L'omonima famiglia del titolo è composta dalla madre esuberante Gigi, dal padre determinato e ribelle Rodolphe, dal piccolo e furbo Quentin e dall'adolescente timida e impacciata Paula. Vivono e gestiscono un'azienda agricola in un piccolo villaggio nel Pays de la Loire vicino alla Normandia, curano il bestiame, coltivano i campi, producono del formaggio che vendono al mercato settimanale. In questa bucolica atmosfera c'è un dettaglio: sono tutti sordomuti, eccetto Paula, che funge da interprete all'intera famiglia nella gestione quotidiana della fattoria.
Il tema quindi potrebbe essere interessante e socialmente impegnato nel mettere in scena la quotidianità di persone con handicap all'interno di una società ipercompetitiva come la nostra. A questo vengono aggiunte poi le vicende adolescenziali di Paula, presa nel suo momento di trasformazione in donna con i primi amori, le incertezze, i dubbi, la voglia di fuga e allo stesso tempo l'amore per la famiglia.
Ai due temi portanti Éric Lartigau unisce anche il confronto tra una vita agreste legata al territorio contro la cementificazione selvaggia (lo scontro politico tra Rodolphe e il sindaco uscente, che si ricandida alle elezioni proponendo la costruzione di un enorme centro commerciale); la musica come elemento di liberazione, per scoprire vasti mondi e nuove realtà, dalla vita del villaggio fatta di pochi eventi e di routine dettata dagli orari della fattoria (la scoperta del talento musicale di Paula da parte del suo professore di musica del liceo che la convince a partecipare a un concorso canoro della radio nazionale a Parigi).
Ma nell'amalgama dei vari temi, alla fine, quello che interessa al regista è raccontare la storia di un'adolescente e del suo mondo (in una visione che rielabora molto in versione agreste "Il tempo delle mele" di Claude Pinoteau) e tutto il resto sembra che siano solo dei pretesti narrativi che restano molto sulla superficie e che servono solo per far evolvere il personaggio di Paula. Insomma, un po' troppo tutto molto carino, tutto molto a modo, dove gli screzi non sono mai veramente tali, i confronti e gli scontri alla fine trovano sempre un accomodamento e tutto finisce in un unico, collettivo, abbraccio amorevole e zuccheroso. La sceneggiatura è dunque prevedibile nel suo sviluppo, costruita senza guizzi, con tutte le scene e i dialoghi costruiti da manuale scolastico.
Un film non brutto, ma ordinario, al massimo con una certa dose di carineria, a cui non bisogna chiedere più di tanto, se non lasciarsi andare alla simpatia e alla bravura di Louane Emera che interpreta Paula. La giovane attrice debuttante canta dal vero (ha partecipato al The Voice francese) canzoni di Michel Sardou (chansonnier popolare in Francia) in un gusto retrò che pervade tutto il film, riuscendo a trasmettere emozioni allo spettatore e interpretando in modo empatico, con tutte le sue debolezze, il proprio personaggio (e che le ha fatto vincere il premio César come miglior promessa femminile).
Alla bravura della giovane Emera, aggiungiamoci poi che ci sono tre sequenze, tutte nella seconda parte della pellicola, che portano in crescendo al finale, veramente ben dirette ed emozionanti, che danno lustro alla regia di Lartigau, al contrario per il resto molto ordinaria, e che in qualche modo salvano il progetto filmico.
La prima l'abbiamo durante il concerto di fine anno del coro scolastico a cui partecipa Paula. Alla fine Paula con in suo compagno (e innamorato) fanno un duetto. Ma, con uno scarto di regia intelligente, la macchina da presa si sposta sul pubblico verso i genitori e il fratello e lentamente il sonoro scompare, fino al silenzio assoluto, in una soggettiva mentale dei familiari di Paula, che appunto non possono udire nulla. E mentre i due ragazzi muovono le loro bocche mute, Gigi, Rodolphe e Quentin osservano la musica attraverso gli sguardi del pubblico che si commuove, si emoziona all'esibizione dei due ragazzi. In questa assenza del sonoro c'è quasi una dichiarazione di forza dell'immagine come mezzo espressivo.
La seconda, conseguente, scena l'abbiamo di sera alla fattoria, dopo che Paula dichiara che rinuncia a tutto per stare con i suoi genitori (e in particolare dopo le rimostranze della madre, che non vuole che sua figlia abbandoni il nido familiare per andare a studiare a Parigi). Paula è seduta sul prato vicino e il padre le siede accanto, le posa la mano sulla gola e le chiede di cantare la canzone del saggio che non ha potuto ascoltare. Adesso lo spettatore sente per intero cantare Paula in modo malinconico e passionale e il padre attraverso le vibrazione delle corde vocali della figlia, di nuovo il contatto, il gesto, in un totale fisso.
Per poi arrivare al lieto fine, dove il padre si convince e - con tutta la famiglia - porta Paula al concorso canoro e qui canta a un certo punto utilizzando la lingua dei segni (francese) per rendere partecipe la sua famiglia. Il gesto come segno visivo diventa ancora determinante per comunicare emozioni a qualsiasi tipo di spettatore. In un lieto fine inevitabile e, alla fine, desiderato.
cast:
Louane Emera, Karin Viard, François Damiens, Éric Elmosnino
regia:
Eric Lartigau
titolo originale:
La Famille Bélier
distribuzione:
Bim
durata:
105'
produzione:
Jerico, Mars Film
sceneggiatura:
Victoria Bedos, Stanislas Carré de Malberg
fotografia:
Romain Winding, Alice Delva
scenografie:
Olivier Radot
montaggio:
Jennifer Augé
costumi:
Anne Schotte
musiche:
Evgueni Galperine, Sacha Galperine
Nella famiglia Bélier sono tutti sordomuti tranne la sedicenne Paula. Nella vita di tutti i giorni, Paula svolge il ruolo indispensabile di interprete dei suoi genitori, in particolare nella gestione della fattoria di famiglia. Un giorno, incoraggiata dal professore di musica, che ha scoperto il suo talento per il canto, decide di prepararsi per partecipare al concorso di Radio France. Una scelta di vita che per lei comporterebbe l'allontanamento dalla sua famiglia e l'inevitabile passaggio verso l'età adulta.