Ondacinema

recensione di Diego Testa
6.0/10

sound of metal

Esordio al lungometraggio di finzione per Darius Marder, il soggetto di "Sound of Metal" è legato al suo genitore, Derek Cianfrance, meno di quanto sembri.
Delle storie del regista di "Blue Valentine" rimangono alcuni schematismi, come il nucleo dualistico in cui principia il dramma, e sicuramente alcune caratteristiche che descrivono i personaggi, guardando a quanto Ruben Stone somigli visivamente al Ryan Gosling di "Come un tuono", film già co-sceneggiato da Marder.
Appunto, rimosse alcune similitudini produttive, la spirale afona di Ruben Stone (Riz Ahmed) non si lega alle maglie temporali dei racconti di Cianfrance, né s’impenna visivamente nei suoi apici emotivi. Marder piuttosto si attacca al tormento del giovane Ruben, improvvisamente affetto da sordità e dunque impossibilitato a continuare la sua carriera di musicista insieme alla sua amata Lou (Olivia Cooke), e ne rappresenta nitidamente ogni deformazione, ogni traccia di isolamento rispetto alla nuova realtà e il suo sprofondarvi.

La carriera musicale underground vissuta come un sogno da Ruben e come una fuga da Lou, fatta di nomadismo a bordo della motorhouse Airstream per coltivare il loro amore, si dissolve nella improvvisa condizione della quasi totale sordità di lui. Scontrandosi con un sistema sanitario esoso, mentre Lou torna a Parigi per costringerlo a smettere di esporsi ai rumori forti, a Ruben rimane la comunità di recupero per sordi e tossicodipendenti al fine di accettare e convivere con la sordità.
"Sound of Metal" cerca fin dagli opening shots una restituzione realistica e introspettiva della vicende: camera a mano e inquadrature da musica dal vivo a cui il montaggio intervalla una camera fissa con lento zoom-in su Ruben.
Descrivere la prima scena serve a capire come Marder non cerchi l'aspetto veristico per descrivere quanto piuttosto restituire la condizione del dramma di Ruben da una prospettiva interna, fortemente focalizzata, ed esterna. Point-of-hearing arriva a chiamarlo Marder [1], battuta eccessivamente ambiziosa, dato che vi costruisce interamente il film arrivando a paralizzarne l’espressività in una focalizzazione intorno al protagonista e al suo modo di sentire.
Le continue entrate e uscite nella e dalla percezione uditiva di Ruben - rimbombo pieno, isolante e corposo - sono la soluzione di sound design per coinvolgere lo spettatore e sottolineare, ricorrentemente, la sua partecipazione alla condizione di Ruben. Difatti molti elementi di "Sound of Metal" sottolineano questo adagio: l’assenza di musica extradiegetica, le sensazioni auditive del protagonista, la vicinanza della camera allo stesso e le continue, strategiche, limpide semi-soggettive nei dialoghi. 

La formazione di Marder nel documentario, sia come regista che come montatore, delimita la visuale di "Sound of Metal" che vuole essere descrittiva e avvolgente rispetto a una condizione fisica e non ai contesti, che pure hanno un loro valore, in cui Ruben si muove (le comunità di recupero, l’accesso al sistema sanitario, il nomadismo e via discorrendo).
Ecco perché non vi è mai discontinuità nel passaggio tra scenografie e contesti differenti durante il dispiegarsi della trama. Se da una parte i campi e controcampi dei dialoghi sembrano interviste in profondità dei sentimenti di Ruben, dall’altro la camera a mano riverbera quella stessa inadeguatezza al superamento dell’handicap, duplicando la sensazione e ribadendo la tesi: la paura di rimanere soli.

Elementi questi che preparano alle battute finali in cui si introduce il suono metallico del titolo, causato da un'operazione mostrata ancora una volta sotto la lente documentaristica, che riduce la realtà udibile a intromissioni rumorose e ingestibili, sancendo nell’epilogo parigino una solitudine principalmente umana. L’incipit, scandito da chitarra, voce e percussioni declinati nelle forme dello (sludge) metal, fa appunto da contraltare alla parte finale del racconto in cui uno sgradevole suono si interpone nella possibilità di Ruben di ripristinare la sua vita con Lou e che può soltanto essere "spento".
"Sound of Metal" si dimostra una sufficiente prima prova di regia per Marder, capace di gestire le forme del racconto intimo senza scadere in stratagemmi voracemente melodrammatici (vedi "La luce sugli oceani") e gestendo discretamente l’accumulo di materiale (oltre alla sordità ci sono accenni alla tossicodipendenza, ai rapporti genitoriali e all’autolesionismo oltreche ai già citati sistema sanitario e comunità di recupero). Peccato appunto la ridondanza in fase di regia e un accenno di stereotipo nei soggetti descritti.

Miglior montaggio e miglior sonoro agli Oscar 2021.


[1] Fonte: intervista di Collider.com


23/01/2021

Cast e credits

cast:
Riz Ahmed, Olivia Cooke, Paul Raci, Lauren Ridloff, Mathieu Amalric


regia:
Darius Marder


titolo originale:
Sound of Metal


distribuzione:
Prime Video


durata:
120'


produzione:
Caviar, Flat 7


sceneggiatura:
Darius Marder, Abraham Marder


fotografia:
Daniël Bouquet


scenografie:
Jeremy Woodward


montaggio:
Mikkel E.G. Nielsen


costumi:
Megan Stark Evans


musiche:
Nicolas Becker, Abraham Marder


Trama
Ruben è un batterista di un duo itinerante improvvisamente affetto da sordità. Dovrà decidere se accettare la sua condizione e come affrontarla per non rimanere solo.