L'ultimo film di Paul Verhoeven, "Benedetta", arriva finalmente sugli schermi italiani con quasi due anni di ritardo dalla presentazione in concorso al 74° Festival di Cannes. Girato nel 2018, pronto per essere presentato a Cannes nel 2019, ha avuto un primo slittamento per un intervento chirurgico dell'autore e poi per lo scoppio della pandemia Covid. L'ulteriore ritardo di altri due anni nel nostro paese, dopo che la pellicola è stata praticamente distribuita in tutto il mondo nella stagione 2021/2022, si deve da una parte alle richieste esose della produzione ai distributori, ma soprattutto per il carattere della storia in cui si colpisce la sensibilità religiosa nella patria del cattolicesimo.
Ispirandosi al saggio della storica Judith Cora Brown, "Atti impuri: vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento", Verhoeven, insieme al co-sceneggiatore David Birke, ha scritto una sceneggiatura in cui la vicenda della mistica Benedetta Carlini è immersa nelle ossessioni e negli stilemi del cinema del maestro olandese, riprendendo gli eventi storici e la vita della monaca, ma ampliando l'aspetto sessuale e inventando il finale con un rogo e una rivolta immaginaria.
La figura di Benedetta (Virginie Efira), la vita in un convento nell'Italia rinascimentale, le sue visioni mistiche, il rapporto sessuale con la novizia Bartolomea (Daphné Patakia) e il confronto-scontro con la badessa del convento (Charlotte Rampling) sono tutti collegati dagli elementi religiosi e sessuali che hanno sempre interessato Verhoeven. Abbiamo semplificato, ma le tematiche affrontate sono di una certa complessità. Verhoeven è dichiaratamente ateo, ma fin da giovane ha sempre inteso la religione come strumento di esercizio del potere e come insieme di costrutti mentali e credenze che avevano un impatto sulla psicologia delle persone.
Del resto, il misticismo di Benedetta e le sue visioni cristologiche, ricordano uno dei capolavori del regista, "Il quarto uomo", in cui il protagonista, uno scrittore omosessuale, improvvisamente vedeva prendere vita un crocefisso all'interno di una chiesa e sognava un'attrazione erotica per l'uomo sulla croce con le sembianze di un suo amante. Una scena simile l'abbiamo in "Benedetta", quando, durante una notte in convento, la donna ha una visione in cui parla con il Cristo in croce e il giorno dopo sono rivelate le sue stimmate sia alle mani che ai piedi: l'elemento erotico è sia strettamente legato alla sofferenza della carne, che va quasi a innalzarsi al di sopra della realtà, sia rivelatore di un subconscio, che rispecchia l'amore saffico di Benedetta per Bartolomea, immaginando il sesso del Cristo in croce come quello femminile.
Attraverso l'affermazione del rapporto esclusivo con il messia, Benedetta non fa altro che proclamare la sua volontà all'interno della Chiesa e della comunità di Pescia, che la eleva a ruolo di santa protettrice. L'utilizzo delle visioni e di segni sulla carne non è altro che un'attestazione del suo potere nei rapporti di forza, da un lato, all'interno della gerarchia ecclesiale – arrivando a sostituire la badessa nella gestione del convento – e, dall'altro, nelle rivendicazioni del femminino sul mascolino – rappresentato dalle azioni dell'abate, del prete confessore e dello stesso messo papale che la processa per blasfemia. L'imposizione della propria individualità avviene anche attraverso la sessualità praticata con Bartolomea, che è anche un rapporto sociale tra una ricca e colta donna e una ragazza povera e senza istruzione che conosceva solo la violenza del padre e della famiglia.
Benedetta agisce all'interno della comunità di Pescia come un demiurgo, sfruttando la forza della fede religiosa. Una volontà di potenza che fin da subito è rappresentata da rituali che prevedono la messa in scena della santità. Emblematica è la rappresentazione dell'ascesa in cielo di Maria, in cui è protagonista Benedetta, davanti a un pubblico di famigliari delle suore: viene esplicitato l'elemento dell'importanza della "messa in scena" del miracolo mariano, con tanto di "effetti teatrali" preparati dietro le quinte. Così, come Verhoeven utilizza la messa in scena cinematografica per raffigurare le sue ossessioni, Benedetta concretizza le proprie visioni con artefici suggeriti: le stimmate forse se l'è procurate lei stessa, come le ferite sulla testa con un vetro rotto, pregando davanti alla statua della Madonna; o ancora le ferite sulle mani, di fronte alla popolazione accorsa per assistere al rogo, dopo la condanna per blasfemia comminata dal tribunale ecclesiale. Anche l'utilizzo di una voce artefatta, che Benedetta usa in momenti topici, in cui viene messa in discussione la sua santità, più che "divina" appare una performance attoriale di fronte alle sue sorelle e ai frati. Non così nella sequenza finale, in cui Benedetta si trasforma nell'alter ego di Verhoeven, in una mise en abyme scenografica, dove, da vittima della chiesa condannata al rogo, si trasforma in regista della rivolta dei cittadini di Pescia: utilizza la paura per l'epidemia della peste, la badessa malata, che ammaestra nella sua apparizione sulla piazza, e la "voce" e le mani sgorganti il sangue per attaccare il messo papale.
Benedetta, in questo senso, è sorella di Catherine Tramell in "Basic Instinct", di Christine Halsslag ne "Il quarto uomo", di Nomi Malone di "Showgirls", di Linda McKay ne "L'uomo senza ombra", di Rachel Steinn in "Black Book", di Michèle in "Elle", ma soprattutto di Agnes in "L'amore e il sangue", pellicola con cui condivide l'ambientazione storica, quel Rinascimento italiano che affascina il regista olandese, dove gli istinti carnali vanno di pari passo con il misticismo simbolista. Benedetta, come Agnes (e come tutte le eroine protagoniste dei film citati), percorre un cammino in cui il sesso, e la sua pratica, diventano un mezzo di conservazione prima, di affermazione come individuo dopo e, infine, di ribellione per conquistare una posizione di potere.
Rispetto a quest'ultimo film, in cui le cittadine dell'Italia del XVI secolo sono riprodotte in set spagnoli, Verhoeven gira "Benedetta" nei luoghi reali dove è vissuta la vera suora, ma attuando una metamorfosi immaginaria e discostandosi dagli eventi storici. Dal punto di vista cinematografico, "Benedetta" è composto da una triade di messa in scena con un precipuo stile. Gli esterni sono girati a Bevagna (la piazza di Pescia di fronte al convento), a Montepulciano (la scena finale dove avviene l'ultimo incontro tra Benedetta e Bartolomea), a Perugia (che diventa la Firenze colpita dalla peste quando la Badessa si reca dal messo papale). La luce riempie l'inquadratura di campi lunghi che compongono la grammatica visiva e rispecchiano una verosimiglianza storica.
Gli interni del convento sono invece girati in un paio di abbazie francesi, in cui il lavoro della messa in scena è compiuto dalla sottrazione e sull'essenzialità del profilmico, e viene utilizzata una luce naturale che passa attraverso le finestre, gli usci e i pergolati. Le celle del convento di notte sono illuminate dalle candele (che, come afferma lo stesso regista, guardando i giornalieri e il lavoro della direttrice della fotografia Jeanne Lapoirie, spesso ricordano gli interni notturni di "Barry Lyndon" di Stanley Kubrick).
Infine, abbiamo l'utilizzo del digitale, esplicito nelle sequenze delle visioni di Benedetta: con il Cristo che la salva prima da un mucchio di grossi serpenti aggressivi, poi da una muta di soldataglia e poi nell'incontro erotico per avere le stimmate. Il Cristo è raffigurato come un giovane uomo, un cavaliere bianco armato di spada che taglia le teste dei serpenti e dei soldati, in un gusto che dal kitsch vira ben presto al camp, proprio per questa reiterazione di simbologie grossolane che nella loro ripetitività acquistano un loro fascino e s'inseriscono all'interno di una raffigurazione del subconscio di Benedetta.
La sessualità impregna intere sequenze in "Benedetta": negli sguardi dei personaggi femminili nel convento, così come nella trasformazione dei corpi di Benedetta e di Bartolomea nella loro nudità, spesso frontale, e dove la statua della madonnina, trasformata in dildo, diventa l'oggetto della fusione tra erotismo e religione. Il piacere sessuale tra le due donne prende il posto alla sofferenza della carne come mezzo per raggiungere l'estasi mistica. E se questa è artefatta, immaginata, ricostruita, tutto ciò rientra in quella messa in scena che da religiosa si transustanzia in quella cinematografica di un autore che vuole essere irriverente e caustico come la sua protagonista: Benedetta per affermare una personale visione della fede; Verhoeven per ribadire il suo inconfondibile stile cinematografico. Alla fine, siamo di fronte all'allestimento di un immaginario collettivo composto di simboli e totem, religiosi e laici che si compenetrano uno nell'altro.
*Per approfondimenti potete leggere Antonio Pettierre e Fabio Zanello (a cura di), "Il cinema di Paul Verhoeven", edito da Falsopiano. In particolare, segnaliamo il saggio di Zanello, "Benedetta. Il cinema del proibito oggi", in cui si tracciano le assonanze con tutta una serie di pellicole conventuali tra erotismo e religiosità e si mette in evidenza un super io femminile presente in molte pellicole del regista. E anche quello di Giuseppe Gangi, "AmeriCamp. Imagerie kitsch ed estetica camp nel cinema di Verhoeven", in cui l'autore spiega e analizza come il camp sia un aspetto qualificante del cinema del regista olandese.
cast:
Virginie Efira, Charlotte Rampling, Daphné Patakia, Lambert Wilson, Olivier Rabourdin
regia:
Paul Verhoeven
titolo originale:
Benedetta
distribuzione:
Movies Inspired
durata:
131'
produzione:
SBS Productions, Pathé, France 2 Cinéma, France 3 Cinéma, Topkapi Films, Belga Productions
sceneggiatura:
David Birke, Paul Verhoeven
fotografia:
Jeanne Lapoirie
scenografie:
Katia Wyszkop
montaggio:
Job ter Burg
costumi:
Pierre-Jean Larroque
musiche:
Anne Dudley