Al regista texano John Cameron Mitchell - autore di "Hedwig - La diva con qualcosa in più" e "Shortbus - Dove tutto è permesso" - piace spiazzare lo spettatore. Se nel primo film affrontava le vicissitudini di una cantante rock transgender e nel secondo trattava temi sulla liberazione sessuale, come momento di catarsi in una New York post 11 settembre, nella sua quarta pellicola si cimenta con un trio di ragazzi inglesi nel periodo punk che incontrano casualmente un gruppo di alieni in visita sul nostro pianeta. Mitchell scrive la sceneggiatura (insieme a Philippa Goslett) basandosi sul racconto omonimo dello scrittore e fumettista Neil Gaiman, appartenente a quella generazione di autori inglesi che hanno rivoluzionato i romanzi a fumetti e alcuni personaggi della DC comics e della Marvel. Gaiman è anche autore di libri per ragazzi e il suo più famoso è forse "Coraline" da cui è tratto l'omonimo film di animazione.
Insomma, l'ottima materia prima di partenza c'è tutta. L'originalità delle storie scritte e illustrate di Gaiman è indubbia; così come l'idea di ripercorrere lo spirito anarchico e ribelle del movimento punk e introdurre l'elemento alieno: del resto, il confronto tra le due culture in potenza poteva creare scintille e produrre una narrazione quantomeno divertente.
Enn (Alex Sharp) dopo aver partecipato a un concerto in un club, si ritrova con i suoi due amici in una villa isolata dove incontrano gli alieni e la sequenza straniante è girata dal punto di vista dei tre ragazzi in modo da introdurre lo spettatore in un'alterità che crea stupore e aspettative. Qui, Enn incontra Zan (Elle Fanning), appartenente a una delle sei colonie di cui è composto il gruppo di extraterrestri in visita turistica sulla Terra. Zan però non si accontenta di essere una semplice turista e fugge con il giovane per provare in prima persona le sensazioni umane e affrontare l'esperienza punk, di cui Enn diviene una sprovveduta guida, prima affascinato e poi innamorato della bella aliena.
A Mitchell però non interessa la musica in quanto tale, non gli importa in fondo nemmeno raccontare la società inglese dell'epoca. Del resto, liquida i Sex Pistols e i Ramones attraverso il personaggio interpretato da Nicole Kidman (Regina Boadicea) a cui mette in bocca che i due gruppi si sono venduti al sistema, lei scopritrice di talenti musicali da lanciare nell'industria musicale (con un certo contrasto tra apparenza e sostanza: cioè essere punk e vivere come una ribelle, ma allo stesso tempo cercare successo e affermazione con le etichette discografiche). Anche la rappresentazione delle razze aliene diviene un gioco tra il grottesco e il citazionistico, con la bolsa metafora del conflitto tra collettività e affermazione dell'individualità. Ed è molto facile paragonare la società extraterrestre con quella inglese - dove tutti sono omologati e la regina è la "madre" del popolo da onorare. La ricerca d'indipendenza di Enn dalla madre (il padre lo ha abbandonato quand'era bambino), la sua voglia di trovare un proprio posto nel mondo come persona, lo lega alla stessa Zan, in cui trova una sodale insperata.
Ma alla fine, sottraendo il contorno e lo scenario di fondo, "How to Talk to Girls at Parties" si riduce nel suo nucleo centrale a una storia di un primo amore adolescenziale al suo sbocciare, e sotto la commistione di genere, tra commedia musicale e fantascienza, abbiamo un "teen movie" basato sul "coming of age", nel passaggio consuetudinario all'età adulta. Ecco che la parte più bella è proprio il concerto eseguito da Enn e Zan di fronte al pubblico punk e alieno (in cui le differenze si annullano) in una sequenza vibrante e psichedelica, simbolo dell'unione di due anime all'interno dell'Universo che li trasforma in adulti.
Ma è ben poca cosa in un film che non riesce mai a decollare. Mitchell non trasfigura né lo spirito del racconto di Gaiman né l'immagine fumettistica dello scrittore inglese. Traduce il tutto con schizzi di colore, alcune sequenze montate al rallentatore con l'effetto scia dell'immagine. Cinematograficamente prende a piene mani, per raccontare il mondo alieno, dalla scenografia e dai costumi di "Arancia meccanica" di Stanley Kubrick (le scene all'interno della magione degli alieni) e da "The Rocky Horror Pitcure Show" di Jim Sharman, per ricreare un immaginario anni 70. Anche Nicole Kidman sembra fare il verso al David Bowie di "Labyrinth - Dove tutto è possibile" di Jim Henson e il sesso alieno appare come una malriuscita citazione nella sua allure a "L'uomo che cadde sulla Terra" di Nicolas Roeg. John Cameron Mitchell affonda proprio nella messa in scena, che risulta confusa e incerta tra i diversi stili, in una sovraesposizione superficiale di temi appena accennati e citati, con il risultato di rendere il film un conglomerato di immagini meccaniche e stereotipate.
Presentato fuori concorso al 70° Festival di Cannes, "How to Talk to Girls at Parties" risulta così un'opera in cerca di una sua individualità, ma rientrando in una modalità postmoderna di creazione cinemica ormai diventata moda, un sovragenere abusato in questo nuovo millennio che ha perso molto della potenza creativa dei decenni precedenti.
cast:
Elle Fanning, Alex Sharp, Nicole Kidman, Ruth Wilson
regia:
John Cameron Mitchell
durata:
102'
produzione:
Little Punk, See-Saw Films
sceneggiatura:
Philippa Goslett, John Cameron Mitchell
fotografia:
Frank G. DeMarco
scenografie:
Hannah Spice
montaggio:
Brian A. Kates
costumi:
Sandy Powell
musiche:
Nico Muhly, Jamie Stewart
Nella Londra degli anni 70, il giovane punk Enn è alla ricerca della sua anima gemella. La trova nella bella aliena Zan, in viaggio esplorativo con la sua colonia sul pianeta Terra. Alla scoperta reciproca degli usi e costumi in modo comico e grottesco, sboccia un amore totale tra i due ragazzi.