Nel vuoto pneumatico di idee che avvolge Hollywood, tutto va bene pur di battere cassa, anche rispolverare un personaggio leggendario e mai dimenticato come "L'uomo lupo". Difatti, questo "Wolfman" (nell'era della comunicazione globale il titolo in originale è più fico) è un remake diretto del piccolo grande classico di George Waggner datato 1941, con Benicio Del Toro (anche produttore) che prende il ruolo di Lon Chaney Jr. Nessun tentativo di ammodernamento o ammiccamenti al pubblico giovanile (vedi "
Sherlock Holmes" di Ritchie), messa in scena piana e piuttosto fedele alla pellicola originale, senza la volontà -o il coraggio?- di sbandare nella visionarietà barocca di un Coppola ("Dracula di Bram Stoker") o nell'insulso
grand guignol di Branagh e il suo "Frankenstein".
Nelle mani del vecchio mestierante Joe Johnston (nel curriculum tanti film per famiglie, da "Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi" passando per "Jumanji" sino al terzo episodio di "Jurassic Park"), subentrato alla regia a Mark Romanek (talentuoso regista di videoclip che si è scontrato in innumerevoli problemi produttivi), questo "Wolfman" resta ancorato ai livelli di un (costoso, 150 milioni di budget)
b movie: veloce, diretto, occasionalmente divertente (la fuga dal manicomio, con il conseguente inseguimento per le strade di Londra), gustoso in certe incursioni
gore (sangue a litri, teste staccate di netto), piacevolmente retrò nel rinunciare (più o meno) al digitale imperante per affidarsi ai trucchi e al
make up dell'esperto e pluri Oscarizzato Rick Baker. Ma è, appunto, un insulso, assolutamente inutile,
guilty pleasure. Che è poi la medesima critica che si potrebbe muovere a "La leggenda di Sleepy Hollow" (lo sceneggiatore è lo stesso Andrew Kevin Walker), altro tentativo, relativamente recente, di rendere omaggio al filone gotico - horror degli anni d'oro della Universal - Hammer. Solo che in quel caso c'era il selvaggio e miracoloso talento visivo di Burton a fare da collante e a sopperire alle mancanze dello
script; qui, manco quello.
La sceneggiatura di "Wolfman" (che oltre a A.K. Walker porta la firma pure di David Self, vedi "
Era mio padre") è quanto di più raffazzonato e superficiale si possa immaginare, e non fa che riproporre stancamente tutto ciò che il pubblico già sa dei lupi mannari (il rapporto tra la "bella e la bestia", il conflitto tra scienza e paranormale, l'annunciata tragedia finale), senza nessun tentativo di ironia o attualizzazione (non si chiedeva la genialità di Dante, Jordan, o Landis, ma si poteva sperare in qualche incursione camp come in "
Cursed", no?). Del Toro si impegna, ma non riesce a dare spessore, ambiguità o tormento al suo Lawrence Talbot, che resta una macchietta senza spessore (lo stesso si dica di Anthony Hopkins, che gigioneggia senza ritegno), ed è più credibile quando si abbandona a ringhi e ululati sotto il pesante costume da mostro.
Tutto sommato "Wolfman" non è il disastro di cui va parlando la critica statunitense, ma senza dubbio di questa ennesima variazione sul tema del licantropo (e chissà quante altre ce ne aspetteranno dopo l'atroce "
New Moon") non se ne sentiva il bisogno.