"The afterlife is so randomic". La battuta di Astrid (Jenna Ortega) vale anche come micro-recensione di questo sequel in cui l'universo oltretombesco di "Beetlejuice" (1988), fusione pulp tra il Circo Orfei e la burocrazia dell'URSS, viene resuscitato e reso ancora più selvaggio da svariate linee narrative che lo attraversano pur rimanendo ostinatamente parallele: non si incontrano mai.
Della trama è inutile scrivere, lo scheletro rimane sostanzialmente identico. Abbiamo di nuovo un'adolescente in conflitto coi genitori, ovvero Astrid, figlia di Lydia (Winona Ryder), abbiamo di nuovo Betelgeuse (Michael Keaton) che vuole sposare Lydia, di nuovo le astruse opere postmoderne della matrigna Delia (Catherine O'Hara), di nuovo una possessione musicale, i vermi della sabbia, un campionario di gag e mirabolanti effetti speciali. Ci sono anche un adorabile cameo di Danny De Vito, fu Pinguino nel secondo "Batman" di Burton; Monica Bellucci, compagna attuale del regista; e Willem Dafoe, in un ruolo narcisistico quanto il suo personaggio. Gli ultimi due in particolare sono in cerca di un plot che non incontrano mai, ciascuno felicemente perso nel proprio film dentro al film, fino al pirotecnico epilogo.
Ma a Tim Burton si perdona tutto. Quando parte la colonna sonora di Danny Elfman nella sequenza di apertura in volo su Winter River, la nostalgia sale come un lago a colmare l'abisso che separa il presente dal 1988. Acuita dalla CGI, che rimpiazza in maniera troppo pulita i pupazzi e lo stop-motion del prequel. Alla distanza, si può allora guardare "Beetlejuice Beetlejuice" per vedere oltre quell'etichetta di fan service che gli è stata affibbiata in maniera sprezzante (ma non a torto). La prospettiva è invariata: utilizzare l'orrore manifesto come uno specchio in cui riflettere l'orrore invisibile della borghesia americana, con le sue convenzioni ipocrite, le sue quotidiane fissazioni (tema cruciale in "Edward Scissorhands" e non solo). Soltanto che qui la stessa America rurale, di provincia, che Burton graffiava con le sue forbici, viene trascolorata da un filtro nostalgico. Il bersaglio diventano gli influencer deformati e rinchiusi nel proprio smartphone, i guru del self-healing e delle terapie olistiche, incarnati da un Justin Theroux di princisbecco, che brilla per quanto è falso.
Ma è anche, e soprattutto, l'ennesimo caso di Hollywood che parla a sé stessa. Dopo il recente "Babylon" e l'ancora più recente "MaXXXine", ancora Hollywood che si specchia come un'anziana signora, per ricordarsi di quanto era bella da giovane. Innamorata di sé stessa, o forse di questa nostalgia che è lo spirito dei tempi (Zeitgeist Nostalgia, A. Gandini). O forse innamorata e basta. Le storie di Burton, come le storie di Hollywood, sono storie d'amore. Amore sognato, atteso, respinto, mai corrisposto, osteggiato dalla morte, dal tempo, da sé stessi o dagli altri. Nella sola saga di Beetlejuice ci sono i coniugi Maitland, i coniugi Deertz, Lydia e Rory, Lydia e Santiago, Astrid e Jeremy. E il povero Betelgeuse, assassinato da Delores e schifato da Lydia. Lui come Edward, come Ed Wood, come Pinguino, una galleria burtoniana di adorabili freak alla disperata ricerca d'amore. Se non altro, hanno il nostro.
cast:
Winona Ryder, Michael Keaton, Justin Theroux, Willem Dafoe, Danny DeVito, Monica Bellucci
regia:
Tim Burton
titolo originale:
Beetlejuice Beetlejuice
distribuzione:
Warner Bros. Entertainment Italia
durata:
104'
produzione:
Warner Bros., Plan B Entertainment
sceneggiatura:
Alfred Gough, Miles Millar
fotografia:
Haris Zambarloukos
scenografie:
Lori Mazuer, David Morison
montaggio:
Jay Prychidny
costumi:
Colleen Atwood
musiche:
Danny Elfman