Ondacinema

Basata sul celebre romanzo di Patricia Highsmith, la serie firmata e diretta da Steven Zaillian sfrutta il talento di Andrew Scott e una fotografia in bianco e nero magnetica per dimostrare che su Netflix c’è ancora spazio per le serie d’autore

"The Talented Mister Ripley", thriller psicologico del 1955, e i suoi quattro sequel, tutti firmati dalla scrittrice americana Patricia Highsmith, sono una delle saghe più saccheggiate dal cinema di genere. Se nel film omonimo di Anthony Minghella del 1999, probabilmente l’adattamento più celebre del romanzo, è un giovane Matt Damon a interpretare Tom Ripley, attestandosi quindi come volto più noto del suadente farabutto letterario, va ricordato che gli stessi panni erano già stati vestiti da altri interpreti. Nel 1960 da Alain Delon in "Plein Soleil" di Rene Clement, mentre diciassette anni dopo Tom Ripley avrebbe avuto la faccia di Dennis Hopper, ne l’"Amico americano" di Wim Wenders, nel quale il cineasta tedesco incorpora spunti dal secondo e dal terzo libro della saga della Highsmith. Assolutamente da citare, a testimonianza dell’inestinguibile fascino esercitato da Ripley sul cinema, anche l’interpretazione del killer fornita da John Malkovich in "Il gioco di Ripley" di Liliana Cavani del 2002 – l’attore americano appare peraltro in un cameo nell’ultimo episodio della serie.

Le storie di Patricia Highsmith sono certamente avvincenti, ricche di sorprese e molteplici livelli di lettura, ma il vero potere di attrazione della saga risiede nel personaggio di Ripley. Il giovane opportunista americano, il cui talento è tanto quello di simulare interessi ed emozioni quanto quello di imitare persone e prenderne il posto dopo averle eliminate, si offre infatti a interpretazioni scrittorie e attoriali dalle infinite possibilità.

La realizzazione di una serie Netflix con questo protagonista non sorprende per nulla, dunque. Meno scontato era invece che se ne potesse realizzare una così buona da poter competere con le migliori trasfigurazioni cinematografiche dei romanzi della Highsmith. Al punto da farci parlare del "Ripley" di Steven Zaillian come una delle migliori serie dell’anno in corso – forse della migliore in assoluto.

La scommessa vinta dal creatore e regista dell’intera serie, già noto per il suo ruolo di sceneggiatore alla corte di Martin Scorsese (suoi gli script di "Gangs Of New York" e "The Irishman", ma anche, tra i tanti altri, di "L'arte di vincere" e dell’acclamato serial Bbc "The Night Of"), è stata quella di realizzare l’ultima tipologia di prodotto che ci si aspetterebbe dal colosso streaming americano, quella che potremmo chiamare una serie d’autore. Per farlo Zaillian ha puntato su tre elementi fortemente connotanti: la fotografia, la direzione degli attori e una gestione dilatatissima dei tempi. Grazie a questi tre elementi e a una cura dei particolari certosina, il creatore della serie è riuscito a fornire un’interpretazione inedita a una storia già nota ed elaborata in disparate altre chiavi. Allo stesso tempo ne ha trovato una declinazione perfetta per il formato a episodi.

Affidata a un veterano come Robert Elswit, uno che nel carniere conta opere come "Il petroliere" di Paul Thomas Anderson e il sottovalutato "Good Night And Good Luck" di George Clooney, la fotografia di "Ripley" è elegante e ipnotica. Il bianco e nero restituisce gli anni della dolce vita italiana in tutta la loro decadente ricercatezza, incupisce gli interni e le notti romane e inonda di luce abbagliante le scene costiere e i panorami assolati. La magia della fotografia di questa serie non risiede però tutta nel fascino cromatico del bianco e nero.

Approfittando di scenari come la costiera amalfitana, quella ligure, quella siciliana, Roma e infine Venezia, Elswit ha costruito ogni inquadratura come una fotografia d’autore in cui far muovere i personaggi come in uno scenario teatrale. Utilizzando archi, finestre, ponti, scale e porticati per costruire cornici nelle cornici, quasi a cercare di incastrare Tom Ripley, che riuscirà però a sgusciare sovente dagli scenari claustrofobici. L’Italia anni 60 immortalata in "Ripley" non ha nulla a che vedere con i toni da cartolina del film di Minghella, ha invece una profondità e una varietà di luci che cercano il confronto con i dipinti di Caravaggio – la cui opera viene citata e mostrata, non a caso, a più riprese.

I lunghi, snervanti dialoghi in cui Tom viene coinvolto da conoscenti sospettosi e dalle forze di polizia non hanno nulla a che vedere con le serie moderne di genere, ricalcano piuttosto gli stilemi dei noir anni 40 e 50, così come i tempi thriller sono quelli dettati dal nume Alfred Hitchcock. Gli otto episodi di circa cinquanta minuti di media non pullulano di accadimenti, si prendono invece tutto il tempo che necessitano per indagare nella psiche e coinvolgere lo spettatore nelle macchinazioni del protagonista. È esemplare da questo punto di vista l’insistenza quasi pornografica con la quale la cinepresa indugia per decine e decine di minuti su Tom intento a disfarsi dei cadaveri. In questi frangenti Zaillian si toglie anche il piacere di qualche virtuosismo action, come nella sequenza mozzafiato del motoscafo a largo di Sanremo.

Già fascinoso Moriarty in "Sherlock" nonché sofferente protagonista della ghost story queer "Estranei", Andrew Scott è un Tom Ripley enigmatico, ambiguo e innervato di una queerness strisciante, e che non teme il confronto con gli illustri predecessori. Che, anzi, approfittando del minutaggio da miniserie, instaura un rapporto di simpatia con lo spettatore, simile in tutto a quello utilizzato per ammaliare e poi tradire i malcapitati sul suo cammino. Le sventurate vittime del parassita sociopatico sono Dickie Greenleaf, interpretato da Johnny Flynn, e Freddie Miles (Eliot Sumner), ai quali fa compagnia una svampita Dakota Fanning nella parte di Marge Sherwood. L’unico personaggio che sembra poter competere con Tom Ripley in quanto a carisma o addirittura poterlo fermare è l’ispettore della polizia di Roma Rivi, interpretato da un ottimo Maurizio Lombardi al quale il cinema italiano farebbe bene a concedere maggior spazio. Gustosa per il pubblico nostrano anche l’apparizione di Margerita Buy nel ruolo di una portiera di palazzo impicciona.

Teso, elegante, stratificato ma non per questo inaccessibile, "Ripley" è un prodotto Netflix che ci auguriamo possa inaugurare una nuova fase per la piattaforma streaming. Nella quale, di fianco alle numerose produzioni elaborate su misura per il pubblico generalista, possano svettare sempre più opere dalla forte personalità, che non sacrifichino la visione dei propri autori in nome di qualche view in più.

Ripley
Informazioni

titolo:
Ripley

titolo originale:
Ripley

canale originale:
Netflix

canale italiano:
Netflix

creatore:
Steven Zaillian

produttori esecutivi:
Steven Zaillian, Garrett Basch, Clayton Townsend, Guymon Casady, Ben Forkner, Sharon Levy, Philipp Keel

cast:

Andrew Scott, Dakota Fanning, Johnny Flynn, Eliot Sumner, Margherita Buy, Maurizio Lombardi

anni:
2024