Nel 1386, la nobildonna Marguerite de Carrouges (Jodie Comer) afferma di essere stata stuprata da Jacques Le Gris (Adam Driver), uomo di fiducia del potente conte Pierre d’Alençon (Ben Affleck). Il marito, l’impetuoso cavaliere Jean de Carrouges (Matt Damon), chiede soddisfazione. Il re acconsente. Le Gris, con sprezzo del pericolo, rinuncia a farsi processare dall’indulgente tribunale ecclesiastico. Il duello si farà.
Tratto da un cruento episodio di cronaca medievale, ma non inganni il titolo, né il sangue; "The Last Duel" è innanzitutto un film politico, in cui un colpo di spada non fa che replicare un genere più ampio e diffuso di violenze, di lacerazioni del tessuto sociale: le spartizioni dei terreni, delle doti, dei cognomi, dei titoli nobiliari, fondate su altrettante repressioni – dei contadini, dei fittavoli, degli oppositori politici, e ovviamente delle donne. Anche la sceneggiatura, scritta a sei mani (Affleck, Damon e Nicole Holofcener), è spartita in quattro parti: l’ultima coincide con il duello vero e proprio, le prime tre ripetono gli eventi che conducono al duello dalle prospettive di Carrouges, di Le Gris e di Marguerite. Un’impostazione alla "Rashomon", in cui tuttavia manca il perno invisibile che sorreggeva l’opera di Kurosawa: l’incertezza.
Tranne che per poche battute e dettagli marginali, le informazioni si ripetono e per lo più combaciano. A partire dalla seconda parte, gli eventi sono più candidi di una tazza di latte rovesciata sulla neve. Il titolo sovrimpresso della terza perde addirittura le ultime due parole e da "La verità di Marguerite" diventa belpietrianamente "La verità". Bisognava giocare di più sulle necessarie incongruenze, le aperte e insolvibili contraddizioni, gli opportuni sfilacciamenti della trama - ma nemmeno si può recensire il film che non è stato e che poteva essere. Sorretto dalla bravura degli interpreti e dalla fotografia livida e spoglia di Dariusz Wolski, "The Last Duel" si riduce piano piano a un manifesto femminista, un #MeToo in costume che traccia puntuali e prevedibili parallelismi con la contemporaneità. La pressione sociale è ubiqua, riassunta dal peso simbolico della croce, che assomiglia pericolosamente all’elsa di una spada; figura geometrica che per sua natura spartisce e separa, non solo cristiani e gentili ma uomini e donne, e anche donne e donne. Marguerite incarna l’esempio virtuoso della donna emancipata che rischia l’onore e la vita pur di raccontare la verità, mentre la parte della donna asservita al patriarcato spetta immancabilmente alla suocera - truccata cerea, nerovestita e con vistoso crocefisso al collo, pare quasi una macchietta ekerotiana.
Etica del duello e femminismo militante, topoi vivaci del cinema di Scott, qui appaiono sterili e svuotati. Il duello non ha il mistero e la grazia de "I duellanti", né il pathos de "Il gladiatore". Il femminismo non si effonde sottotraccia come in "Alien" né si spande euforicamente come in "Thelma & Louise", piuttosto avvolge il dramma con un lezzo di retorica stantia. Traspare già nelle numerose scene Kammerspiel una certa mancanza di finezza, mentre la coreografia del duello, fedele alle cronache dell’epoca, rimane un pezzo di grande cinema. L’unico.
cast:
Matt Damon, Jodie Comer, Adam Driver, Ben Affleck, Alex Lawther, Harriet Walter
regia:
Ridley Scott
distribuzione:
20th Century Studios, Walt Disney Studios Motion Pictures
durata:
152'
produzione:
Scott Free Productions, Pearl Street Films, TSG Entertainment
sceneggiatura:
Matt Damon, Ben Affleck, Nicole Holofcener
fotografia:
Dariusz Wolski
scenografie:
Arthur Max
montaggio:
Claire Simpson
costumi:
Janty Yates
musiche:
Harry Gregson-Williams