recensione di Matteo Catoni
7.5/10
Martin Scorsese ama e odia New York.
Il sentimento per la sua città è complesso e sfaccettato, e tramite la sua filmografia è possibile ricostruire il rapporto che lo lega alla "Grande Mela".
"Gangs of New York" è appunto un omaggio a chi con il proprio sangue ha costruito questa metropoli che, come quest'opera tenta di dimostrare, non era il paradiso per gli immigrati di tutto il mondo, ma un vero e proprio girone infernale.
L'inizio è rapido e caotico, e si rischia di cadere nella confusione, vista la rapidità delle sequenze che si succedono, ma in realtà è un espediente per presentare tutta una serie di personaggi che poi si svilupperanno nel corso della storia, che di per sé è quella di una semplice vendetta, ma che in realtà acquista uno spessore ben diverso. Il rapporto tra padre e figlio viene distrutto per mano di una terzo, che porrà termine alla vita del suo nemico, ma proprio quest'ultimo lo ricorderà ogni anno con una festa che celebra la sua vittoria, e sarà proprio quell'orfano cresciuto a diventare il figlio che lui non ha mai avuto.
Ma l'odio per la mano che ha ucciso il padre, la consapevolezza "Che il sangue resta sulla lama" spingeranno il tutto verso l'inevitabile tragedia finale."Gangs of New York" è fatto di uomini, di una galassia di personaggi che si affacciano sullo scenario della vita con i loro difetti e i loro pregi, ma che soltanto possedendo coraggio possono emergere da una situazione di disperazione e miseria, perché la città e troppo grande anche per loro, vive della vita delle persone che la abitano, e non si fa scrupoli nel toglierla loro, quasi che New York si personificasse in un'entità superiore capace di dispensare regole che spettano solo a Dio.
"L'America è nata nelle strade" suggerisce il trailer, facendoci vedere gang che si fronteggiano per il controllo del territorio, ma l'America è nata soprattutto con il sangue e nel sangue di queste persone, con la violenza atroce che il forte impone al debole, che il ricco impone al povero, ed è per questo motivo che Scorsese, a mio avviso, ha realizzato un film in parte scomodo ed anti-americano. La terra della libertà, in cui la democrazia è assurta a primo valore, è stata resa fertile dall'odio che le diverse comunità hanno generato, il crogiuolo di culture che oggi è in parte l'America è sorto sulla violenza e sul terrore; "ma di tutto questo si è persa memoria", ci ricorda Scorsese nel finale del film. Ed è giusto che qualcuno ci venisse a raccontare questa storia, non trasformandola in un action movie all'americana, ma rendendola un dramma d'altri tempi, in cui la storia è fatta dagli uomini e dalle loro azioni. Di "Gangs of New York" rimarranno nella memoria i lunghi e lenti dialoghi tra i protagonisti, fatti di pause, di gesti, di parole che pesano sempre come pietre. E quindi è impossibile non elogiare Leonardo Di Caprio, che finalmente sembra uscito dalla sua crisi post-Titanic, e soprattutto al magnifico Daniel Day Lewis, che sicuramente non aveva bisogno di dimostrare niente, ma che con quest'interpretazione, e non credo di esagerare, entra di diritto nella storia del cinema. Nella scena in cui racconta la sua vita al giovane Di Caprio, c'è tutta l'essenza della recitazione, tutto le emozioni che soltanto un grande attore riesce a farci provare, quando non interpreta un personaggio, ma è il suo personaggio.
"Gangs of New York" non piacerà agli americani, perché ricorderà loro un passato scomodo, e perché non è un film che possiede il ritmo giusto per coinvolgere un pubblico a volte superficiale come quello a stelle e strisce, ma è indubbio che sia un grande film. Sicuramente non è equilibrato in tutte le sua fasi, non sempre le soluzioni narrative sembrano perfettamente omogenee con il racconto, ma sono degli aspetti sui quali, focalizzando l'attenzione sul prodotto finale, si può chiudere un occhio. Un'opera sofferta, attesa, ma che alla fine ripagherà chi avrà il coraggio di vederla senza pregiudizi.
(in collaborazione con
Gli Spietati)
07/06/2008