Michele Placido fa un cinema - la cui firma ormai si riconosce in un tocco molto esterofilo e poco nostrano - che appare fragoroso, un po'
alticcio, nella sua esuberante esagerazione. "Vallanzasca" non tradisce il tocco e si conferma "film di genere che rielabora vicende reali" alla Michele Placido.
Come il nostro paese ci ha più volte abituato, alle prime diffusioni dei trailer sui circuiti tv sono seguite polemiche accese e a tratti bizzarre. Nulla da eccepire sulla contrarietà alle azioni violente di cui si è macchiato il Bel René negli anni. Non a caso sconta due ergastoli. Ma visto che parliamo di cinema, il punto qui non è se il film moralmente sia ignobile o meno, il punto è che, cinematograficamente, non ha una sua vera e totale "personalità".
Non che manchi di ritmo o agilità narrativa, questo "Vallanzasca", ma benché Placido possa averlo sperato, non gli riesce di discostarsi poi molto da
"Romanzo criminale". Troppe analogie, troppo simile la parabola criminale di Kim Rossi "il freddo" "Vallanzasca" Stuart, troppa coerenza filmica nella messinscena
action delle due vicende, troppa autoreferenzialità nella scena dei ragazzini che giocano felici - simbolo di un tempo magico e ormai perduto.
La prova di Rossi Stuart poi, egregia nonostante qualche difficoltà col dialetto milanese, non aiuta certo il film ad allontanarsi dalla vicenda della banda della Magliana.
C'è da dire che la cura per la ricostruzione dell'epoca ha il suo fascino. Il virato fotografico verso tratti verdognoli o violacei nelle scene diurne assume quell'effetto
vintage che riporta lo spettatore alla "memoria". Memoria che, per come è stata costruita a livello di sceneggiatura, non tende poi molto all'analisi psicologico-sociale di Renato Vallanzasca e ne giustifica alcune azioni (da qui le molte polemiche). Placido ne segue i movimenti, ne ricrea l'aura di belloccio sopra le righe, a un metro da terra, convinto di girare al massimo, a due velocità in più rispetto al resto della Milano d'allora.
Ecco, indubbiamente è esagerato questo
dipinto di Vallanzasca un po' troppo "bello e dannato". Una sorta di semidio che non perde la calma, che sa sempre cosa fare, che anche di fronte alla notizia della morte del rinnovato amico Turatello - altro personaggio troppo da
Mafia Movie con l'onore nel sangue - esprime il suo dolore con compostezza.
Come detto in apertura, questo è il cinema di Placido. La sua visione molto cinefila, che pesca con arguzia a destra e a manca, soprattutto nel cinema oltreconfine, può non piacere perché a tratti esaspera i toni e a volte appare eccessivamente celebrativa.
Ma guardare tutto ciò con occhio estremamente critico sarebbe comunque un errore. La pellicola ha più d'un pregio (recitazione, musiche
ad hoc) e in buona sostanza porta avanti quel "discorso" filmico iniziato da Placido con "Romanzo criminale". Vedetelo, se volete, come un seguito. Un film di genere che, in Italia, necessita di spazio e nuova linfa e, chissà, magari grazie anche a questo nuovo, non eccelso ma filmicamente dignitoso tassello, potrà avere davanti a sé una strada un po' più spianata.