Clusterfuck theory
Buy them up and shut them down
Then repeat in every town
Every town will be the same this one’s
Five Corporations di Fugazi
L’ombra di un uomo si espande sulla facciata di mattoni di un palazzo, poi la camera si sposta senza staccare e inquadra Saul, muovendosi su un piano orizzontale da destra a sinistra ne inquadra la camminata con la città notturna sullo sfondo. La scena successiva, pressoché identica ma speculare, è dedicata a Zama che cammina lungo una schiera di palazzi a farle da cornice. I due protagonisti, ancora sconosciuti l’uno all’altra, stanno per incrociare le loro vite in una ferrigna New York.
"Funny Face" si apre con una convergenza fortuita, in un negozietto alimentare di Coney Island e si evolverà in una discontinuo spostarsi tra le strade newyorkesi. Da questi anfratti cittadini il regista Tim Sutton riprende a seminare lo sguardo sugli Stati Uniti, ancora una volta calato nella contemporaneità (una foto di Donald Trump sorride a Zama da un bancone) riprendendola dal basso per restituirne un profilo socio-politico e generalizzandone il profilo identitario all’intero paese.
Come in "Dark Night" gli strip mall e gli infiniti parking lot erano quelli di una nazione, qui la New York-struttura avviluppa Saul e Zama come una qualsiasi metropoli, isolandoli, cacciandoli, trasformandoli.
Il testo di Sutton parla attraverso le immagini, assottiglia i dialoghi e imprime una costante dualità su schermo: il monologo di Saul in auto è la foto-didascalia di un contesto in cui vige una contraddittorietà di fondo (le meraviglie e le storture della big city), raccontato da Sutton come una favola innaturale e colorata quando si acquistano delle scarpe e come un incubo rivelatore e mesmerico in quelle stanze di vetro in cui si muovono anonimi speculatori edilizi.
In questo racconto nero e documentale che parte "dal basso" e volteggia sulle teste dei due loosers, Sutton restaura gli archetipi scorsesiani, ci lavora sopra e aspira ai taxi drivers e ai cattivi tenenti dell’oggi senza rinunciare all’immedesimazione nei generi intrappolando il road-movie, disinnescando la vendetta e spezzando la love story in gesti incantati, estatici (un Nirvana al neon campeggia sopra le teste dei protagonisti).
"Funny Face" ghigna addolorato verso gli stessi speculatori edilizi che non vengono irrisi quanto anch’essi osservati isolarsi (non casuale che il personaggio del developer accenni alla costruzione di un ponte) a causa di una gentrificazione gerarchica e umanitaria, stilizzata nel ghigno grottesco - quasi un sorriso rovesciato - di un imprenditore che urla "Money!" per sottolinearne la mancanza e invocarne l’aiuto. Un urlo che nasce probabilmente dalla storia di una nazione, nascosta dietro una maschera, quella dello Steeplechase Park, che si fa persona violenta seppur ammaliante e che difatti è calata dall’alto in quanto evento indeterminabile e inevitabile.
Per i fratelli Safdie l’opale nero si estendeva alla frammentata virtualità di rapporti e socializzazioni, commentata dalla sovrapposizione tra suoni e dialoghi, come sottolinea Giuseppe Gangi. Per Sutton il rumore si fa silenzioso, radiofonico e punk (senza per questo farne suonare un solo accordo), restituito attraverso l’animosità di una gioventù bruciata e perduta, maldestramente supereroistica, lì dove il progresso si arresta alle segnalazioni stradali di dead end.
cast:
Cosmo Jarvis, Dela Meskienyar, Jonny Lee Miller, Jeremy Bobb, Rhea Pearlman, Dan Hedaya
regia:
Tim Sutton
distribuzione:
Film Constellation
durata:
95'
produzione:
Yellow Bear Films, Rathaus Films
sceneggiatura:
Tim Sutton
fotografia:
Lucas Gath
scenografie:
Alan Lampert
montaggio:
Kate Abernathy
costumi:
Lizzie Donelan
musiche:
Phil Mossman