Il vecchio, il ragazzo e il gallo
Una delle scene più significative di “Cry Macho” l’abbiamo quando il braccio destro della madre di Rafael Polk (Eduardo Minett), il ragazzo che Mike Milo (Clint Eastwood) deve recuperare dal Messico e riportarlo dal padre negli Stati Uniti, butta fuori strada il pickup dove stanno viaggiando i due lungo le strade locali verso la frontiera. Sia Mike che Rafael escono indenni dalla vettura e sono sotto tiro della pistola del sicario. Sembra tutto perduto, il ragazzo recuperato e costretto a tornare dalla madre pazzoide e possessiva – boss messicana in gonnella con grande villa a Città del Messico – quando ecco saltare fuori Macho, il gallo da combattimento di Rafael, che con un attacco a sorpresa mette fuori gioco l’uomo. Scena perfetta per tempismo e costruzione drammaturgica in cui il personaggio risolutore è un pennuto. E, in effetti, Macho ha la stessa dignità come protagonista insieme ai due umani.
Eastwood, nel raccontare questa sua ennesima storia di redenzione e crescita, inserisce il gallo Macho come emblema di sola virilità all’interno della storia, dove Mike Milo rappresenta la saggezza del tempo di una mascolinità tramontata – campione di rodeo e cowboy a cui la vita ha chiesto un doloroso contributo con la morte della moglie e del figlio in un incidente di auto – e Rafael di quella ancora in nuce, più rappresentata per atteggiamenti e modi piuttosto che reale. Del resto, appare evidente che di machismo non ce n’è in “Cry Macho” ma una sua ironica rappresentazione, fatta di battute sarcastiche di Milo nei confronti di un adolescente che vuole essere uomo ma non lo è, e l’unico “machismo” possibile è relegato nel gallo da combattimento che assurge a simbolo di un mondo animalesco che l’anziano autore in qualche modo elimina dall’universo umano in cui invece sono messi in risalto dolcezza, comprensione e solidarietà.
Que viva Mexico!
Gran parte della storia di “Cry Macho” si svolge tra le strade messicane. Non quelle delle grandi città – la capitale è appena intravista quando Milo trova e recupera Rafael – ma tra i villaggi della provincia, le strade secondarie per raggiungere la frontiera con gli Stati Uniti, inseguiti dai poliziotti e dagli sgherri della madre che vuole riprendersi un figlio già perduto e oggetto di scontro con il padre. In effetti, Howard Polk (Dwight Yoakam) in parte vuole riavere il figlio che ha visto da piccolo e di cui desidera recuperare la paternità, per avere un erede del suo impero, ma soprattutto per trasformarlo in oggetto di trattativa con l’ex-moglie per quanto riguarda degli investimenti che l’uomo aveva fatto in terra messicana e che la donna non gli vuole riconoscere. Il denaro mischiato con la famiglia è sempre una motivazione forte per l’americano, mentre il Milo di Eastwood è l’emblema del cowboy individualista, in cui il business è secondario e quello che conta è l’affermazione di sé e la ricerca di un posto nel mondo.
Eastwood dà molta importanza al segmento di “Cry Macho” che si svolge nel villaggio messicano dove i tre protagonisti (il vecchio, il ragazzo e Macho) trovano rifugio. Qui restano ospiti di una vedova che gestisce la tavola calda locale circondata dalle nipoti. Questo Messico appare come un luogo isolato e senza tempo, in cui la solidarietà tra le persone è la vera moneta di scambio. Milo aiuta ad addestrare i cavalli di un allevatore locale, insegna a Rafael a cavalcare per prepararlo alla vita nel ranch del ricco padre, coltiva una relazione amorosa con la vedova che ricambia, riconoscendo in Mike la bontà dell’uomo, e diventa punto di riferimento per i cittadini del villaggio come colui che riesce a curare gli animali (“Mi hanno preso per un maledetto dottor Dolittle!”). Milo è soprattutto un guaritore: non solo degli animali, ma della solitudine di una donna e della crescita di un adolescente a cui travasare qualche insegnamento per affrontare le difficoltà della vita adulta.
In questo senso, Eastwood più che ai suoi maestri Sergio Leone e Don Siegel, sembra rifarsi alla lezione di Sam Peckinpah: la vita che conducono nel villaggio ha la stessa allure delle sequenze del villaggio messicano dove la banda di Pike Bishop trova rifugio in “Il mucchio selvaggio”.
Il Messico diventa non tanto un finis terrae, ma un luogo di memoria di una felicità perduta e ritrovata e la scelta nel finale in “Cry Macho” di Milo di ritornare dalla donna per i suoi ultimi giorni viene poeticamente messa in scena con il lento ballo finale (l’ultima danza del vecchio cowboy).
Il canto di Macho
“Cry Macho” non è esente da difetti. L’incipit doppio è poco convincente: prima c’è il licenziamento brusco da parte di Howard Polk di Milo, accusato, appunto, di essere vecchio e di non riuscire più a gestire l’allevamento di cavalli del ranchero; poi, dopo una elissi di un anno, sono di nuovo vecchi amici e Polk chiede a Milo di andare a recuperare il figlio perduto in Messico. Anche la scena del ritrovamento del ragazzo in un sobborgo di Città del Messico durante un combattimento di galli e la conseguente e improvvisa retata della polizia è girata troppo velocemente e del tutto inverosimile, messa lì solo per far incontrare i due. Infine, alcune scene sono tirate via solo come raccordo tra i segmenti che più interessano al regista americano.
Detto questo, però, Clint Eastwood appare di fatto monumentale nel suo lento incedere, nelle sue rocciose espressioni che bucano letteralmente lo schermo: in ogni suo primo piano, in ogni campo lungo del paesaggio messicano sono presenti la storia del cinema che questo grande autore si porta addosso, disegnata sulle rughe del suo volto, nel sogghigno della sua bocca, nella parlata sussurrata e ruvida (da sentire assolutamente nella versione originale per meglio apprezzarla).
“Cry Macho” non ha la cadenza drammatica di “Gran Torino” – con cui ha più di un collegamento ribaltato tra le dinamiche dei personaggi – ma è più una commedia, un’elegia sulle età dell’esistenza che si richiudono in un cerchio tra giovinezza e vecchiaia (presente e passato).
Alla fine, il gallo Macho passa dal giovane al vecchio, in un trasferimento e riconoscimento tra ciò che inizia e ciò che sta per finire. Così, più che un “canto del cigno”, l’ultima pellicola risulta come il finale di una lunga commedia esistenzialista.
cast:
Clint Eastwood, Eduardo Minett, Natalia Traven, Dwight Yoakam, Fernanda Urrejola
regia:
Clint Eastwood
titolo originale:
Cry Macho
distribuzione:
Warner Bros
durata:
104'
produzione:
Warner Bros., Malpaso Productions, Ruddy Productions
sceneggiatura:
N. Richard Nash, Nick Schenk
fotografia:
Ben Davis
scenografie:
Ronald R. Reiss
montaggio:
Joel Cox, David Cox
costumi:
Deborah Hopper
musiche:
Mark Mancina