"Babylon", il quinto, e sicuramente il più ambizioso, lungometraggio di Damien Chazelle, è un'opera in cui si vuole racchiudere un intero mondo, da un lato quello della comunità hollywoodiana, registrata negli anni dal passaggio dagli eccessi degli anni 20 a quello dell'applicazione del codice Hays degli anni 30, e, dall'altro, il momento della rivoluzione estetica-tecnologica della fine del cinema muto e l'avvento del sonoro.
Il giovane regista americano scrive una sceneggiatura in cui i protagonisti sono essenzialmente tre: Jack Conrad (Brad Pitt), star del cinema muto con all'attivo decine di pellicole di successo; Nellie LaRoy (Margot Robbie), una ragazza che proviene dal sottoproletariato agrario americano, cresciuta da un padre alcolizzato, con la bramosia di vivere tutto fino in fondo; Manuel "Manny" Torres (Diego Calva), un immigrato messicano, tuttofare per le major, che vive al servizio dei capricci delle star con il sogno di diventare direttore di set cinematografici. La narrazione si sviluppa seguendo le vicende di questi tre personaggi in storie parallele che spesso s'intersecano, s'intrecciano, s'influenzano a vicenda.
Nel passaggio dalla sceneggiatura alla messa in scena, Chazelle immerge i protagonisti all'interno di una pantagruelica rappresentazione della vita delle maestranze dell'epoca, riempiendo le scene di una miriade di personaggi secondari, di migliaia di comparse, di scenografie senza vuoti, di colori accesi e saturi dell'immagine, di una musica perennemente presente - sia essa intradiegetica suonata dalle orchestre nelle feste sia extradiegetica che martella ogni inquadratura - di oggetti di scena e costumi che spesso sono messi in primo piano e agganciano lo sguardo dello spettatore.
"Babylon" fin dal titolo è una dichiarazione di eccesso: visivo, uditivo, tattile, olfattivo, gustativo in una ricerca di una forma sinestesica che travolge lo spettatore per una durata anch'essa, oltre tre ore di film, debordante. Del resto, il lungo prologo della festa nella casa isolata sulla collina di Hollywood, prima dei titoli di testa, racchiude tutta la cifra stilistica di quanto detto. Assistiamo a Manny che deve trasportare un elefante su per le impervie salite fino alla villa e, quando il rimorchio adatto per trasportare un cavallo non ce la fa, lui e un suo aiutante si mettono dietro alla vettura a spingere con una defecazione dell'animale che immerge il povero malcapitato aiutante di Manny, ma sommerge pure la macchina da presa. Quando arriviamo alla villa, all'interno c'è una bolgia umana dove corpi si contorcono, ballano, bevono, assumono droghe, fanno sesso in coppie e in gruppi, in una vera e propria orgia sensitiva.
La carnalità di "Babylon" è data dal sudore dei corpi e dei volti che emergono da dettagli e primi piani di Manny o di Nellie, che s'imbuca alla festa per farsi notare, ma soprattutto per approfittare di tutto ciò che può arraffare. Le secrezioni corporali si ripeteranno con Nellie che vomita nella festa dei produttori e dell'aristocrazia finanziaria anni dopo, quando ormai impera il codice Hays – che prevede tutta una serie di regole censorie all'interno delle produzioni dagli anni 30 proprio per contrastare gli scandali del decennio precedente – ma anche si vede il sangue, la saliva, le bocche che ingurgitano cibo, mucchi di cocaina per riempiere le facce, incidenti mortali che coinvolgono tecnici e comparse.
Fino a qui si capisce come si possa essere travolti dalla visione di "Babylon" e giudicarlo un film confuso, incoerente, compiacente e rivoltante. Nella realtà, se si riesce a riprendere il controllo della visione, ci si accorge come esso sia la rappresentazione di un caos deterministico in cui le variazioni improvvise creano eventi successivi che a loro volta ne creano ulteriori e senza fine. Quindi, bisogna concentrarsi nuovamente sui tre protagonisti e lasciare tutto il resto sullo sfondo, o meglio, ogni volta estrapolarne le figure dalla massa. Assistere alla visione di "Babylon" è come vedere quei grandi quadri manieristi in cui la tela era riempita di tutto e di più, persino le caratteristiche fisiche delle figure erano eccessive.
"Babylon" è un film citazionista e il cinema di Chazelle è fondamentalmente manierista. Già "La La Land" riprendeva a piene mani tutti i musical del passato, ripetendoli e compiendo degli scarti. Così quest'ultimo film butta dentro episodi e scene raccontante da Kenneth Anger nel suo libro "Hollywood Babilonia". A titolo di esempio, nella festa iniziale è citato l'episodio che stronca la carriera al comico del muto Roscoe "Fatty" Arbuckle che fu coinvolto nella morte di una giovane attrice in una festa a base di droga e alcol. Qui è immersa all'interno del caos della festa iniziale e sarà l'evento che permette a Nellie di entrare nel mondo del cinema proprio per sostituire l'attrice vittima degli eccessi che il giorno dopo doveva lavorare sul set di un film.
In questa struttura complessa, "Babylon" è innervato da coppie di elementi visivi-iconici ripetuti che, oltre a creare un ritmo interno alla narrazione, sono sineddoche della caducità temporanea del successo e della felicità.
Ad esempio, l'entrata in scena di Nellie alla festa avviene riprendendola arrivare dal buio della notte davanti alla luce che illumina l'ingresso della villa, così come la sua uscita, alla fine, l'abbiamo con lei che s'incammina di nuovo nel buio della notte, in una strada deserta, scomparendo, dopo che Manny cerca di salvarla dai suoi debiti di gioco con un gangster che la vuole uccidere, illudendosi in una fuga d'amore in Messico.
La prima apparizione di Jack Conrad è sempre alla festa iniziale, seduto in auto che sta litigando con la moglie, che lo lascia, e l'ultima dietro a una porta di un bagno, invisibile, come lo era diventato agli occhi del pubblico, con l'avvento del cinema sonoro che lo espelle, appunto, con il rumore di un colpo di pistola.
O lo stesso Manny in primo piano, in attesa del rimorchio per l'elefante, nella strada brulla e assolata in piena luce in esterni e poi, sempre in primo piano, in un appartamento fatiscente, seduto nella penombra e implorante il killer, venuto a uccidere lui e il suo compare, di risparmiarlo.
Così come abbiamo prima l'ascesa alla villa sulla sommità del colle, nel mondo dionisiaco della festa iniziale, e poi la discesa di Manny, accompagnato dal gangster folle che ha il credito con Nellie, in un mondo sotterraneo segreto, oscuro e infernale, pieno di freak e scene di depravazioni di ogni sorta.
Oppure il lungo segmento sdoppiato, in un montaggio alternato, tra la ripresa dell'ennesimo kolossal in costume, in cui è protagonista Conrad con il regista alla ricerca della luce naturale perfetta per il bacio con la protagonista femminile, e il debutto di Nellie sul set di una commedia, con la regista che le fa ripetere in continuazione una scena di pianto, dopo che scopre che lei riesce a farlo a comando, alla ricerca della lacrima perfetta.
E ci fermiamo qui, perché "Babylon" è composto da questa forma del doppio costruita con la messa in scena, il montaggio sincopato, che riprende il cinema slapstick del muto, e la messa in quadro ossessivo del dettaglio.
Chazelle crea cinema manierista, copiando e ispirandosi a film del passato, come del resto ha sempre fatto. Se abbiamo detto di "La La Land" sopra, anche "Whiplash" è debitore al cinema anni 70 della New Hollywood e a quello concettuale di Bob Fosse, così come "First Man – il primo uomo" a quello degli anni 80, in particolare a "Uomini veri" di Philip Kaufman. "Babylon" è l'ennesima variazione del tema del film sul cinema che richiama "Il giorno della locusta" di John Schlesinger o "Gli ultimi fuochi" di Elia Kazan, ma soprattutto "Cantando sotto la pioggia" di Stanley Donen e Gene Kelly, che viene esplicitamente citato nel finale di "Babylon", quando Manny ritorna a Los Angeles vent'anni dopo le vicende e assiste alla sua proiezione in una sala cinematografica.
Vedendo il film nel film Manny piange e immagina, in una sequenza onirica, il futuro in molteplici inserti di pellicole reali che attraversano la storia del cinema. Sequenza simbolo duplice: da un lato, è la commozione per un mondo che lui ha vissuto da protagonista e che non c'è più; dall'altro, la compresa felicità per un'arte come il cinema in continua evoluzione che, pur con tutte le innovazioni tecnologiche, le metamorfosi sociali e culturali, continuerà ad avere un futuro davanti a sé. Ma se vogliamo dare un'ulteriore lettura, "Babylon" è la versione carnale e reale di "Cantando sotto la pioggia" che racconta la stessa storia in una chiave spensierata e gioiosa. Insomma, il lato oscuro dell'opera di Stanley Donen e Gene Kelly.
cast:
Margot Robbie, Diego Calva, Brad Pitt, Jovan Adepo, Li Jun Li, Jean Smart
regia:
Damien Chazelle
titolo originale:
Babylon
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
189'
produzione:
Paramount Pictures, Marc Platt Productions, Material Pictures
sceneggiatura:
Damien Chazelle
fotografia:
Linus Sandgren
scenografie:
Florencia Martin, Anthony Carlino
montaggio:
Tom Cross
costumi:
Mary Zophres
musiche:
Justin Hurwitz