straordinario nel ruolo del padre di Ruby, e la Marlee Matlin già premio Oscar per "Figli di un dio minore" (era l'unica attrice sorda ad aver avuto sino ad ora questo riconoscimento, da quest'anno affiancata, nella categoria maschile ovviamente, proprio da Kotsur).

"CODA" fa parte di quelli che vengono definiti feel good movies e sotto quest’aspetto non si può dire che il film non sia pienamente riuscito, con buoni momenti ironici e uno sviluppo emotivo cui è impossibile rimanere indifferenti. Il pregio maggiore è forse, tuttavia, quello spirito indie che trasuda dall’intera pellicola, che si tiene sempre ben distante dal tono faceto e semplicistico tipico della commedia mainstream, pur avendo tutte le carte in regola per catturare l’attenzione del grande pubblico. Uno spirito indie ormai anch’esso codificato – quasi alla stregua di un genere cinematografico –, ma che in "CODA" appare genuino. E in tal senso non è un caso che il film abbia già registrato un record piuttosto rappresentativo della sua capacità di fondere idealmente cinema indipendente e successo commerciale: l’anno scorso, per aggiudicarsi i diritti di "CODA", Apple ha tirato fuori la più alta cifra finora mai spesa da un distributore per un film presentato al Sundance. Il che - da un lato e per i più integralisti - potrebbe costituire l’ennesima conferma della sempre più spiccata volontà del Sundance di scendere a compromessi con le logiche commerciali. O forse, più semplicemente e meno ideologicamente, ciò potrebbe rappresentare la conferma dell’importanza di questi ibridi contemporanei, forse non così rilevanti dal punto di vista strettamente artistico, ma fondamentali per la sopravvivenza di un’idea di commedia che in Europa (e soprattutto in Francia) si tende a dare un po’ troppo per scontata.


21/03/2022

Cast e credits

cast:
Emilia Jones, Eugenio Derbez, Troy Kotsur, Marlee Matlin, Ferdia Walsh-Peelo


regia:
Sian Heder


titolo originale:
CODA


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
111'


produzione:
Vendôme Pictures, Pathé Films


sceneggiatura:
Sian Heder


fotografia:
Paula Huidobro


scenografie:
Diane Lederman


montaggio:
Geraud Brisson


costumi:
Brenda Abbandandolo


musiche:
Marius de Vries


Trama
Gloucester, Massachusetts. Da generazioni la famiglia di Frank Rossi è impegnata nell'attività della pesca. Frank è sordo, come sua moglie Jackie e loro figlio Leo. Solo Ruby, la figlia più piccola, può sentire e parlare, a differenza degli altri membri della famiglia. Per questo motivo li aiuta a sbrigare ogni genere di faccenda e, soprattutto, li aiuta con il lavoro sul peschereccio. Fino a quando Ruby scoprirà di avere una dote nascosta, per assecondare la quale si renderà necessaria una difficile emancipazione dalla propria famiglia.
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