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recensione di Mario Vannoni
6.0/10

È senza dubbio peculiare iniziare una recensione in questo modo, ma…su "Terrifier 3" (Damien Leone, 2024) c'è poco da dire, perché è il film stesso che ha effettivamente poco da dire.
Un breve recap. Damien Leone esordisce come regista con il cortometraggio "The 9th Circle" (2008) e sin dall'inizio prende forma la sua ossessione denominata Art the Clown, ovvero il protagonista di ogni suo prodotto cinematografico fino ad oggi (fatta eccezione per "Frankestein Vs. the Mummy", 2015). Seguono, infatti, un altro corto dall'inequivocabile titolo ("Terrifier", 2011) e l'esordio al lungo "All Hallows' Eve" (2013), che altro non è se non un film a episodi, due dei quali sono "The 9th Circle" e "Terrifier", mentre il terzo è stato girato ex novo. Dopo la breve(issima) parentesi di "Frankestein Vs. the Mummy", Leone decide di cambiare e perciò intitola il suo secondo lungometraggio "Terrifier" (2016), a cui fanno seguito "Terrifier 2" (2022) e, appunto, "Terrifier 3". Su un totale, tra corti e lunghi, di sette regie, dunque, ben sei hanno come protagonista Art the Clown – che nei corti è interpretato da Mike Giannelli, il quale poi passa il testimone a David Howard Thornton. Se non è ossessione questa…


Prima di dissezionare quest'ultimo capitolo (attenzione: ne è già previsto un quarto), diamo uno sguardo ai suoi predecessori. "Terrifier", il primo, era il più classico degli slasher, seppur privato della componente di traduzione della realtà che tradizionalmente contraddistingue questo genere di opere. Leone non pettina le bambole: due ragazze stanno trascorrendo insieme la notte di Halloween quando incontrano in un bar, pensa un po', proprio Art the Clown, che da lì in poi inizia la sua carneficina. Fine. La sinossi – ma in realtà il film stesso – finisce qui. Tutto il resto è puro autocompiacimento gore per stomaci forti che cerca di volta in volta l'uccisione più efferata, lo spargimento di sangue più creativo, lo sbudellamento artistico e giocoso, con tanto di squartamento con chainsaw di hooperiana memoria che squarta una ragazza partendo dalla vagina. Sublime. Un trionfo – e, sembrerebbe, un'ode – al Grand-Guignol.


"Terrifier 2" è la debole risposta alle critiche piovute sul primo film, che lo accusavano di inconsistenza e di avere una trama fin troppo esile. Tutto vero, ma la domanda è: dove sta il problema? Il problema sta nel fatto che il regista se la prende a cuore e realizza la sua opera-fiume (138 minuti di durata!), quasi un blockbuster nella concezione (a discapito di un budget ridicolo), tentando di costruire una mitologia attorno al personaggio del Clown. Spuntano fuori, perciò, Sienna Shaw (Lauren LaVera) e suo fratello minore Jonathan (Elliott Fullam), entrambi adolescenti dal passato turbolento (la scomparsa del padre), lei che, col progredire della narrazione, diventa una sorta di angelo del bene – in contrapposizione al male incarnato da Art –, lui quale innocente in pericolo da salvare; ma subentrano anche Vicky (Samantha Scaffidi) – la ragazza sfigurata con cui si apre il primo film, qui in un rinnovato ruolo cruciale per la determinazione sovrannaturale di Art – e la bambina che il Clown incontra all'inizio, vestita come lui e che solo lui – e Vicky, guarda caso – è in grado di vedere, a conferma di un carattere legato a un generico oltre ora attribuito al protagonista. Già in "Terrifier", tuttavia, si potevano intuire le qualità sovrumane di Art: una forza fuori dal comune, una pressoché totale onnipresenza, una sostanziale invincibilità e, come scoprivamo nel finale, l'immortalità, o comunque il dono della resurrezione. In "Terrifier 2", qualora fossero rimasti dei dubbi, dopo essere stato decapitato Art resuscita (di nuovo): la sua testa viene partorita da Vicky, nella scena più sconcertante dell'intera saga.


Ed eccoci giunti al terzo capitolo. Che di fatto non aggiunge nulla. Ma Leone, al netto della sua ossessione, si è probabilmente reso conto che le premesse del suo personaggio hanno decisamente più a che fare col comico che con l'orrorifico. Ed è così che va preso "Terrifier 3": come un film comico. Perché il sangue, le budella, la focalizzazione morbosa sugli omicidi, l'esecuzione degli stessi – che Art concepisce come un gioco – raggiungono un livello talmente esasperato da sconfinare nella farsa – involontaria nel secondo capitolo, ma decisamente volontaria qui – o, se preferite, nel ridicolo. Se visto in quest'ottica, "Terrifier 3" fa morire dal ridere. E vanno lasciate da parte tutte le sovra-interpretazioni – talvolta al limite dell'aberrante: Art sarebbe il Male assoluto, un po' alla Micheal Myers; il suo nome (arte), come dichiarato dal regista in diverse occasioni, dovrebbe indicare che la violenza è una forma d'arte; disporrebbe della capacità di rallentare la morte delle vittime per prolungarne le sofferenze – per riportare il personaggio alla sua qualità intrinseca, la stessa che la superficie più esibita delle immagini che lo rappresentano stanno ad indicare: Art è un clown, un buffone che, in quanto tale, ama divertire e divertirsi. Il suo ghigno più che terrificante è compiaciuto, e difatti sparisce dal suo volto solo nel momento in cui sopraggiunge la morte (delle vittime) a indicare che il gioco è (purtroppo, per Art, ma anche per lo spettatore che giustamente riceve le scene spoglie di violenza come noiosi intermezzi in un crescendo gore sempre più sadico) finito.


Credo che il fraintendimento, nel caso del fenomeno "Terrifier", sia relativo al fatto di pretendere da un'opera qualcosa che quell'opera non è e, soprattutto, non vuole essere. Ciò non esclude i giudizi negativi, ma le critiche (la critica) deve sempre indagare nel merito. È sterile la critica che snobba un film perché non fa quello o perché avrebbe potuto quell'altro. Truffaut, nel 1955, scriveva che: "Il critico si definisce per la sua totale assenza di immaginazione, altrimenti farebbe film invece di discuterli. Di qui il disprezzo che professa per l'immaginazione degli altri"[1] . Allora "Terrifier 3" è un capolavoro? Assolutamente no. Tuttavia non gli si può negare il fatto di aver reinventato la figura del clown – che, vista l'ingombrante eredità di Pennywise ("It", 2017 e "It – Capitolo due", 2019, entrambi di Andy Muschietti, ma ancora prima la miniserie televisiva del 1990 diretta da Tommy Lee Wallace) non era cosa semplice – né di aver spinto lo slasher oltre i suoi stessi confini, certo con velleità, autocompiacimento, ripetitività, lungaggini ingiustificate e prive di inventiva, inadempienza al genere stesso, gratuità. La saga di "Terrifier" non ha nulla a che vedere con il torture porn di "Saw - L'enigmista" (James Wan, 2004), che dava un senso morale alla sofferenza attraverso il contrappasso, neppure con quello di "Hostel" (Eli Roth, 2005), che cercava la riflessione sull'ignoto culturale: da questi recupera la violenza spietata, ma la modula svuotandola dall'interno, con esiti che ricordano più la deriva compiutamente pornografica di certo horror contemporaneo. "Terrifier" non è nemmeno "Inside - À l'intérieur" (Alexandre Bustillo e Julien Maury, 2007) né tantomeno "Martyrs" (Pascal Laugier, 2008), non concepisce la violenza come reazione propria della new extremity francese. A Damien Leone non interessa la riflessione, vuole solo soffocarci in un tripudio di sangue e frattaglie (tra l'altro con degli effetti speciali artigianali di ottima fattura, a fronte del budget, e a tratti dal gustoso sapore body horror). Visti gli incassi e l'ormai acclarato status di cult di genere della saga, forse ha ragione lui, se non altro nell'aver intercettato un'esigenza visiva per stomaci forti (a quanto pare) latente. E dovrebbe essere questo a farci riflettere, il nostro bisogno di immagini sempre più scioccanti, sempre più insostenibili, che superino la realtà per efferatezza. Pier Maria Bocchi, nella sua ultima pubblicazione, scrive che "L'horror ascolta sempre la realtà: nei casi migliori, la ricostruisce, la combatte, le risponde a tono; nei casi peggiori, la lusinga"[2] . Potremmo allora affermare che "Terrifier 3" lusinga la realtà senza prenderla sul serio. Un caso peggiore?

 

[1] http://diario.cinefile.biz/i-sette-peccati-capitali-della-critica (consultato il 13/11/24).

[2] P. M. Bocchi, So cosa hai fatto. Scenari, pratiche e sentimenti dell'horror moderno, Lindau, Torino 2024, p. 11.


16/11/2024

Cast e credits

cast:
Elliot Fullam, Lauren Lavera, David Howard Thornton


regia:
Damien Leone


distribuzione:
Midnight Factory


durata:
125'


produzione:
Dark Age Cinema, Fuzz on the Lens Productions, Bloody Disgusting, The Coven


sceneggiatura:
Damien Leone


fotografia:
George Steuber


scenografie:
Olga Turka


montaggio:
Damien Leone


costumi:
Olga Turka


musiche:
Paul Wiley


Trama
Art il Clown fa ritorno dalla morte ed è pronto a scatenare il caos sugli ignari residenti della Contea di Miles mentre si addormentano pacificamente la vigilia di Natale. Contro di lui si schierano, ancora una volta, Sienna e suo fratello Jonathan.