"Dunkirk" è distante sia dalle logiche di un blockbuster standard, sia dai giochi di prestigio cronologici su cui spesso
Nolan ha insistito. Al contempo, è un film che del blockbuster mantiene la confezione (ma si tratta di un involucro esteriore, perché strutturalmente ne è lontanissimo) e conserva intatte le ossessioni del regista riguardo al Tempo. Per certi versi è un film sperimentale. Coraggioso nell'osare e nello smarcarsi dalle aspettative. Nel guardarlo, l'impressione è di assistere a un talento che si è librato in volo con orgoglio, svincolato da certe zavorre del passato ed emancipato da regole narrative che la maggior parte dei registi riterrebbe non trasgredibili. "Dunkirk" coniuga spettacolarità e anti-spettacolarità in modo inedito. Ed è notevole come riesce a tenersi distante anche dalle retoriche belliche. Di fatto non c'è una "storia" in Dunkirk. Ce ne sono molte, frammentate e commiste. Alcune, naturalmente, spiccano sulle altre (quella del pilota Farrier interpretato da Tom Hardy; quella del signor Dawson interpretato da Mark Rylance). Ma si tratta di una pellicola priva di una vicenda centrale sulla quale far scattare l'identificazione dello spettatore. E altrettanto mancano protagonisti davvero centrali: in questo senso, il film appare eccentrico nel contesto hollywoodiano. La cosa sorprendente è come il risultato appaia semplice: "Dunkirk" possiede una compattezza formale in cui tutto si tiene solidamente in equilibrio.
All'interno della filmografia di Nolan, è abbastanza pretestuoso distinguere fra una produzione più commerciale (i film sul Cavaliere oscuro) e una più "autoriale" (da "
Memento" a "
Interstellar" passando per "
The Prestige" e "
Inception"): sono tutti film che condividono un'idea di cinema e di messa in scena, forse anche un'idea di mondo. Tuttavia, unicamente nei film del secondo gruppo Nolan si è concentrato sugli slittamenti fra piani temporali, tendendo ad avvicinare i film a giochi di prestigio, numeri illusionistici pronti a mettere a nudo la non linearità dell'esperienza cronologica. La regressività di "Memento", le scatole cinesi di "Inception", la teoria della relatività di "Interstellar" scontavano però sempre qualcosa in termini di farraginosità del meccanismo, il che finiva per lasciare come delle scorie che, almeno per chi scrive, facevano perdere qualcosa, in termini di fluidità e compattezza, a film per il resto anche straordinari. L'impressione era di un limite autoimposto di tipo cerebrale all'interno di opere che, contrariamente a quanto sostengono i detrattori, regalavano tantissimo (il loro meglio) sul piano puramente emotivo. Il senso più autentico di "Inception" sta nel rapporto con la moglie del protagonista; quello di "Interstellar" nel rapporto padre-figlia.
Con "Dunkirk", Nolan si libera finalmente di queste scorie senza tradire la propria ossessione tematica, che viene anzi più che mai in primo piano come struttura portante del film. "Dunkirk", infatti, mescola di continuo tre piani temporali diversi per durata e ambientazione. La terra, il mare, il cielo. Una settimana, un giorno, un'ora. Una settimana per la terra: tanto durano le operazioni di rimpatrio dei 400.000 soldati stretti d'assedio sulla costa del nord della Francia dall'esercito tedesco, in attesa delle navi sulle quali riparare in Gran Bretagna. Un giorno per il mare: imbarcazioni di ogni genere si affannano in una corsa contro il tempo per recuperare e portare in salvo quei soldati, mentre l'aviazione tedesca bombarda il molo e le navi che giungono in soccorso. Un'ora per il cielo: tanta è l'autonomia di volo degli spitfire, gli aerei inglesi incaricati di ostacolare quelli tedeschi e limitarne i danni.
L'unità di tempo, luogo e azione esplode in mille frammenti divergenti, che in alcuni momenti si sovrappongono (capita di rivedere medesimi episodi da punti di vista diversi). Eppure si tratta di tutto il contrario di un puzzle di elementi eterogenei e scoordinati: "Dunkirk" è un'opera compatta a livello stilistico e strutturale. Un unico flusso narrativo sincopato, che si segue trattenendo il fiato, in costante tensione adrenalinica. A contare, per lo spettatore, non sono i classici nessi causali: "Dunkirk" segue una logica diversa, nella quale nulla è lasciato a interpretazioni cerebrali. Qui sta lo scarto rispetto alla produzione precedente. Tutto è lasciato alla percezione immediata. E tutto è immediatamente comprensibile, senza bisogno di "spiegoni". Il motivo? Semplice: nessuna teoria più o meno immaginifica sul Tempo sta alla base di "Dunkirk". Non c'è nessuna dimensione temporale ipotetica o di fantasia che necessiti di essere spiegata. Si tratta, semplicemente, del tempo reale. Quel che Nolan ci mostra (ci fa percepire) è come esso sia duttile e soggettivo a seconda del contesto in cui ci troviamo (l'attesa interminabile sulla terra, l'urgenza di arrivare via mare, la corsa contro il tempo dei combattimenti aerei).
"Dunkirk" ha tutte le carte in regola per candidarsi a vertice del cinema di Nolan; forse, è il suo primo autentico capolavoro. Ma c'è qualcosa che ne fa un film la cui importanza trascende il raffronto interno alla filmografia del suo autore (Nolan firma anche la sceneggiatura). "Dunkirk" è un film di guerra, che si impone come pietra miliare nel suo genere, richiedendo a tutto il cinema che in futuro intenda concentrarsi sull'esperienza bellica di prenderlo a termine di paragone. La guerra come la si vede in "Dunkirk", la si era vista sinora davvero poche volte. Non si tratta semplicemente di portare come mai prima lo spettatore nel cuore dell'azione: questo già è riuscito bene ad altri - fra tutti a
Kathryn Bigelow. Si tratta di farlo decentrando il racconto, eliminando gli "eroi" e facendoci vivere più punti di vista tutti dalla stessa parte del fronte senza che il nemico si veda mai. Senza mai guardare dal punto di vista tedesco, non ci viene concessa tregua nel subire l'oppressione dall'alto, il continuo rischio di un bombardamento imminente. Percepiamo l'aleatorietà di ogni avvenimento, la minaccia continua della morte che può giungere del tutto inaspettata e senza preavviso di sorta. Spielberg si era avvicinato a questo nella celeberrima sequenza dello sbarco in Normandia all'inizio di "Salvate il soldato Ryan", ma si trattava per l'appunto soltanto di una sequenza, una ventina di minuti scarsi a cui faceva seguito un film sin troppo convenzionale. Per trovare antesignani di "Dunkirk" tocca uscire dal
mainstream statunitense e rispolverare un film magistrale quale "Kippur" di Amos Gitai (2000), che ci fa vivere un episodio della guerra del Kippur dal punto di vista di un manipolo di soldati, senza mai inquadrare la fonte delle minacce nemiche. Emblematica di "Kippur" la sequenza in cui improvvisamente viene colpito un elicottero, tutta girata all'interno di esso, con l'esplosione che coglie totalmente di sorpresa. Tra l'altro, "Kippur" e "Dunkirk" sono entrambi concentrati su operazioni di soccorso in cui dei soldati sono impegnati nel salvataggio di altri soldati. Forse non è un caso.
"Dunkirk" vanta poi un'eccezionale partitura musicale di Hans Zimmer, che dà al film respiro e ritmo; sostiene le singole sequenze e l'intero impianto del film come un'intelaiatura, una struttura portante. Una colonna sonora tonitruante eppure talmente fusa alle immagini da non risultare mai ridondante: come la definisce il pressbook, è "un unico brano lungo con una struttura tonale aggregante e complessa".
Sono tanti i film sulla seconda guerra mondiale ambientati sulle coste francesi, e tutti raccontano lo sbarco in Normandia e l'inizio della liberazione dell'Europa continentale. Al cinema, la seconda guerra mondiale è stata raccontata in genere dal momento in cui le sorti del conflitto volgono a favore degli Alleati, dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti. La disfatta, l'assedio, la ritirata non sono soggetti altrettanto popolari. Per tutto il corso di "Dunkirk", il tono si mantiene asciutto e distante da quella tronfia retorica abituale nei film sul secondo conflitto mondiale. La ritirata di Dunkerque non fu però una disfatta: i soldati salvati furono più di quanti si immaginasse e da quel momento le forze alleate ebbero modo di riorganizzarsi per provare a rovesciare le sorti del conflitto. Forse, Nolan avrebbe potuto mantenere sino in fondo il rigore del film, senza le concessioni che il finale fa allo spettatore sul piano emotivo, sottolineando in particolare l'eroismo del personaggio interpretato da Tom Hardy. Queste concessioni non ci sembrano tuttavia una nota stonata, e non tradiscono la vocazione di una pellicola da annoverare tra quelle pochissime opere che mirano a forzare i confini dell'esistente per spingere il cinema in nuovi territori.
31/07/2017