Ondacinema

recensione di Matteo Pennacchia
7.5/10

La notte del 19 luglio 2012 James Holmes (24 anni) entra in un cinema di Aurora (Colorado) durante la proiezione de "Il cavaliere oscuro - Il ritorno" di Nolan. Equipaggiato di gas lacrimogeni, due fucili (uno semiautomatico, uno a canna liscia) e una Glock calibro .40, grida "I'm Joker!", o così pare agli astanti. Uccide dodici persone. Ne ferisce settanta. All'inizio gli spettatori pensano a uno show organizzato dalla produzione del film, proprio come il genio di Wes Craven ha messo in scena nell'incipit di "Scream 2", sequel del celebre slasher con cui "Dark Night" qualcosina da spartire ce l'ha, forse più di quanto non abbia con titoli dall'accostamento facile. Poniamola così, alla buona: il replicarsi nel quotidiano di figure appartenenti all'immaginario della società dell'intrattenimento ha generato anomalie in grado di passare inosservate, a meno di non essere scambiate per spettacolo? La cara vecchia paranoia ("la realtà su una scala più sottile", per dirla con "Strange Days") è sepolta in un passato in cui eravamo abituati a prestare attenzione a ciò che ci circondava? Abitiamo un presente ridotto ad avamposto del futuro che non concede di fermarsi a processare le immagini appena viste (altrimenti si resta indietro, sempre, per sempre indietro)?

Lo skateboard, la staticità, i videogames, i breakdown comunicativi e i down emotivi. Pure i berretti con la visiera all'indietro. Considerato il tema, l'accostamento a "Elephant" arriva spontaneo. Ogni simile strage americana, ogni mass shooting vera o rappresentata dopo il 1999 non può fare i conti senza l'oste della Columbine, che a prescindere da Gus Van Sant ha fissato su di sé, e attorno a sé, un canone estetico, etico, mediatico. Ma a far girare gli ingranaggi di "Dark Night" è piuttosto il riciclo dell'iconografia, l'eterno replay. Dice il regista Tim Sutton, tracciando il percorso realizzativo e commerciale del suo film: "Mentre stavamo montando, è avvenuto il massacro di 'Trainwreck' in Louisiana. Poco prima della presentazione al Sundance, c'è stato San Bernardino. Durante la proiezione al Bam Cinema Fest, sono successi i fatti di Orlando".
Mentre scrivo, gli Usa sono (di nuovo) ai ferri corti con la lobby delle armi, dopo le vittime di Parkland.
Il film che dà pretesto al massacro invisibile (perché già avvenuto in partenza) nel loop della diegesi di "Dark Night" è dunque lo stesso "Dark Night" (la cui locandina campeggia fuori dal cinema incriminato, come "In The Mouth of Madness" ne "Il seme della follia"). Non "The Dark Knight [Rises]", perché l'opera di Sutton non è stricto sensu la ricostruzione della strage di Aurora, né di alcun'altra strage. È tutte quelle stragi ed è la prossima strage. I frammenti di vita che ci vengono mostrati sparpagliati sullo schermo si ripropongono uguali a se stessi, e uguali a modelli riconoscibili di disagio e design narrativo che vanno dal militare sotto stress post-traumatico all'adolescente che si sfoga sugli animaletti domestici, fino alla drogata di selfie, all'abulico teenager-skater vansantiano e via dicendo. Il killer non è fra loro, ognuno (e nessuno) di loro è il killer. Ognuno esprime il vuoto e il relativo tentativo ozioso di colmarlo, fornendo al film l'alta tensione dell'incertezza, della mancata realizzazione del nostro desiderio di attribuire colpe e ruoli (in questo senso i personaggi principali, per lo più attori non professionisti, sono maschere oltre cui non si nasconde nulla - o oltre cui la cinepresa, la comprensione, non può spingersi). Quali che fossero gli scopi (panoramici o polemici), il risultato è un quadro americano che è anche un quadro sulla poiesi engagé di quel cinema americano che passa al microscopio la dimensione sociale del Paese, le cui tendenze (eroismo civile-popolare in un angolo, schieramento - o almeno, sollevazione del quesito - morale in un altro, ecc.) sono qui azzerate.

Sai che novità? E infatti l'incatalogabile opera di Sutton non si sconnette dalle tradizioni formali più o meno indie, ibride (leggi: docufiction) e minimaliste che a bizzeffe ne hanno anticipato i tratti, ma dalla realtà storica in/da cui è nata. Sostando a osservare i tempi morti precedenti la tragedia (annunciata in radio, in tv, al cinema, dalle storie, dalla Storia) ed evitando di raffigurarla o interpretarla (comunque un distinguo da "Elephant", il cugino canadese "Polytechnique" eccetera), "Dark Night" riadatta l'immagine alla non-immediatezza, all'imprecisione, le restituisce profondità, fatica, spettro, una consistenza che rimane dopo il consumo visivo mordi e fuggi, fast watch, e vaglia nuovamente l'ipotesi che essa (l'immagine) possa anche suggerire un'irregolarità, cioè un eccesso o un difetto semantico, un vizio di forma, ed essere irregolare a sua volta, come l'aspirina nel bicchiere di Travis Bickle.
Non è difficile trovare nella prima scena (nella prima immagine) il succo della politica del film, tutta giocata sullo scarto fra vedere e osservare: è il particolare prolungato di un occhio femminile bombardato di luci colorate, come al cinema o davanti alla televisione.
Poi però l'inquadratura si allarga con un raccordo sull'asse, così scopriamo che si tratta delle luci dei lampeggianti della polizia, dopo la strage. Osservate la canottiera della ragazza.


28/02/2018

Cast e credits

cast:
Eddie Cacciola, Robert Jumper, Aaron Purvis, Rosie Rodriguez, Karina Macias


regia:
Tim Sutton


titolo originale:
Dark Night


distribuzione:
Mariposa Cinematografica e 30Holding


durata:
85'


produzione:
Ringling College Studio Lab


sceneggiatura:
Tim Sutton


fotografia:
Hélène Louvart


scenografie:
Bart Mangrum


montaggio:
Jeanne Applegate


costumi:
Jami Villers


musiche:
Maica Armata


Trama
In una sonnolenta cittadina statunitense, le vite piatte e ripetitive di sei persone convergono in un'unica serata al cinema, destinata a finire in tragedia.