Da sempre ossessionata dai conflitti fra culture ed etnie, Claire Denis aveva dato libero sfogo anche alla morbosità di uno sguardo sulle più indicibili pulsioni umane in un film di inizio millennio, quel "Cannibal Love - Mangiata viva", dove il suo occhio cinematografico si poneva di fronte ad enigmi morali e carnali profondi: ovvero, ci si interrogava su quali potessero essere i sacrifici da sopportare per appagare i propri istinti più voraci.
"High Life", scritto dalla regista francese e pensato a lungo prima della realizzazione, è un ambizioso tentativo di mischiare tutte le aspirazioni di un'intera carriera. L'alto e il basso, l'amore e il sesso, l'astrazione e il realismo, la solitudine e la socialità; le contraddizioni e le ambivalenze dell'animo umano deflagrano in questa pellicola di fantascienza, fortemente connessa, però, ai canoni più riconoscibili del cinema d'avventura. Una navicella spaziale non farà più ritorno sulla Terra. A bordo, una dozzina di criminali ergastolani o condannati a morte che accettano di fare da cavie per un triplo esperimento scientifico: raggiungere un buco nero riuscendo a catturarne l'energia che può assicurare un benessere pressoché eterno al pianeta; tentare di far nascere un bambino fuori dall'atmosfera terrestre, lanciati a una velocità che rasenta quella della luce e nel pieno delle radiazioni spaziali; e infine, più semplicemente, provare a convivere per un tempo indeterminato, gli uni con gli altri, nonostante la costrizione fisica e geografica metta a repentaglio l'equilibrio psico-fisico di tutti.
La Denis parte da Tarkovskij, guarda al filone pionieristico del genere sci-fi e infine cerca di applicare alla fantascienza le regole e i temi più tipici della sua filmografia. Ma se l'impianto scenico è efficace e originale, con questa scenografia retrofuturista ideata da François-Renaud Labarthe e fotografata elegantemente da Yorick Le Saux, è nella scrittura di questo dramma sospeso che l'autrice si perde e ci lascia storditi nella sua incoerenza narrativa. L'opera, alla fine, risulta un ammasso di suggestioni, un insieme di indizi frammentati riguardanti un lavoro più organico che, però, non vedrà mai la luce. Diversi pilastri della storia principale rimangono soltanto impressioni sullo sfondo, dalla ricerca del wormhole alla riflessione etica sull'utilizzo del progresso tecnico per il benessere degli esseri umani.
Più spazio, anzi uno spazio prevalente, assume la vicenda della dottoressa Dibs (interpretata da Juliette Binoche) che, approfittando della tossicodipendenza di tutto l'equipaggio, riduce i suoi compagni di viaggio a vere e proprie cavie umane per esperimenti mirati a un concepimento extraterrestre, nonostante i tanti fallimenti accumulati. E da qui, da questa ossessione per il concepimento umano, la Denis si compiace nel mettere in scena la stortura che è propria delle perversioni: un istinto naturale e anche nobile su questa astronave diventa meta finale di un procedimento di abiezione, dove gli uomini si masturbano furiosamente in una stanza apposita, le donne vengono viste come prede sessuali (e non solo, dato che vengono soverchiate continuamente per la loro inferiorità fisica) e la dottoressa stessa ha un rapporto confuso e rabbioso sia con il piacere sia con la sua stessa materia scientifica.
È stata proprio la cineasta francese ad escludere parentele di "High Life" con il resto della fantascienza contemporanea, anche se noi abbiamo visto molte influenze (e non sempre positive) di diversi film diventati punto di riferimento di un'epoca cinematografica, da "Interstellar" di Christopher Nolan a "Arrival" di Denis Villenueve. Questo genere, fino a questo momento sconosciuto alla Denis, entra di prepotenza nella sua carriera con un carico di contenuti paradossalmente molto superficiale: le inquadrature fisse che omaggiano "Stalker", così come la concezione stessa del viaggio come odissea di kubrickiana memoria, tutto contribuisce a fornirci un ricchissimo panorama visivo svuotato da un significato sottostante. In realtà, dei tanti rivoli in cui si divide a un certo punto la vicenda, ce n'era uno davvero meritevole di essere sviscerato, quello forse più semplice e apparentemente banale. In una condizione di violenza, degrado e morte, l'amore del protagonista Monte (un personaggio molto cronenberghiano cui presta corpo e voce Robert Pattinson, altro elemento difficile da considerare casuale) per la figlia Willow, nata da un abuso ma cresciuta con purezza di sentimenti, sarebbe stato un percorso da approfondire. Ma stavolta Claire Denis era distratta da troppi dettagli superflui, da troppe torbide curiosità, da una fascinazione per l'ignoto che non ha assunto forma compiuta.
cast:
Robert Pattinson, Juliette Binoche, Andre Benjamin, Scarlett Lindsey, Mia Goth
regia:
Claire Denis
distribuzione:
Movies Inspired
durata:
110'
produzione:
Pandora Film Produktion, Alcatraz Films, The Apocalypse Film Company, Mandants
sceneggiatura:
Claire Denis, Jean-Pol Fargeau
fotografia:
Yorick Le Saux
scenografie:
François-Renaud Labarthe
montaggio:
Guy Lecorne
costumi:
Judy Shrewsbury
musiche:
Stuart Staples