Ispirato al romanzo di Anthony Bruno "The Iceman: The True Story of a Cold-Blooded Killer", il film di Vromen fu presentato fuori concorso e in anteprima mondiale al 69° Festival di Venezia.
Un "gangster movie" che lascia boss e famiglie in secondo piano e si concentra invece sul terminale, il killer che esegue senza domande, come una specie di automa. Probabilmente è proprio il particolare soggetto, "un outsider" lo ha definito Vromen, insieme alla scelta del regista di edulcorare la figura del vero Kuklinski, a spiegare il successo che "The Iceman" ha ottenuto dal pubblico di Venezia.
Un film di per sé visto e rivisto, ma che trova nell'interpretazione di Michael Shannon (già inquietante protagonista in "Take Shelter" di Jeff Nichols e in "My Son, My Son, What Have Ye Done" di Herzog) un indiscutibile valore aggiunto. Dal volto impassibile e sofferente dell'assassino emerge il lato "buono", quel Dr. Jekyll che ha perso il controllo forse (il film vi fa soltanto un accenno) per via di un'infanzia difficile e un padre a sua volta spietato.
Si genera così quell'effetto transfer che condiziona al punto da indurre lo spettatore a schierarsi dalla parte del male. L'anti-eroe diventa eroe, il carnefice mostra i suoi punti deboli, diventa persino vittima, essere umano e come tale degno di umana comprensione. Lo stesso avviene in molti altri film del genere, mi vengono in mente "Carlito's Way" di Brian De Palma, o film nostrani come "Romanzo criminale" e "Vallanzasca - Gli angeli del male" di Michele Placido.
"The Iceman" può collocarsi a metà fra il pentimento di Carlito Brigante e la megalomania di Vallanzasca o della banda della Magliana. Kuklinski non è pentito, ma neppure si vanta del suo operato. Insensibile alla paura e al dolore, uccide senza provare alcuna emozione, nutrendo un profondo bisogno di annientare per sentirsi ancora vivo. E' forse anche questa sua totale indifferenza verso i crimini commessi, a stimolare l'empatia dello spettatore, affrancandolo dalla morsa del giudizio morale.
Per conquistare definitivamente l'approvazione del pubblico, Vromen contrappone al sanguinario Kuklinski, il Kuklinski padre di famiglia. Si scopre così un uomo capace di dolcezza, di amare e di aver paura, un uomo che per proteggere la propria famiglia sceglie di nuovo una soluzione estrema. Fin dal primo appuntamento con la futura moglie Deborah - una Wynona Ryder che ancora si presta al ruolo di ragazzina innocente e illibata tipo "Great Balls On Fire" - e per i vent'anni successivi, tiene nascosta la sua identità, conducendo due vite parallele.
A completare il cast, un quasi fumettistico Chris Evans nei panni del killer gelataio-macellaio e un sorprendente David Schwimmer (il dottor Ross Geller di "Friends") nei panni dell'esagitato cocco del capo. La parte del boss Roy Demeo è affidata al grande Ray Liotta, a dire il vero un po' fiacco (ricorda un po' i due vecchi arresi capifamiglia di "Slevin - Patto criminale") rispetto a come lo ricordiamo - e come possiamo dimenticarcelo - in "Quei bravi ragazzi" (Goodfellas) di Scorsese che a Venezia vinse il Leone d'argento per la regia.
L'epilogo del film non può discostarsi da quanto realmente avvenuto. Triste o lieto fine che sia, Richard Leonard Kuklinski fu arrestato e rinnegato dalla sua famiglia, che non ha rivisto mai più. Condannato a 6 ergastoli, nel marzo 2006 muore nel carcere di Trenton, in circostanze misteriose, poco prima del processo in cui avrebbe dovuto testimoniare contro la famiglia Gambino, accusata di aver ordinato l'omicidio di un detective della polizia di New York.
cast:
Michael Shannon, Winona Ryder, Chris Evans, James Franco, David Schwimmer
regia:
Ariel Vromen
durata:
106'
produzione:
Millennium Films, Bleiberg Entertainment, Untitled Entertainment
sceneggiatura:
Ariel Vromen, Morgan Land
fotografia:
Bobby Bukowski
scenografie:
Nathan Amondson
montaggio:
Danny Rafic
costumi:
Donna Zakowska
musiche:
Haim Mazar