Il flirt con la settima arte del più noto detective londinese, Sherlock Holmes, creato dalla penna di Arthur Conan Doyle nel 1887, ha antiche origini, sin dai tempi del cinema muto. Poi c'è stata la lunga (dal '39 al '46), e celebre, serie di film interpretata dal duo Basil Rathbone (Holmes) - Nigel Bruce (Watson), un paio di episodi targati Hammer (con uno spaesatissimo Christopher Lee) sino al fondamentale "La vita privata di Sherlock Holmes" di Billy Wilder, che esplorava i lati più oscuri e ambigui del personaggio (la fallibilità della ragione, la dipendenza dalla cocaina) e a pellicole relativamente recenti, più o meno riuscite (dal giovanilista "Piramide di paura" al disneyano "Basil l'investigatopo"). Il furbo produttore Joel Silver ("Arma Letale", "Matrix") rispolvera il personaggio di Conan Doyle aggiornandolo agli anni duemila, e per renderlo più appetibile al pubblico di Mtv si affida all'(ex) enfant terrible Guy Ritchie, e soprattutto al talento del redivivo Robert Downey Jr.
Lo scrittore Michael Chabon, negli ultimi tempi, nel romanzo "Soluzione finale", ci ha dato una visione di Holmes struggente, malinconica, quasi Eastwoodiana, ma Ritchie, prevedibilmente, opta per altre strade, puntando su risate e azione, mescolando misteri soprannaturali e alleggerimenti ironici, thriller e buddy movie. Quasi tutto il peso del film è sulle spalle di Downey Jr. che interpreta un Holmes senza dubbio intelligente e fermamente ancorato alle leggi positiviste (e razionali) che dominavano l'epoca vittoriana, ma anche anarcoide e trasandato, perdipiù dedito all'alcool e al pugilato clandestino. E, tutto sommato, quest'interpretazione smaliziata del famoso investigatore inglese, funziona e diverte. Così come non stonano i duetti brillanti con la controparte di Holmes, il pacato dottor John Watson (un altrettanto simpatico Jude Law), che tenta disperatamente di convolare a nozze e dedicarsi ad una vita "senza pericoli" (contro il volere del recalcitrante socio-amico).
Un peccato quindi, che la sceneggiatura non si sforzi più di tanto a creare un sottotesto intrigante in cui inserire questi personaggi: il tocco di Ritchie è evidente nel ritmo mozzafiato e in alcune trovate gustose (per visualizzare le fulminee deduzioni di Holmes sdoppia il piano temporale, mostrandoci prima i pensieri del detective, e poi i fatti conseguenti), ma la vicenda che ruota attorno al ritorno di un misterioso, cattivissimo, lord-stregone (con corollario di riti satanici, massoneria e passaggi segreti nelle fogne della capitale britannica) non ingrana mai e sembra un pallido contorno agli scontri Downey-Law. L'operazione puzza perciò troppo di pilot per una serie di potenziali sequel, prova ne è il finale aperto, in cui si accenna al temibile professor Moriarty (arcinemico di Holmes), di cui udiamo la sola voce, senza vederne il volto, ma non si può negare che come sciocco passatempo natalizio, lo "Sherlock Holmes" targato Ritchie faccia il suo dovere.
26/12/2009