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Locarno 67, il nostro diario in diretta

La giuria premia col Pardo d'oro il rigore autoriale e la potenza delle immagini di "Form What Is Before" di Lav Diaz. Ma va tenuto a mente anche l'ultimo film presentato in Concorso: "Gyeongiu" del sudcoreano Zhang Lu, in magico equlibrio tra realtà e finzione, sembra venire da un'altra dimensione

Tutti i premi dell'edizione 67

Venerdì 15 agosto, nona giornata

Concorso internazionale
Gyeongiu di Zhang Lu

gyeongju_01"Non ci sono parole per descrivere l'orrore". Siamo d'accordo con le parole del "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad, e con quelle messe in bocca da Francis Ford Coppola al suo doppione filmico, il Kurtz di Marlon Brando, ma siamo convinti che lo stesso valga anche per estetiche di segno opposto, e per un film come quello del regista sudcoreano Zhang Lu, buon ultimo di un concorso che ieri ha messo fine alla sue proiezioni. Un attestato di stima di cui ci assumiamo le responsabilità e che però non facilità la difficoltà di descrive al lettore la bellezza di un film per certi tratti "indescrivibile". Perché "Gyeongju" è solo in apparenza un film risolvibile con formule di rito e con un genere, il road movie, che in qualche modo potrebbe riassumere la storia del protagonista, Choi Hyeon, docente all'università di Pechino, che torna nella sua terra d'origine, la Corea, per presenziare al funerale di un amico, e che poi si perde in un viaggio a "Gyeongju" tanto reale quanto fantomatico, per la presenza di persone che potrebbero già essere defunte. In realtà il film di Zhang Lu è un meccanismo cinematografico che si regge su equilibri delicati, raggiunti da una regia che modula i diversi toni della commedia(aneddotica e degli equivoci ma anche sentimentale e a in certi casi persino umoristica) per trasportarci su una dimensione in cui reale e metafisico, pensiero e immaginazione, si fondono in una quadro di armonia così intenso, e per dirla con le parole della storia, così "Zen"(il riferimento a Confucio è utilizzato dal film come possibile spiegazione di quello che accade ai personaggi) da trasmettere alla platea sensazioni di benessere estatico e allucinatorio. È in questo stato di trance che partecipiamo all'incontro tra il protagonista e la bella e misteriosa ragazza che gestisce la sala da the, dove, un tempo, si trovava il dipinto a sfondo erotico che Choi vorrebbe rivedere; ed è con lo stesso condizione che osserviamo gli sviluppi di un sodalizio destinato a lambire consapevolezze ultraterrene. Siamo dalle parti di un film come "Ferro 3" di Kim Ki-duk, con la differenza che le venature più drammatiche del capolavoro del Maestro qui vengono sostituite da una poetica del tempo perduto che produce sorriso e meraviglia. Un film dell'altro mondo. Da non perdere

Voto: 8

Giovedì 14 agosto, ottava giornata

Concorso internazionale
The Iron Ministry di J. P. Sniadecki

Il documentario racconta la società cinese scegliendo un filo conduttore decisamente singolare: il sistema ferroviario, orgoglio del Paese per efficienza e capacità organizzativa. Il vasto campionario di passeggeri, colti nel pieno svolgimento della loro quotidianità, restituisce un profilo esauriente ed eterogeneo completo del colosso economico.
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Concorso internazionale
Nuit Blanches Sur la Jetèe di Paul Vecchiali

Di tutt'altra pasta invece il film del veterano Paul Vecchiali che porta al festival l'ennesima riedizione delle notti bianche dostoevskiane, raccontando il minuetto amoroso di un giovane follemente innamorato della donzella a cui fa da spalla e da conforto nell'attesa del preludio amoroso con un misterioso amante. Per arrivare al dunque ci vorranno quattro notti insonne e le molte parole dei due protagonisti, impegnati - senza alcuna speranza- a evitare le trappole elaborate da Cupido. Con una messinscena ridotto all'osso, e pressoché ridotta alla quinta costituita dall'angolo di porto in cui si svolgono gli incontri, "Nuit Blanches Sur la Jetèe" può contare soprattutto su un cotè culturale che spazia dalla letteratura - con Dostoevskij in prima fila - al balletto, inserito attraverso quello in cui a un certo punto si esibisce la volubile ragazza.
Se i dialoghi antinaturalistici, caratterizzati da una prosa poetica e citazionista, e i continui andirivieni emotivi e sentimentali, sono l'indice di una libertà da nouvelle vague, non si può non constatare come il film di Vecchiali arrivi fuori tempo massimo rispetto a un modo di fare cinema che, nel suo caso, appare ripetitivo e stanco.

Voto: 5

Mercoledì 13 agosto, settima giornata

Concorso internazionale
Cavalo Dinheiro di Pedro Costa

cavaloEsponente di una forma di cinema "politico" sempre più rara nella costellazione cinematografica, il portoghese Pedro Costa è, nel bene e nel male, un regista fedele a se stesso, al punto da presentarsi a Locarno con un film, "Cavalo Dinheiro", che sembra, la versione lunga dell'episodio firmato dallo stesso autore nell'ambito del film collettivo "Centro Historico" (2012). Come quello, il nuovo lungometraggio racconta per immagini la storia di Ventura, immigrato dalle isole di Capo Verde per lavorare a Lisbona, proprio alla vigilia del colpo di stato militare che, a metà degli anni 70, si propose di dare una svolta democratica e anticolonialista alla politica governativa del paese. Il regista torna a quel periodo con una struttura narrativa che abolisce le logiche della normale progressione narrativa, disintegrando l'unità spazio temporale in un insieme di quadri che hanno il compito di restituirci i sentimenti ma anche le condizioni di vita di chi continua ancora adesso paga le conseguenze di quegli avvenimenti. Il personaggio di Ventura infatti più che se stesso, rappresenta l'incarnazione di una molteplicità di personaggi che individuano la moltitudine di umiliati e offesi dall'ingiustizia di un mondo assurdo.
Certo, il cinema del regista portoghese nel suo assoluto rigore non concede spiegazioni. Tutto deve essere dedotto dagli spunti di un dialogo fatto di frasi lapidarie e spesso criptiche, e da una specifica conoscenza della storia portoghese, a cui fanno riferimento i dettagli di oggetti e delle fotografie su cui la macchina da presa sporadicamente si sofferma. Ad essere evidente è la tipologia delle immagini, composte all'interno di un quadro più piccolo del normale, e caratterizzate da uno stile di ripresa che enfatizza punti di fuga e prospettive anomale, con prevalenza di ombre e recessi poco illuminati a rappresentare una metafisica da oltretomba al quale sembra, così crediamo, appartenere Ventura, Dead Man Walking resuscitato per il tempo necessario a ricordare gli orrori di un sistema che ha tolto anche il niente a chi era già povero. Teatrale e assurdo al tempo stesso, "Cavalo Dinheiro" è cinema destinato a pochi eletti. Il rispetto nei confronti del tema portato avanti da Costa non impedisce però di avanzare dei dubbi su un operazione che di fatto non aggiunge nulla a quanto visto nel mediometraggio del 2012.

Voto: 5

Concorso internazionale
Alive di Park Jung-bum

Niente di nuovo invece sul fronte del cinema asiatico, e in particolare di quello Sud Coreano che presentava ieri "Alive" di Park-Jungbum, giunto qui a Locarno con un'opera seconda che racconta con epica tragica l'epopea di un operaio costretto barcamenarsi tra gli scompensi nervosi della sorella, ragazza madre affetta da una sorta di sindrome autodistruttiva, e le precarietà economiche di un lavoro duro e mal retribuito. Ambientato in una provincia rurale inospitale e gelida, "Alive" pur svolgendosi nell'ambito di un racconto che ha il respiro di un romanzo classico e lo stile di un feuilleton occidentale, non rinuncia al repertorio di stranezze e di afflizione a cui ci hanno abituato i film provenienti da questo angolo di mondo. Così mentre assistiamo a relazioni umane che confermano l'"homo homini lupus", con padroni di lavoro cinici e spietati e operai costretti a patire le pene dell'inferno, "Alive" ci porta dalle parti di certo cinema alla Kim Ki-duk, con autoflagellazioni e torture ricercate con sadica efficacia, anche se, bisogna dirlo, mostrate quel tanto che basta per rendere l'idea di una sofferenza umana che è forse il tratto che il film riesce a rendere con maggior efficacia. Certamente di più della critica a un sistema di valori, consegnato all'ossessione per il guadagno e per il tornaconto personale, talmente invasivo da risultare letale persino per chi, in questo caso il proprietario della fabbrica di soia in cui lavora il protagonista, dovrebbe avere gli anticorpi per reagire alla spietata logica del capitale. E anche al confronto, appena accennato, tra città e campagna, introdotto dalla breve parentesi girata a Seul, con la seconda tutto sommato più sopportabile della prima. Senza infamia e senza lode.

Voto 6,5

Martedì 12 agosto, sesta giornata

Concorso internazionale
A Blast di Syllas Tzoumerkas

Un'opera durissima che ribadisce la volontà del cinema greco di confrontarsi, senza filtri o remore, con le sofferenze umane e psicologiche conseguenti alla bancarotta del Paese. Ancora una volta, è la famiglia l'ambito metaforico privilegiato per leggere e analizzare una realtà sociale in macerie. Dominato da una frustrazione che si traduce in carnalità vuota e disperata, "A Blast" è uno schiaffo che ridesta le coscienze degli spettatori.
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Concorso internazionale
Listen Up Philip di Alex Ross Perry

philstillIn mezzo a cotanta apocalisse giunge come una boccata d'aria fresca il nuovo film di Alex Ross Perry, regista che il festival di Locarno ha allevato a domicilio e che oggi torna con un'opera valorizzata dalle presenza di un cast di grande livello, con Jonathan Pryce e Jason Schwartzman a capeggiare un parterre di attrici femminili, tra cui spicca la Elisabeth Moss di "Mad Men". Passato con successo nell'ultima edizione del Sundance, "Listen Up Philip" rientra a tutti gli effetti nella categoria del cinema indie sponsorizzata da Robert Redford per caratteristiche low budget e per quell'aria di leggerezza e improvvisazione con cui, nei casi più felici, questo tipo di cinema informa l'intelligenza del testo scritto. Come quello di Perry che, alla maniera di un romanzo filmato (la voce over accompagna la storia dall'inizio alla fine) racconta le vicissitudini - molto egoiste - di uno scrittore di successo che, in attesa della pubblicazione del suo nuovo romanzo, mette in atto un giro di vite che lo porterà a lasciarsi con la sua ragazza, e a frequentare Ike Zimmerman, idolo della giovinezza, che gli offre rifugio e tranquillità nella sua dimora di campagna.
Illuminato da colori autunnali e da tonalità prevalentemente marroni e arancioni, "Listen up Philip" è un blues metropolitano sulle conseguenze del successo, e sugli scompensi di un io abituato naturalmente ad alimentare se stesso. Philip (Schwartzman per la terza volta arruolato nella parte di uno scrittore) infatti è un essere umano che fa dell'arroganza e della diffidenza il suo tratto distintivo. Impraticabile per chiunque lo avvicini, il protagonista trova comunque il modo di conquistare, suo malgrado, il cuore di avvenenti fanciulle che, nell'insostenibile confronto con il loro innamorato, permettono al film di descrivere una virilità maschile al contrario, comicamente patetica, e in parte sorpassata dalle personalità demodè del sodalizio maschile, in cui svetta per cinismo e contraddizioni il personaggio del maturo romanziere (dietro cui si potrebbe leggere la figura di Philip Roth) che fatica ad accettare i segni del suo declino. Tra famiglie che vanno a pezzi, introspezioni da seduta psicanalistica e amori mai nati, "Listen Up Philip" ha l'improvvisazione di una scrittura invero controllatissima, che ricorda -anche per ambientazione newyorkese- quella di Woody Allen. Meriterebbe una distribuzione italiana, e anche lui entra a far parte dei nostri favoriti.

Voto: 7,5


Lunedì 11 agosto, quinta giornata

Concorso internazionale
Durak di Yuri Bikov

A dispetto dei ritmi e degli immaginari a cui ci ha abituati la storia del cinema russo, Yuri Bilkov gira con lo stile del cineasta di scuola americana. Anche la storia, incentrata sulle disavventure di un idraulico perbene, colpevole solo della propria onestà, assomiglia molto a quelle degli eroici everymen che hanno fatto la fortuna di tante pellicole hollywoodiane.
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Concorso internazionale
Cure: The Life Of Another di Andrea Staka

cure_locarnoEra uno dei film più attesi del concorso. Un po' per il fatto di essere diretto da Andrea Staka, beniamina del pubblico locale con un film "Das Fraulein" che da queste parti aveva riscosso un enorme successo, un po' perché l'intreccio della storia, virato al thriller psicologico riportava in gioco il cinema di genere, ingiustamente estromesso nelle prime giornate del festival. La storia è presto detto con l'amicizia femminile e un po' morbosa di due adolescenti sconvolta dalla morte di una delle due, uccisa dall'amica a seguito di un diverbio che si trasforma in tragedia. Considerato che la storia si svolge nella Dubrovnick dell'immediato dopoguerra, e che il resto della vicenda deriva in parte dalle proiezioni della giovane protagonista, immersa in un patologico transfert che la porta a sostituirsi alla vittima, di cui inizia a frequentare l'amante e la famiglia. Centrato nella costruzione delle atmosfere "The Cure" ha il difetto di non riuscire a sviluppare le sottotrame che mette in scena. Non solo quelle che potrebbero derivare dalle implicazioni conseguenti al fatto di legare la storia a un città "fantasma" come quella croata, ma ci riferiamo soprattutto ai legami che la protagonista stabilisce di volta in volta con il resto dei personaggi, apparentemente complici della ragazza ma alla resa dei conti incapaci di dare sostanza a un film che rimane dentro la testa di chi lo firma.

Voto: 6

Concorso internazionale

Dos Disparos di Martin Rejtman

Il festival continua a parlare la lingua spagnola, presentando in concorso "Dos Disparos", dell'argentino Martin Rejtman, vecchia conoscenza della kermesse svizzera che, attraverso il suo film ci porta a ragionare sullo spaesamento di una nazione che si ritrova nuovamente sull'orlo del collasso. Per farlo mette in scena il mancato suicidio del sedicenne Mariano che, tornato a casa dalla degenza ospedaliera, diventa la causa di una serie di cambiamenti che sconvolgono la routine esistenziale di chi gli sta accanto. Considerando l'improbabilità delle circostanze che fanno da incipit alla vicenda (la dinamica della messinscena così come noi la vediamo non avrebbe dato alcuna possibilità di sopravvivenza al ragazzo) e soprattutto l'impassibilità che costituisce il leit motiv psicologico ed emotivo con cui tutti i personaggi, nessuno escluso, reagisco agli smacchi del destino "Los Disparos" ci trasporta in una dimensione surreale e grottesca, simile a quella delle strisce disegnate dal mitico Charles Schulz. Tutto bello, se non fosse che il cinema non è un fumetto, e le situazioni immortalate dal regista argentino, soprattutto nella seconda parte, quella dove sono gli adulti a fare la parte del leone, frantumano la continuità del film con un andamento da corto cinematografico, con i singoli accadimenti destinati a nasce e morire in un battito di ciglia. Idee e originalità non mancano di certo al regista argentino ma quello che viene meno è la struttura di un film che tende a specchiarsi nella proprio estro.

Voto: 6

Domenica 10 agosto, quarta giornata

Fuori concorso
Sul vulcano di Gianfranco Pannone

Vivere sulle pendici del Vesuvio. Lontano dagli stereotipi che spesso caratterizzano i ritratti della napoletanità, il documentario di Gianfranco Pannone raccoglie testimonianze, brani della tradizione e immagini d'archivio per comporre un quadro multiforme e antiretorico, sospeso tra storia, antropologia e mitologia, sulla varia umanità che deve condividere la propria vita quotidiana con un vulcano ancora attivo.
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Piazza Grande
Marie Heurtin di Jean-Pierre Ameris

La malattia come diversità è uno dei temi su cui la società civile è chiamata a confrontarsi per dimostrare di essere tale. Il cinema da questo punto di vista alterna opere di forte impegno e profondità, con prodotti che tendono a spettacolarizzare gli aspetti più drammatici della questione. Una ricerca che, in entrambi i casi coincide con la presenza d'attori che anche nella vita reale e non solo nella finzione sono portatori dell'handicap che devono interpretare. Il risultato è un circuito emotivo che finisce per condizionare lo spettatore, portato a considerare il film dal punto di vista sentimentale piuttosto che da quello artistico e cinematografico. In questo senso "Marie Heurtin" può considerarsi un ibrido di buona fattura perché oltre a una trama lineare, tratteggiata con sensibilità ma anche attenta a mantenere alto il pathos con i topos del genere, il film di Jean-Pierre Ameris può contare sulla straordinaria bravura delle due interpreti: Arianna Rivoire, attrice che interpreta Marie, la ragazzina cieca e sordomuta, che i genitori affidano alle cure dell'istituto religioso, e Isabelle Carrè, la suora che, vincendo lo scetticismo generale le insegnerà a parlare insegnandole il linguaggio dei segni. Tenendo conto del conflitto d'interessi che il film si porta dietro (a parte la cecità la Rivoire soffre degli stessi svantaggi del suo personaggio) e del contesto mistico e spirituale in cui si svolge la vicenda il merito più grande di "Marie Heurtin" è quello di aver evitato l'agiografia mantenendo il percorso di "liberazione dal male" lontano dai miracoli e dalla metafisica, e in ogni momento attaccato alla forza della volontà e agli aspetti più vitali dell'esistenza umana.

Voto: 6

Sabato 9 agosto, terza giornata
 
Concorso internazionale
Perfidia di Bonifacio Angius

Dopo l'apprezzato "Sagrascia", il regista sardo riesce a cogliere lo "spirito del tempo" nella distanza psicologica e generazionale che separa Peppino, padre vedovo, da suo figlio Angelo, trentacinquenne disoccupato, vittima della più totale apatia. Una prova convincente e coraggiosa che lascia ben sperare in una nuova voce del nostro cinema.
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I film delle giurie - Concorso internazionale
El Sicario - Room 164 di Gianfranco Rosi

Prima del trionfo veneziano di "Sacro GRA", Gianfranco Rosi aveva raggiunto una cittadina del Messico dove, grazie all'intermediazione del giornalista Christian Bowden, incontrava un sicario al servizio del narcotraffico. Nell'anonimo spazio di una camera d'albergo, l'assassino incappucciato, con l'aiuto di una biro e un blocco per appunti, si racconta alla macchina da presa, senza risparmiare dettagli sui propri macabri metodi di lavoro.
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Venerdì 8 agosto, seconda giornata
  

Concorso internazionale
La sapienza di Eugène Green
Ventos de Agosto di Gabriel Mascaro

locarno2La seconda giornata del concorso internazionale presentava due film che, pur nella forte identificazione con i paesi d'origine, avevano più di un punto in comune con le opere presentate il giorno precedente. Il primo, "La sapienza", del regista francese Eugène Green si giocava il gettone di presenza con una storia che, alla pari di quella del collega Pineiro, proponeva il binomio arte vita come orizzonte entro il quale indagare l'animo umano; il secondo, del brasiliano Gabriel Mascaro, si immergeva anima e corpo in un esistenzialismo che, alla maniera del film di Lav Diaz, utilizzava il paesaggio naturale per ricavarne elementi di solitudine e di mistero.
"La sapienza" è il racconto di una duplice disaffezione, lavorativa e matrimoniale: di Victor, architetto di successo che non crede più nell'utilità del suo lavoro, e di Alienor, sua moglie,infelice e frustrata da un menage arrivato a un punto morto. Il viaggio studio in Italia, organizzato dall'uomo per approfondire la vita e le opere di Francesco Borromini, e, successivamente, l'incontro con due adolescenti, offre alla coppia un'occasione per lasciarsi alle spalle il triste passato. Girato con stile antinaturalistico, evidente nella rigidità delle movenze adottate dagli attori, e nella recitazione che fa di tutto per ricordarci la presenza del copione, "La sapienza" si regge sull'idea di far collimare la linearità di una trama, scandita quasi per intero dalle varie tappe del viaggio in Italia, con la filosofia del testo scritto che, dalla speculazione visiva scaturita dei grandi complessi architettonici e dal contatto con gli spazi da essi creati, vorrebbe risalire alla fonte della felicità umana. Un progetto ambizioso e altisonante, che Greene riesce a mantenere con i piedi per terra grazie al buon umore al nonsense stimolato dalla maschera di Fabrizio Rongione, che dona al suo Victor un impassibilità da comicità deadpan. Ma la commistione tra alto e basso, tra commedia e tragedia, così come tra la bellezza delle opere d'arte e la miserie del quotidiano, rimane allo stato larvale, lasciando la sensazione di un connubio non completamente riuscito.
Gabriel Mascaro ci porta invece su un territorio più ameno ma non per questo meno sfaccettato. Dietro la fascinazione di un paesaggio incontaminato e selvaggio si nasconde la natura di un film che scava sotto la superficie delle cose, lasciando intendere di sapere più di quello che mostra. A differenza di Green il regista procede in senso inverso, con le certezze costruite all'inizio della storia (il mare, il sole, la fisicità dei corpi mostrati in tutta la loro evidente perfezione) progressivamente sfaldate da una serie di eventi - l'arrivo di una tempesta tropicale e il ritrovamento del cadavere di uno sconosciuto - che portano a galla paure ancestrali, legate soprattutto alle credenze della religione animista.
Proveniente dal documentario, Mascaro è bravo a muovere la mdp, pronta a pedinare personaggi che vengono restituiti con assoluta verità, così come a sfruttare i vantaggi del jump cut, utilizzato dal regista per trasmettere le sensazioni di smarrimento e di perdita che accompagnano il protagonista maschile, occupato a dare giusta sepoltura ai resti umani ritrovati sulla spiaggia. Ma la drammaturgia delle immagini non riesce da sola a compensare l'inconsistenza di una sceneggiatura, incapace di concretizzare lo stupore suscitato dalle molte invenzioni visive. Alla fine, piu' che una storia, "Ventos de Agosto" rimane impresso per alcuni momenti che si isolano nella memoria dello spettatore. Tra questi ricordiamo quello in cui una ragazza prende il sole su una barca dopo essersi spalmata sul corpo un'intera lattina di Coca Cola, oppure la sequenza che conclude il film, con il protagonista, novello Sisifo, vinto ma non sconfitto nella sua sfida all'ordine naturale delle cose.

La sapienza - Voto: 6
Ventos de Agosto - Voto: 5

Giovedì 7 agosto, prima giornata

Concorso internazionale

Dancing Arabs di Eran Riklis

Il film affronta il conflitto israelo-palestinese con delicatezza e spirito progressista, raccontandolo dal punto di vista delle nuove generazioni. Protagonista è Eyad, un giovane arabo che è riuscito a iscriversi in un importante college israeliano. Le tensioni della prima Intifada rendono difficile la sua integrazione.
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Concorso internazionale
La Princesa de Francia di Matias Piñeiro

princesa_locarnoLe scelte dei festival creano situazioni divertenti e paradossali. Capita quindi di assistere a proiezioni come quelle programmate per la prima giornata del concorso ufficiale, in cui il comune denominatore di due opere che fanno della libertà creativa e dell'anticonformismo il loro punto di forza finisce per diventare il motivo della loro sostanziale differenza. Il risultato produce sensazioni inversamente proporzionali alla durata dei due film, con la lunghezza fluviale di "From What is Before", che si fa preferire per leggerezza e commestibilità ai propositi da nouvelle vague esplicitati dal regista argentino Matias Piñeiro nei 70 minuti in cui si sviluppa la vicenda di "La Princesa de Francia", quarto lavoro di una carriera appena incominciata.
Al centro della questione del film argentino c'è il tema dell'amore, declinato attraverso le contraddizioni e le facili infatuazioni di una compagnia teatrale che cerca di mettere in scena un radiodramma tratto, neanche a farlo apposta, dal shakespeariano "Pene d'amor perdute". E un personaggio, Victor, che si contende le grazie di cinque donzelle, che a turno si prestano ad assecondare, ora affascinate, ora spinte dal presunto carisma del ragazzo, gli umori dell'impenitente dongiovanni.
Pineiro gioca a carte scoperte, riproducendo il cortocircuito vita arte che il regista vorrebbe leggiadro e divertente, e che invece si appesantisce con gli insistiti riferimenti culturali (dalla pittura al teatro, alla letteratura) che fanno da spunto all'intreccio. In questo modo la proclamata libertà diventa un miraggio che "La Princesa de Francia" riesce a concretizzare, ed è un peccato per la disinvoltura degli attori, solamente nella scena iniziale, dove, sulle note di una musica operistica la telecamera si sofferma in campo lungo su una partita di calcio a squadre miste, con marcature e cambi di campo che sono la sintesi perfetta di film inconcludente

Voto: 5


Concorso internazionale
From What Is Before di Lav Diaz

Nonostante la ritrosia del grande pubblico (intimidito principalmente dalla durata fluviale), la nuova, poderosa opera di Lav Diaz non può che affascinare. In linea col suo linguaggio rigoroso e contemplativo, il regista filippino ritrae gli anni della feroce dittatura del presidente Marcos, attraverso una serie di eventi misteriosi e drammatici.
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Proiezioni Piazza Grande - Fuori concorso
Lucy di Luc Besson

Già campione d'incassi dell'estate negli Stati Uniti, l'atteso blockbuster di Luc Besson sembra riportare il cineasta francese agli sviluppi narrativi e alle eroine dei suoi lavori più celebri, da "Nikita" a "Angel-A". Eppure questa volta, diversamente dai pregressi barocchi, la struttura del film si "raffredda" e, facendo a meno di ogni aggiunta sentimentale, si concentra sulle corrispondenze tra la metamorfosi della protagonista (Scarlett Johansson) - provocata dall'assunzione fortuita di una droga che le dona poteri strabilianti - e le teorie scientifiche sulle infinite possibilità della mente umana, esposte dal suo "mentore", il professor Norman (Morgan Freeman).
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Aspettando il festival

Alla vigilia d'ogni festival, scorrendo l'elenco dei titoli che ne faranno parte, non si può fare a meno di ragionare sul significato di una manifestazione che al pari di altre consimili proviene da un'epoca lontana e sulla scia di un cinema che nel frattempo ha visto cambiare il modo della sua usufruizione, In epoca di pirateria telematica, video on demand e di pay tv ci si chiede in sostanza quale sia il senso di un spettacolo che la modernità, con la velocità delle sue possibilità tecnologiche, sembra aver ridotto ad un avamposto di coscienze elitarie e anacronistiche. Se la domanda rimane aperta, non c'è dubbio che le scelte del festival d Locarno provano in qualche modo a rispondervi con coraggio e originalità. Da una parte, infatti, il programma pensato dagli organizzatori conferma l'eccezionalità di un evento che non fa differenza tra pubblico e addetti ai lavori, con incontri, masterclass e conferenze stampa accessibili a giornalisti e semplici appassionati; una vivacità, dialettica e intellettuale, stimolata attraverso un mix di personalità che in diversi modi hanno contribuito alla storia della settima arte: da Roman Polanski, presente insieme alla moglie Emanuelle Seigner per una lezione di cinema che promette di non essere da meno di quella tenuta lo scorso anno da Werner Herzog, ai francesi Jean Pierre Leaud e Juliette Binoche, omaggiata con la proiezione di "Cloud of Sils Maria" e di "Film Blu", e ancora agli americani Mia Farrow e Garrett Brown, quest'ultimo inventore delle mitica steadicam.

Dall'altra, invece, si conferma la tendenza di una selezione che, per quanto riguarda il concorso internazionale e la sezione "cineasti del presente", procede in controtendenza rispetto alle esigenze di glamour e di notorietà imposte dal circuito mediatico. A contendersi il Pardo d'oro saranno per l'appunto diciassette film che, nell'intento di rappresentare il crocevia d'idee e di culture voluto dal direttore del festival Carlo Chatrian, si fanno portatori di realtà spesso sconosciute e ostiche, come possono esserlo, ad esempio, le storie del regista filippino Lav Diaz, beniamino della critica militante ma sostanzialmente sconosciuto nei circuiti ufficiali, atteso con un pò di ansia per la lunghezza (338') di un lungometraggio - "From What is Before" - che racconta la dittatura nelle Filippine del 1972; oppure quella della svizzera Andrea Staka, in cui le atmosfere della Croazia post bellica fanno da sfondo a una storia di ossessioni giovanili che rasentano la follia. Non fa sconti il cinema sudamericano, presente con ben tre titoli, e capitanato da Martin Rejtman con "Dos Disparos", storia di un mancato suicidio che scatena una reazione a catena di impensabile portata, e quello recapitato dal far east che si segnala con l'opera seconda ("Alive") del coreano Jumg-bum Park, colpo di fulmine del direttore, ammaliato da una vicenda che parla di denaro e di rapporti di classe in un mondo rurale privato dei suoi valori fondanti. Non manca il cinema statunitense, qui in versione rigorosamente indie con due film, il primo ("Listen up Philip" di Alex Ross Perry con Jason Schwartzman e Jonathan Pryce) in concorso, il secondo ("Buzzard" di Joel Potrykus) nella sezione dedicata ai registi emergenti, che sembrano avere le carte in regola per rappresentare il nuovo che avanza.

Gli autori di fama consolidata invece, si danno appuntamento fuori dalla competizione: nelle proiezioni serale (Piazza grande) con Eran Riklis, già regista de "La sposa Siriana" e "L'albero dei limoni" che in "Dancing Arabs" affronta ancora una volta le difficili relazioni tra arabi e israeliani, e Lasse Hallstrom, regista "hollywoodiano" alle prese con uno scontro etnico e culinario, in "The Hundred Foot Yourney", intepretato tra gli altri da Helen Mirren. Addirittura Jean Luc Godard, rimbalzato direttamente dal festival di Cannes con un 3D che aggiunge un pizzico di imprevisto ad un maestro che da questo punto di vista non ha bisogno certo di aiuti. Il cinema italiano dal canto suo propone uno schema che da queste parti si ripete da molte stagioni, con celebrazioni di un passato glorioso (in questa edizione tocca alla Titanus di Gustavo e Goffredo Lombardo, protagonista di una retrospettiva sviluppata attraverso una sessantina di film da lei prodotti) e sparuti segnali di un presente che oggi tiene banco con "Perfidia", di Goffredo Angius, inserito nel concorso ufficiale, e poi con "Sul vulcano", fuori concorso firmato da Gianfranco Pannone. Intanto domani la sessantasettesima edizione del Festival di Locarno prenderà il via con la prima europea dell'ultimo film di Luc Besson, "Lucy" campione d'incassi del box office americano che, nella sua vistosa grandeur, rischia di rimanere impresso più per le differenze con il resto del gruppo, che per gli indubbi meriti del mogul francese.




Locarno 67, il nostro diario in diretta