Presentato alla 70a edizione della Mostra di Venezia, l'ultimo film di Terry Gilliam, "The Zero Theorem", arriva sugli schermi italiani con ben tre anni di ritardo, grazie alle stravaganze della distribuzione nostrana. Come la maggioranza dei lavori del regista, di origine americana naturalizzato britannico, componente dei celeberrimi Monty Phyton, gruppo di attori dalla comicità dissacrante e sardonica, con cui collabora nei primi film, anche "The Zero Theorem" ha avuto problemi produttivi fin dalla sua concezione nel 2009: la morte del produttore Zanuck, l'abbandono del protagonista Billy Bob Thorton, il riavvio del progetto nel 2012 con il figlio di Zanuck e Christoph Waltz nella parte del protagonista, Qohen Leth, un hacker psicotico che lavora a progetti informatici astrusi in un futuro distopico.
Gilliam riprende in parte le atmosfere del suo capolavoro "Brazil", descrivendo una società alienata, dove regna incontrastata la Mancom, una corporation mondiale che controlla e produce praticamente tutti i prodotti attraverso un'intelligenza artificiale che si autoalimenta dei progetti informatici che gli hacker come Qohen disegnano senza sapere quale sia lo scopo finale del loro lavoro, legati in postazioni che sono un ibrido tra un cubicolo di allenamento da palestra e un videogame. Del resto, i pochi esterni che si vedono mostrano una società in continua sovraesposizione e sopreccitazione sonora e visiva, dove regna il caos del traffico di veicoli e pedonale, continuamente bombardati da pubblicità interattive, contrapposti al silenzio e decadenza della residenza di Qohen, una vecchia chiesa sconsacrata immersa nell'oscurità. La dimora mette in scena visivamente la confusione mentale ed emotiva del personaggio, che soffre di attacchi d'ansia e di panico, con la paura della morte, e riferendosi sempre a sé stesso con il "noi".
Gilliam narra, nel suo caratteristico modo simbolico e criptico, l'anomia di una società in cui si assiste a uomini malati nella loro interiorità, nella frantumazione della propria essenza di individuo, dove l'infelicità crea un "buco nero" che tormenta il sonno del protagonista. La realtà è talmente carica di sofferenza emotiva e psicologica che a Qohen non basta rifugiarsi in uno spazio fisico ben delimitato, e, come un personaggio beckettiano, rimane in attesa del suo Godot sotto forma di telefonata, nella fede di ritrovare una felicità perduta. La necessità fisiologica lo spinge compulsivamente a richiedere di lavorare da casa "per essere più produttivo". Gli sarà concesso, a patto che si cimenti nella soluzione del Teorema Zero, la cui risoluzione spiegherebbe la nullità dell'universo intero.
In questo tentativo, il protagonista è circondato da personaggi clowneschi come il supervisore Joby; l'adolescente Bob (il figlio del presidente della corporation, malato, genio dell'informatica): dalla psichiatra virtuale (un'irriconoscibile e brava Tilda Swinton, che fa il verso al primo ministro del treno di "Snowpiercer") che lo sottopone a sedute computerizzate kafkiane. Su tutti, però, il personaggio alter ego è Bainsley (un'ironica ed erotica Mélanie Thierry), ragazza squillo, salvatrice di Qohen da un improvvido soffocamento, che diventa la sua amante virtuale, trasportandolo in un mondo sognante e idilliaco, attraverso una tuta connessa al computer.
I temi affrontati da Gilliam sono molteplici e sviluppati nella sceneggiatura in modo frattale, senza mai una reale soluzione (come i vari tentativi di risolvere il Teorema Zero): dalla solitudine dell'uomo contemporaneo alla sconfitta del senso del religioso (la chiesa diventata una residenza con un crocefisso, dove al posto di una testa c'è una telecamera); dall'incapacità di condividere emozioni con l'altro (il sesso virtuale con Bainsley, i colloqui con Bob) alle domande sul senso della vita e dell'universo (il buco nero, dove tutto imploderà); dal consumismo diffuso e pervasivo al controllo totale dell'individuo (ci sono molteplici soggettive e messe in quadro attraverso telecamere nascoste, impersonali, punto di vista extradiegetico di un grande fratello tecnologio-economico); dall'alienazione del lavoro fine a se stesso, con continui orari stabiliti di "scarico dati". Il caos e il caso sono rappresentati da una scenografia altrettanto sporca, decadente, dove il moderno si confonde con l'antico, la contemporaneità è un ibrido di passato e futuro, bloccati in un eterno presente ripetitivo. Un'accumulazione del profilmico che riempie la messa in scena, così come i temi della sceneggiatura, in una matrice fitta e barocca. Il "pieno" visivo e contenutistico è controbilanciato dall'essenzialità dei personaggi, che si muovono sulla scena come i topolini che fuoriescono dalle loro tane inquadrati in dettaglio lungo tutto il film. Una rappresentazione dell'assurdo del senso della vita (o meglio, del non-sense), la sua negazione, il rinchiudersi nella propria interiorità, la sensazione di essere prigionieri in una gabbia, spinti a una frustrante ricerca della verità e della conoscenza, della felicità e del benessere emotivo. Quando Qohen, abbandonato il "noi" e ritornato a un "io", si accorge che l'amore cercato, la felicità agognata (la fuga reale proposta da una Bainsley innamorata, implorante a fuggire con lei) è a portata di mano, ci rinuncia, per un falso senso di fede (la telefonata-Godot che non arriverà mai). Gli rimane allora la rinascita nell'interiorità della sua anima, per trovare un sogno di felicità, un surrogato della realtà desiderata.
Dopo le ultime pellicole insoddisfacenti e poco riuscite di "I fratelli Grimm e l'incantevole strega", "Tideland - il mondo capovolto" e "Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo", Gilliam ritorna al passato con "The Zero Theorem", in un tentativo non del tutto riuscito, ma con un certo fascino scopico e complessità narrativa, in una rielaborazione del suo cinema che ha già raggiunto la maturità in opere precedenti.
cast:
Christoph Waltz, Melanie Thierry, David Thewlis, Tilda Swinton, Lucas Hedges, Matt Damon
regia:
Terry Gilliam
distribuzione:
Minerva Pictures
durata:
107'
produzione:
Zero Theorem, MediaPro Studios, Voltage Pictures, The Zanuck Company, Zanuck Independent
sceneggiatura:
Pat Rushin
fotografia:
Nicola Pecorini
scenografie:
David Warren
montaggio:
Mick Audsley
costumi:
Carlo Poggioli
musiche:
George Fenton
In un futuro distopico, Qohen Leth è un hacker psicotico che lavora per la corporation Mancom. In attesa spasmodica di una telefonata che dovrebbe ridargli la felicità perduta, chiede di lavorare da casa perché non sopporta le persone che lo circondano. Il management lo accontenta per dedicarsi completamente alla soluzione del Teorema Zero. A Qohen si apriranno le porte di un’altra dimensione.