La miniserie targata Netflix è un riuscito adattamento dello straordinario romanzo di Walter Tevis, che racconta la carriera della giovanissima scacchista Beth Harmon, un’orfana dotata di un talento così precoce e bruciante che le si rivolterà inevitabilmente contro
Con "La regina degli scacchi", titolo col quale è conosciuto in Italia "The Queen’s Gambit", libro di Walter Tevis del 1983, lo scrittore americano ampliava la sua parabola romanzesca sullo sport e il gioco come metafora della vita e sugli eccessi del talento come sinonimo di autodistruzione, iniziata qualche decennio prima con la pubblicazione del suo esordio letterario "Lo spaccone". Un personaggio speculare allo hustler Eddie lo svelto, quello di Beth Harmon: tanto sbruffone e insolente era l’asso del biliardo, tanto cupa ed enigmatica la campionessa delle sessantaquattro caselle, entrambi però accumunati da un talento feroce che li divorava, al pari di quanto accadeva ai malcapitati avversari. Tevis avrebbe voluto dare un seguito alle vicende della giovane scacchista, proprio come concesso all’altro antieroe; un’intenzione rimasta tale, a causa della sua morte avvenuta a soli cinquantaquattro anni.
Nonostante la sua prolificità letteraria sia stata minata da problemi di salute e da una lunga dipendenza dall’alcool – tratti che lo scrittore riverserà in molti suoi personaggi, Beth compresa – con un pugno di romanzi Tevis è riuscito a costruire personaggi dalla profonda umanità, in lotta contro loro stessi, prima che col mondo intero, giustamente riproposti anche sul grande e piccolo schermo. Oltre al già citato film di Robert Rossen con Paul Newman e il seguito di Martin Scorsese, "Il colore dei soldi" con Tom Cruise, ricordiamo il fantascientifico "L'uomo che cadde sulla terra", firmato da Nicolaus Roeg e interpretato da David Bowie, la trasposizione mancata dell’ottimo "Mockingbird", e ora la nuovissima miniserie firmata Netflix, in sette episodi.
A firmarne la regia c’è Scott Frank, che al pari del coautore Allan Scott, ha una lunga e consolidata carriera come sceneggiatore (per Soderbergh, Spielberg e Pollack, tra gli altri): la scrittura de "La regina degli scacchi" è davvero solida e, nonostante qualche licenza, resta molto fedele al manoscritto di Tevis, calibrando situazioni, dialoghi e personaggi, anche quelli secondari, senza prendere improvvide scorciatoie. Va sicuramente lodato, inoltre, il lavoro del cast tecnico, a partire dalle scenografie e i costumi, che seguono la moda degli anni Cinquanta e Sessanta, tra cui spicca il fenomenale guardaroba della protagonista. Beth è interpretata dall’attrice Anya Taylor-Joy, vista in "Glass" di M. Night Shyamalan e nella recente trasposizione da Austen di "Emma" di Autumn de Wilde. Il suo sguardo dolente anticipa la violenta sopraffazione con cui abbatte i pezzi degli avversari sulla scacchiera, inoltre, la sua capacità prismatica nel riflettere gli umori del personaggio la rendono in ogni momento credibile davanti alle difficili situazioni che la vita le presenterà.
Il titolo originale si riferisce alla mossa scacchistica denominata gambetto di Donna, un’apertura del gioco sul lato destro, quella della Regina appunto; un movimento antichissimo e molto giocato, che fa il paio con l’incipit della serie, una riuscita invenzione degli sceneggiatori: dopo una notte brava, una ragazza è in preda ai postumi di una violenta sbornia in un hotel di Parigi. Attesa, fotografata e ammirata, nonché ancora sfatta, scenderà nella lussuosa sala dell’albergo dove l’aspetta la finale di un importante torneo internazionale di scacchi. A sfidarla, ci sarà un Grande Maestro, il campione del mondo sovietico Vasily Borgov, considerato impossibile da battere.
Il lungo flashback ci conduce nel Kentucky degli anni Cinquanta: Elizabeth è una bambina di nove anni rimasta orfana della giovane madre, deceduta in un violento incidente stradale. Affidata a un orfanotrofio femminile, riceverà una rigida educazione ma anche il primo apprendistato alle droghe, sottoforma di tranquillanti somministrati alle giovani ospiti, che Beth impara a gestire insieme alla sua amica Jolene, un’adolescente di colore, la veterana del posto. Nel frattempo, le visite nel sottoscala dell’istituto le daranno l’occasione di conoscere il burbero custode Shaibel (Bill Camp, visto in "Joker"), che le insegnerà i fondamentali del gioco degli scacchi. Di notte, dopo ogni partita, come in un sogno allucinato, la bambina rigiocherà ogni mossa aiutata dai calmanti, dentro la visione sul soffitto delle caselle e dei pezzi.
In seguito, adottata da un’infelice coppia della middle class americana, Beth, dopo le prime incomprensioni, troverà nella nuova madre un’alleata per costruire, vittoria dopo vittoria, una fulminante carriera nel mondo degli scacchisti professionisti. La madre di Beth (interpretata dall’attrice e regista Marielle Heller, autrice dell’ottimo "Copia originale") deve lasciarsi alle spalle un matrimonio fallito, la salute indebolita degli alcolici e la mediocrità della propria esistenza; il talento della figlia, che condurrà le due donne in giro per il continente americano, le darà l’occasione per vivere una seconda chance. È negli episodi centrali, dunque, che si snoda uno dei temi portanti del romanzo di Tevis e della serie: l’emancipazione e l’indipendenza femminile. Siamo negli anni Sessanta, e se il mondo è in fibrillazione per la rivoluzione dei costumi che permetterà alle donne di uscire dai consueti ruoli di moglie e madre assegnati dalla società, l’ambiente scacchistico rimane una solida nicchia per uomini che vede col fumo negli occhi l’affermarsi di una ragazzina. Nonostante la stampa americana si interesserà ai suoi successi, Beth teme a ragione che questo avvenga solo perché lei è, in fin dei conti, una donna, tra l’altro un’adolescente timida e poco appariscente, quasi un fenomeno da baraccone in mezzo allo strapotere adulto e maschile. Tuttavia, da brutto anatroccolo, Beth si trasformerà in un meraviglioso cigno, sorretta da una madre che riesce a farle al contempo da agente ma anche, suo malgrado, da compagna di sbronze, nonché da alcuni talentuosi scacchisti e un affascinante reporter con cui la ragazza intreccerà le prime relazioni amorose, tra ripensamenti e delusioni. Beth resterà una ragazza estremamente sola, per sua natura, e i sentimenti, i rapporti, gli affetti tra le persone continueranno a essere per lei poco gestibili, rispetto a quanto avviene tra i pezzi degli scacchi, dentro il mondo perfetto delle caselle di gioco. Inesorabilmente, farà la sua entrata in scena anche l’altra faccia della medaglia: il talento che, quando è prematuro, totale, sfacciato, com’è quello di Beth Harmon, si rivela anche maledettamente difficile da controllare, perché sferza l’anima come una frusta. Per cui, l’abisso generato dall’alcool e l’uso avventato delle medicine, la cosiddetta discesa agli inferi, non potrà esserle risparmiato.
L’altro interessante aspetto che "La regina degli scacchi" affronta sono i rapporti diplomatici e la rivalità giocata a tutto campo tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica: siamo in un decennio cruciale per le due nazioni e il talento di Beth, che aspira a misurarsi con i campioni russi, i veri maestri del gioco, sarà utilizzato dal governo americano per scopi di propaganda, in funzione cristiana e anticomunista, nonostante la giovane scacchista appaia riluttante, lontana com’è dal considerarsi la paladina di una crociata politico-religiosa. È curioso, anche, come la comunità dei professionisti che ruotano intorno al gioco venga presentata in maniera dissimile nei due Paesi: da un lato, il solidarismo comunitario dei fuoriclasse sovietici, che non mancano di sostenersi a vicenda con consigli e condivisione di pratiche; agli antipodi, com’è facilmente immaginabile, l’approccio americano, individualista e competitivo. Eppure, durante un prestigioso torneo in programma proprio a Mosca, Beth riuscirà a mettere in crisi la scuola sovietica, lasciando che il suo talento solitario trovi la sponda del blocco occidentale, che finirà con l’apprendere così qualcosa dall’altro.
titolo:
La regina degli scacchi
titolo originale:
The Queen's Gambit
canale originale:
Netflix
canale italiano:
Netflix
creatore:
Scott Frank, Alan Scott
produttori esecutivi:
William Horberg, Scott Frank, Alan Scott
cast:
Anya Taylor-Joy, Bill Camp, Moses Ingram, Isla Johnston, Christiane Seidel, Rebecca Root, Chloe Pirrie, Akemnji Ndifornyen, Marielle Heller
anni:
2020