In Nuovo cinema horror (edizioni Mimesis), Emanuele Di Nicola descrive l’evoluzione recente di questo genere a livello internazionale, soffermandosi sia sui film maggiormente emblematici che sui percorsi critici più ricchi e significativi
L'autore del testo è giornalista professionista e critico cinematografico: è redattore della rivista di cinema "Nocturno", coordinatore di Nocturno.it e scrive per varie testate, come "Cinematografo", "Cinecritica" e "Spietati". Oltre a collaborare con l’Università La Sapienza per la realizzazione di seminari nel Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, è stato selezionatore per vari festival cinematografici, come Pesaro Film Festival, Biografilm e Sicilia Queer. Infine, ha scritto vari saggi in volumi collettivi ed è autore di La dissolvenza del lavoro. Crisi e disoccupazione attraverso il cinema (2019) e La carne e l’anima, il cinema di Abdellatif Kechiche (2021).
Emanuele Di Nicola realizza un saggio di grande importanza per chiunque desideri conoscere lo sviluppo più recente del cinema horror internazionale. Il giornalista e critico cinematografico ha confezionato un libro piacevole e ricco, capace di rendere fruibile la lettura per ogni tipologia di lettore (dall’esperto al neofita) e, insieme, di realizzare una panoramica esaustiva dei titoli e dei nodi critici principali del new horror contemporaneo.
La struttura del libro è rigidamente divisa in due parti separate: la prima è dedicata all’analisi dei testi esemplari della recente produzione orrorifica, mentre la seconda si occupa di sviscerare alcune delle tematiche più importanti di questa nuova onda come, ad esempio, la serialità televisiva, la situazione italiana, la produzione di registe donne e l’intersezione fra l’autorialità e il genere a cui il volume si riferisce. Durante la disamina di testi, registi e tematiche, il saggio delinea un quadro complessivo del new horror in filigrana, realizzandolo fra i capitoli: le informazioni che riguardano questa nuova onda sono espresse pian piano nelle diverse sezioni di cui si compone il libro, ancorate agli esempi specifici dei film, a loro volta trattati in ordine cronologico. Ad esempio, il capitolo uno tratta "It Follows" (2014), il primo della serie dei lungometraggi ritenuti da Di Nicola fondamentali di questa recente produzione: mentre viene affrontata l’analisi del film, l’autore delinea le coordinate temporali del new horror, afferendo che la nascita si situi intorno alle metà degli anni dieci, e introduce uno dei concetti cardine tanto del volume quanto di questa nuova onda: la riformulazione e l’aggiornamento al presente degli archetipi narrativi tradizionalmente legati all’horror.
Abbiamo intervistato l'autore per discutere del suo nuovo libro.
Francesco Cianciarelli: Perchè hai scelto di scrivere su questo argomento?
Emanuele Di Nicola: Prima di tutto è un gesto d’amore. Ho amato e coltivato l’horror fin da bambino, come spiego nell’introduzione, dalla prima volta che ho avuto paura dentro una sala. Poi il cinema dell’orrore mi ha rincorso un po’ tutta la vita, o forse sono io che l’ho inseguito, me lo sono ritrovato ovunque e non è una coincidenza: l’idea ha preso forma quando ho iniziato a scrivere su Nocturno, la rivista che ha portato il genere in Italia, prima come collaboratore, poi come redattore e oggi coordinatore del sito. A quel punto il corpo a corpo con l’horror è diventato quotidiano. Inoltre, aggiungi che prima di fare il critico sono stato un appassionato lettore di critica, e lo sono anche ora, un divoratore di libri e recensioni: ho iniziato negli anni a studiare l’horror con uno sguardo scientifico, analitico, passando per i maestri che l’hanno teorizzato come David J. Skal in The Monster Show. Infine c’è una circostanza di vita: l’esplosione del Covid e il lockdown del marzo 2020, in cui mi sono trovato prigioniero di un monolocale di trenta metri quadri in totale solitudine. A quel punto ho sfoderato la biro…
F.C.: Quali sono i film o registi che il pubblico ha apprezzato maggiormente e quali sono piaciuti di più a te?
E.D.N.: I film che il pubblico apprezza sono – ovviamente – quelli che vanno in testa al box office. Io dico sempre che l’incasso non va sottovalutato: il pubblico non è scemo, c’è sempre un motivo per cui una persona paga 8, 9 o 10 euro per entrare in quella sala. Ciò vale in questo periodo per "Terrifier 3": da più parti stroncato e dileggiato, in realtà ci sono motivi precisi per il suo successo clamoroso, che vanno dal gore estremo fino all’assenza di messaggio politico o sociale, perché è solo un bagno di sangue. Mi pare che gli horror che piacciono al pubblico siano quelli che riescono a intercettare non lo spirito ma la pulsione del tempo, l’istinto, ciò che serve in quell’istante: può anche essere lo smembramento del corpo, perché no, non c’è niente di male. Cerchiamo di comprendere le ragioni di un boom commerciale invece di insultare il film che lo ottiene. Quanto ai titoli che piacciono a me, ho registi e tendenze preferite ma non c’è una linea generale: deve colpirmi, disturbare, mettermi in una posizione scomoda. Respingo la comodità e la tendenza a rassicurare il pubblico dandogli quello che vuole, o che si pensa che voglia (l’idea di pubblico è spesso sbagliata). Mi piacciono invece le immagini che spiazzano, me per primo: per esempio "The Substance" mi ha profondamente spiazzato perché spacca la profondità del banale.
F.C.: La prima sezione del tuo libro prende in considerazione film provenienti in particolare da due nazioni: U.S.A. e Francia. Tuttavia, alcuni degli horror più interessanti degli ultimi anni provengono da altre nazioni: ad esempio, "Speak no evil" (Gæsterne, 2022) è danese, "Talk to Me" (2022) australiano, "When Evil Lurks" (Cuando acecha la maldad, 2023) argentino e "Oddity" (2024) irlandese. Ritieni che la Francia e gli Stati Uniti siano ancora centrali nell’horror attuale o il bacino di sperimentazione più vivo e interessante si situi in altre nazioni o continenti?
E.D.N.: Un horror potente si può girare in ogni parte del mondo. La collocazione geografica non produce differenza di risultato. Certo, ci sono budget più alti, come nel cinema americano che ha storicamente puntato sull’horror, mentre su altre latitudini abbiamo tradizioni meno sviluppate. Mi sembra comunque che l’horror "regionale" (Danimarca, Argentina, lrlanda ecc.) funzioni bene quando si pianta intimamente nel territorio, cioè rende la propria terra uno scenario e quasi un personaggio. Pensa al piccolo centro rurale di "When Evil Lurks", disperso nella campagna argentina: per l’esattezza oscura con cui viene tratteggiato non sorprende che proprio lì possa germogliare il Male. Lo faceva cinquant’anni fa Pupi Avati col gotico padano… Nel libro ho provato a prendere alcuni di questi titoli, come "Speak No Evil", inserendoli nel capitolo "Le schegge": da intendersi come schegge impazzite, film che sfuggono a ogni etichetta possibile. Altri li ho esclusi, ma dovevo scegliere, una scelta è sempre crudele. "Oddity" è profondo e importante, sarà uno dei cult dei prossimi anni, peccato che l’ho visto dopo la chiusura del testo.
F.C.: Quali registi esordienti o ai primi film ritieni maggiormente promettenti per il futuro?
E.D.N.: Guarda, io credo che per girare un grande horror prima serva un po’ di esercizio, per così dire: difficile che un’opera prima abbia una portata tale da imprimersi davvero nell’immaginario. Ci sono alcune eccezioni, come Robert Eggers che all’esordio sfodera "The VVitch", il film che segna il ritorno della figura della Strega, ma c’erano comunque dei corti prima; lo stesso Ari Aster che debutta nel lungo con "Hereditary" aveva già girato un piccolo grande film, il medio "The Strange Thing About The Johnsons" e perfino il corto "Beau" che poi farà da seme per "Beau ha paura". Insomma, più che esordi veri e propri preferisco indicare alcuni nomi interessanti: punto ancora su David Robert Mitchell, che tornerà con "They Follow". E poi le registe che sono una novità imprescindibile nel genere oggi, soprattutto Julia Ducournau e Coralie Fargeat, la quale ci ha appena consegnato "The Substance" e ha ancora molto da mostrare.
F.C.: Nella tua narrazione del "nuovo cinema horror" parli della metà degli anni Dieci come l’inizio di questo nuovo filone. Cosa è accaduto (o non accaduto) nel periodo immediatamente precedente tale da giustificare una cesura con il passato?
E.D.N.: Il Novecento è finito con le sue paure tradizionali: la guerra fredda, l’atomica, l’AIDS. Nel Duemila sono germogliate paure nuove e terribili. Il millennio si è aperto col crollo delle Torri Gemelle e il ritorno forte del terrorismo, che nell’horror significa home invasion, ossia gli estranei che entrano in casa tua per ucciderti. E poi abbiamo realizzato la verità della crisi climatica, che ormai ogni giorno provoca catastrofi: la Natura si vendica, come negli horror anni Settanta che si chiamavano eco-vegeance. Poi ancora è arrivato il Covid, con le note conseguenze, a seguire le nuove guerre, il conflitto in Ucraina e la tragedia di Gaza. Insomma gli anni Dieci hanno portato un tempo particolarmente pauroso, i registi dell’orrore guardano alla realtà per riscriverla e trasfigurarla sullo schermo, ecco quindi gli horror che tematizzano i terrori del presente.
F.C.: Che progetti hai per il futuro?
E.D.N.: Tutti i giorni continuo ad affrontare l’horror di oggi per Nocturno. E insieme sto andando indietro nella Storia: sono tornato ad esaminare e ristudiare la figura di Bela Lugosi, il Dracula di Tod Browning, un personaggio immenso e unico nel cinema, per un libro collettivo che vedrà la luce nel corso del 2025. Poi scriverò un nuovo libro a mia firma, ma su questo ancora non posso dire nulla.