- ...ma poi ho scoperto che portavi una maschera
- Batman è solo un simbolo, Rachel...
- No, questa...questa è la tua maschera. Il tuo vero volto è quello che adesso tutti i criminali temono. L'uomo che amavo, l'uomo che era scomparso non è mai più tornato.
(Rachel e Bruce in "Batman Begins", 2005)
Gotham, otto anni dopo la morte di Harvey Dent, è una città ripulita dalla criminalità organizzata grazie al severissimo "Decreto Dent" imposto sull'onda della commozione per la dipartita del paladino urbano. Di Batman si conserva un ricordo carico di astio e delusione: il vigilante di Gotham ha tradito la fiducia della comunità e tutti credono a una menzogna necessaria, incoraggiata dal testimone di quei fatti, il Commissario Gordon, ormai sempre più schiacciato dai sensi di colpa per aver rovinato l'immagine di chi ha salvato la città e la sua famiglia.
L'inizio ha alcune similitudini con "Il Ritorno del Cavaliere Oscuro", la graphic novel capolavoro di Frank Miller che, pochi mesi prima dell'uscita di "Watchmen" di Alan Moore, cambiò per sempre le regole del fumetto supereroistico. Spostare le lancette dell'orologio era una chimera che seppe affrontare solo il genio iconoclasta (e allo zenit creativo) di Frank Miller: per ovvi motivi, Nolan non è stato così estremo e quando Bruce Wayne appare sullo schermo, dopo che abbiamo sentito le dicerie intorno alla sua pazzia che lo vorrebbero recluso nella magione di famiglia con le manie di Howard Hughes, ha pur sempre il volto del trentottenne Christian Bale.
Bruce è ora un uomo spezzato: da una parte sa che Batman è un mito coperto dal fango, dall'altra si trascina da anni smunto e zoppicante per il castello che ha fatto ricostruire com'era prima che Ra's al Ghul lo radesse al suolo.
Il singolare incontro con un'acrobatica ladra, Selina Kyle chiamata "La Gatta", che lo deruba della collana di perle della madre, insieme a un incidente occorso al commissario Gordon, salvo per miracolo dopo lo scontro con un piccolo esercito che abita le fogne, lo convincono a uscire dal suo eremo. Per capire se lui può ancora indossare la maschera di Batman, prim'ancora se sia capace di affrontare il mondo come Bruce Wayne. Il fidato e affettuoso Alfred lo segue precedendolo sempre di un passo, e intuisce come la mancanza di un vero obiettivo nella vita l'abbia logorato e indebolito: quando vede la forza devastante di Bane, prevede che per Batman ci potrà essere un solo epilogo possibile, la caduta.
Sin dai tempi di "Batman Begins" siamo stati però abituati a vedere il paladino di Gotham rialzarsi dopo essere caduto, anche se in questo film l'operazione risulta più lenta e complessa, scandita in tre parti. La prima si conclude con lo scontro tra Bane e Batman, il quale viene pesantemente sconfitto (riportando delle vertebre lussate). Nella seconda parte Bruce Wayne affronta il suo inferno e inizia la sua rinascita spirituale, ritrovando quella forza che credeva perduta insieme a Rachel, la cui morte l'aveva spinto a isolarsi dal mondo poiché vedeva in lei l'unica speranza di un futuro normale. Da notare come la rivelazione della verità da parte di Alfred definisca in modo ancor più marcato Bruce Wayne come un vero personaggio nolaniano: come tutti i protagonisti dell'universo firmato dai due fratelli, anche lui è rimasto irrimediabilmente traumatizzato dalla morte dell'amore della sua vita per il quale si sente responsabile; il fatto che Rachel avrebbe scelto Harvey Dent è la menzogna su cui si costruisce il castello di carte in cui vive Bruce - seppur parafrasate sono le stesse dinamiche che accadono a Leonard Shelby in "Memento" e a Cobb in "Inception".
Christopher Nolan assimila definitivamente la saga di Batman al proprio corpus filmografico. I limiti a voler tenere due piedi in una scarpa, a voler mantenere certe istanze autoriali in un'operazione mainstream che ha per target il cosiddetto "grande pubblico" finiscono però per manifestarsi con prepotenza, laddove la linearità compatta di "Batman Begins" e l'azione concitata (oltre che il coinvolgente scontro tra Batman e Joker) de "Il cavaliere oscuro" erano riusciti a coprire o a distrarre da tali falle. A questo giro le incongruenze e i salti logici della sceneggiatura si avvertono e quando arrivano le metafore politiche e l'azione si complica i limiti vengono a galla: si succedono scene e dialoghi che non funzionano (Blake capirebbe la doppia identità di Bruce soltanto guardandolo negli occhi?), palesi incoerenze (come la battaglia tra poliziotti e mercenari che si svolge prima armi in mano, poi a mani nude e poi nuovamente con le armi), ingenuità tipiche del blockbuster. L'intero piano di Talia al Ghul (presenza sacrificata in virtù del previsto coup de théâtre) e come esso si svolge appare come un gioco di forza contro il patto di sospensione dell'incredulità, senza contare il presunto contesto realista che è stato la chiave di volta della trilogia sull'uomo pipistrello.
Selina (Anne Hathaway) avvertiva Bruce di una tempesta in arrivo e che loro, i pochi che avevano vissuto nell'agiatezza lasciando quasi nulla a tanti, sarebbero stati i primi a pentirsi amaramente. Il discorso populista di Bane, quello di restituire Gotham (protagonista a tutti gli effetti) ai suoi cittadini e di liberarli, dovrebbe far gettare la maschera a un sistema che ha fondato la salvezza della città sulla menzogna e su una divisione impari, ma la rivoluzione innescata non va da nessuna parte, è pura stasi politico-economico, è regressione di un modello di civiltà laddove le rivoluzioni hanno comunque comportato un cambiamento radicale. La confusione ideologica che si porta dietro questa parte, trattata con un montaggio ellittico che sintetizza 5 mesi dove non succede praticamente niente, sembra necessaria solo per dare il tempo a Batman di riprendersi fisicamente e spiritualmente, di imparare a conoscere il proprio nemico attraverso quei flashback che aggiungono un ulteriore piano narrativo: quello della leggenda del bambino innocente (inizialmente identificato con Bane), nato nell'inferno della prigione e riuscito a fuggire, leggenda nella quale Bruce non può che rispecchiarsi e tentare di eguagliare.
Il regista britannico cerca naturalmente l'epica, ma l'epica de "Il cavaliere oscuro - Il ritorno" prevede più che le esplosività d'azione la macerazione del carattere del protagonista che, gettata la maschera, si confronta veramente con sé stesso: l'uomo pipistrello si manifesta solo dopo tre quarti d'ora di pellicola, per poi sparire nuovamente e ricomparire nella battaglia finale. È Bruce Wayne, interpretato da un Bale più sofferente che mai, a essere il baricentro del capitolo conclusivo della saga intorno al quale si succedono i molteplici punti di vista di un grande racconto corale che spesso lo fanno apparire ai margini della scena.
L'incontro nella prigione restituisce a Bruce il timore della morte, la spinta autoconservativa che gli permette di tornare a Gotham: perché un uomo che indossa un mantello è solo un uomo, anche se non ha paura di morire. Pertanto, nonostante abbia fatto storcere il naso a tanti, la conclusione è assolutamente coerente. È il finale in cui l'antieroe si è finalmente dato una seconda chance, possibilità che i fratelli Nolan non si erano mai concessi nei loro noir.
A questo punto è necessario evidenziare il grande merito di Nolan: quando si impegna a filmare il racconto - ripreso nella sua molteplicità narrativa, com'è gli è consueto - con la pienezza cinematografica che gli è propria ha davvero pochi eguali nella Hollywood di oggi. Certo, ha dalla sua la possibilità di utilizzare le titaniche macchine da presa IMAX e la fotografia del fidato Wally Pfister che gioca con le ombra e i contrasti cromatici, ma l'abilità nel regalare sequenze dal grande impatto emotivo è dono di pochi. A cominciare dal rocambolesco incipit aereo, dove viene introdotto Bane (l'interpretazione di Hardy è abbastanza rovinata dal doppiaggio tonitruante di Timi), al colossale montage dell'attacco del mercenario alla città, con l'apice dell'esplosione allo stadio dove il silenzio è interrotto solo da una voce bianca che intona l'inno nazionale americano, fino al finale di un lirismo non forzato che ha il sapore dello struggente commiato (flirtando con l'ambiguità di "Inception", nonostante un controcampo di troppo), "The Dark Knight Rises", al netto dei limiti, sa come mettere i brividi e con un ritmo dilatato, che spesso sospende l'azione, ci cattura nuovamente nel suo universo parallelo a un passo dalla più cupa apocalisse.
"Il cavaliere oscuro - Il ritorno" conclude la saga nell'unico modo possibile e non era facile rimettere mani a un progetto già compiuto, perché l'inaspettato e globale successo ti costringe a concluderlo nella forma di una trilogia. Non era facile cercare di riallacciare i fili di un discorso che era già diventato complesso e, se hai le ambizioni e il nome di Christopher Nolan, ti senti in dovere di continuare sulla stessa strada rischiando di più. Adesso possiamo, però, stare tranquilli: difficilmente rivedremo l'autore britannico alle prese con la creatura di Bob Kane e la ripresa del medesimo universo da parte di qualche altro filmmaker sarebbe un suicidio.
Christopher Nolan si conferma il nuovo Re Mida del blockbuster d'autore, un truismo assodato ormai da qualche tempo e rinvigorito dall'insolita capacità del Nostro di giocare sempre al rialzo senza rimanere scottato - finora - a livello economico. Prossimamente vedremo se la supervisione all'ennesimo reboot di Superman, intitolato "Man of Steel" e diretto da Zach Snyder, ha dato i risultati sperati o se i prestigi oscuri di Nolan si confacevano soltanto alla leggenda di Batman.
cast:
Christian Bale, Gary Oldman, Tom Hardy, Joseph Gordon-Levitt, Anne Hathaway, Michael Caine, Marion Cotillard, Morgan Freeman, Matthew Modine
regia:
Christopher Nolan
titolo originale:
The Dark Knight Rises
distribuzione:
Warner Bros
durata:
161'
produzione:
Warner Bros. Pictures; Legendary Pictures; Syncopy; DC Entertainment;
sceneggiatura:
Jonathan Nolan, Christopher Nolan, David S. Goyer
fotografia:
Wally Pfister
scenografie:
Nathan Crowley, Kevin Kavanaugh
montaggio:
Lee Smith
costumi:
Lindy Hemming
musiche:
Hans Zimmer