Santiago Garcia (Oscar Isaac) ex soldato delle forze speciali lavora come consulente per la sicurezza per la polizia colombiana e partecipa a un blitz in un covo di trafficanti per catturare un pericoloso boss. L’operazione riesce, ma il malavitoso non si trova perché si nasconde in un rifugio immersa nella foresta tropicale dove gestisce i suoi affari e accumula denaro. Garcia decide di coinvolgere i suoi ex compagni d’arme per organizzare l’uccisione del boss e rubare il denaro da dividere tra di loro.
Parte da questo prologo “Triple Frontier” di J. C. Chandor che ci introduce velocemente nella vita di questi uomini che sono tornati alla vita civile. C’è chi si è ridotto a vendere case con scarso successo mentre il matrimonio si sta sfasciando; il pilota del gruppo che rischia un’incriminazione perché scoperto dalla Dea a introdurre droga negli Usa; due fratelli scontrosi, il primo che aiuta i militari in congedo a rientrare nella vita civile e allo stesso tempo ad allenare il secondo impegnato nei combattimenti di arte marziale estrema.
Il regista americano in questa pellicola di azione mette in scena gli attraversamenti di diverse frontiere.
Innanzi tutto, la tripla frontiera del titolo è quella geopolitica, visto che il gruppo di soldati attraversa quella colombiana, dove agisce Garcia, poi vanno in Brasile per derubare il trafficante e, infine, devono percorrere il Perù per fuggire con il denaro. Banalmente, abbiamo un villaggio-mondo in cui il traffico criminale si sposta senza problemi da uno stato a un altro, muovendosi in uno spazio geografico dove regna un’economia sorretta dalla coltivazione e dal commercio di sostanze stupefacenti. Uno spazio in cui la violenza, la sopraffazione e la morte sostanziano il quotidiano delle persone.
Una seconda frontiera è quella fisica. Non solo quella dello sforzo che deve sostenere il gruppo di uomini preparati a combattere e uccidere in condizioni estreme e in tempi ridotti, ma soprattutto attraversando luoghi geografici che vanno dalla foresta immersa dalla pioggia battente, alle montagne andine avvolte nell’aria gelida e dall’ossigeno rarefatto, fino ad arrivare alle rive dell’Oceano Pacifico per prendere un battello che li porti in salvo inseguiti dalla banda di narcotrafficanti. C’è una messa in scena degli elementi naturali – terra, aria, acqua, fuoco – come metafore della durezza degli ostacoli da superare in un mondo in cui le leggi della società civile sono sostituite da quelle di natura che si basano sulla mera sopravvivenza.
Ma la terza frontiera, forse la più importante, è quella etica. Uomini che hanno ucciso e combattuto per il loro paese in diversi campi di battaglia in modo legale, si trasformano in fuorilegge per derubare un malvivente. Il capitano Davis (Ben Affleck), ad esempio, se è il personaggio che in un primo tempo è recalcitrante a partecipare all’operazione, durante lo svolgimento della narrazione sarà quello con meno scrupoli a uccidere e ancora colui che si farà prendere dall’avidità di prendere più denaro possibile dopo la scoperta che la villa del boss ha, letteralmente, i muri piena di mazzette di banconote. Al contrario, invece, dei compagni, i cui scrupoli e sensi di colpa crescono a mano a mano che cercheranno di raggiungere il battello in mare per poter tornare a casa.
Il peso del denaro sarà la causa prima della caduta dell’elicottero e poi della morte di uno dei compagni. I soldi, nel lungo e periglioso viaggio, si perderanno a poco a poco: buttati dall’elicottero per cercare di superare le Ande; persi per la caduta di un asino in un burrone per il cedimento del sentiero di montagna; gettati in un crepaccio per l’impossibilità di trascinarli attraverso le ripide pareti rocciose; persino, infine, bruciati per attizzare un fuoco per stemperare il freddo notturno. Come tante briciole perse, un po’ per volta, in questo viaggio che si trasforma in un percorso di penitenza e redenzione. I personaggi si trovano di fronte al valore della vita e dell’amicizia che è più forte di qualsiasi somma di denaro, fino alla rinuncia finale in favore della famiglia del compagno morto della loro parte, una minima parte della quantità immensa di denaro con cui erano partiti.
“Triple Frontier” ha illustri precedenti per l’ibridazione tra avidità e ossessione della ricchezza come ad esempio “Rapacità” di Erich von Stroheim o Sam Raimi e al suo “Soldi sporchi”, ma anche a un cinema bellico in cui ci sono soldati che organizzano rapine per impossessarsi di un tesoro, come “I guerrieri” di Brian G. Hutton o il più recente “Three Kings” di David O. Russell. Chandor si inserisce in questo filone cercando di portare avanti un suo discorso sul potere del denaro e dei danni che può provocare iniziato fin dalla sua opera prima “Margin Call” e proseguito con “1981: Indagine a New York”. Quest’ultima opera però non ha la stessa compattezza narrativa e solidità della messa in scena delle due precedenti citate. Il regista americano poi appare più a suo agio in ambientazioni metropolitane e perde di un certo controllo quando si tratta di girare in spazi aperti – come era successo anche con “All is Lost” – quasi come se il suo sguardo si perdesse nell’osservazione della bellezza del paesaggio e defocalizzasse la pulsione dai personaggi che si trasformano in comparse.
Uscito sulla piattaforma Netflix, “Triple Frontier” ha avuto una storia produttiva travagliata e il progetto originale del 2010, autore Mark Boal, doveva essere diretto da Kathryn Bigelow. Dopo vari slittamenti e un via vai di star hollywoodiane negli anni, lo script, acquistato da Netflix, è stato rivisto da Chandor, mentre Bigelow e Boal sono rimasti come produttori esecutivi. Forse anche tutto questo ha contribuito a trasformare un film dalle grandi potenzialità drammatiche in una pellicola che non riesce sempre a creare una vera empatia con i personaggi, con cali di tensione e un ritmo inadeguato che ne inficiano il salto di qualità. Chandor, così, con “Triple Frontier” porta a termine un prodotto mainstream sufficiente per una visione disimpegnata.
cast:
Oscar Isaac, Ben Affleck, Charlie Hunnam, Garrett Hedlund, Pedro Pascal
regia:
J.C. Chandor
titolo originale:
Triple Frontier
distribuzione:
Netflix
durata:
125'
produzione:
Atlas Entertainment
sceneggiatura:
Mark Boal, J. C. Chandor
fotografia:
Roman Vasyanov
scenografie:
Greg Berry
montaggio:
Ron Patane
costumi:
Marlene Stewart
musiche:
Disasterpeace