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recensione di Federico Romagnoli

Sadao Yamanaka è oggi considerato uno dei più importanti registi giapponesi degli anni Trenta, nonostante dei ventisei film che girò ne siano sopravvissuti soltanto tre: "Tange Sazen yowa: Hyakuman ryo no tsubo" (1935, titolo internazionale: "Sazen Tange and the Pot Worth a Million Ryo"), "Kochiyama Soshun" (1936, titolo internazionale: "Priest of Darkness") e "Ninjou kami fuusen" (1937, titolo italiano: "L'umanità e i palloni di carta").

Sono tre film di elevatissima caratura, che si sono rivelati influenti su alcuni fra i più importanti cineasti giapponesi e che oggi vengono abitualmente considerati fra i migliori titoli di sempre a livello locale. Purtroppo ciò non può che aumentare la curiosità per i tanti lavori che sono andati perduti, dal momento che i tre di cui sopra, in diretta, pur ricevendo tutti recensioni positive, non vennero considerati fra i suoi migliori dalla critica: nelle classifiche dei migliori film giapponesi di ogni anno, pubblicate dalla storica rivista "Kinema Junpo" sin dagli anni Venti, nessuno dei tre raggiunse i piani più alti, che furono invece toccati da "Ashigaru shussetan" (numero 5 nel 1934), "Machi no irezumi mono" (numero 2 nel 1935) e "Kunisada Chuji" (numero 5 nel 1935). Questo non toglie nulla al valore dei titoli sopravvissuti, sui quali oggi si poggia per intero il mito del regista, ma fa sorgere più di un rimpianto.

Un altro fattore da tenere in conto è che la considerazione dei tre film di Yamanaka in Occidente risulta piuttosto distorta. A partire dagli anni Ottanta "Ninjou kami fuusen" ha iniziato infatti a venir distribuito anche all'infuori del Giappone, sempre in circuiti festivalieri, ma riuscendo nondimeno ad accaparrarsi un deciso culto da parte degli addetti ai lavori, che non ha invece interessato le altre due opere, rimaste dentro ai confini della madrepatria fino agli inizi del nuovo millennio: ciò ha portato molti addetti ai lavori a indicarlo con certezza come il suo capolavoro.

In realtà, come si è visto, non solo non è stato considerato tale all'epoca dell'uscita, ma in Giappone la sua presunta superiorità non è chiara neanche oggi: a livello locale, infatti, "Tange Sazen yowa" è altrettanto celebrato. Nel più recente tentativo da parte della redazione di Kinema Junpo di stilare la classifica dei migliori film giapponesi di sempre, nel 2009, "Tange Sazen yowa" si piazzava al numero 7, mentre "Ninjou kami fuusen" al numero 23. Per i loro lettori, quello stesso anno, i due film apparivano entrambi ai bordi della top 40.
In sostanza, sono diventati due classici del cinema locale: ciò va precisato non per togliere meriti a "Ninjou kami fuusen", film di estremo coraggio per la sua epoca, ma per sottolineare che Yamanaka non è un regista che si possa relegare a quell'opera, come talvolta in Occidente accade: di fatto, a "Tange Sazen yowa" in patria viene attribuito lo stesso valore.

Si potrebbe anche andare oltre e sottolineare come, all'infuori della considerazione dei giornalisti e del pubblico degli appassionati, anche "Kochiyama Soshun" si piazzi allo stesso livello degli altri due, anzi l'intreccio della sua trama è forse il più complesso. In breve, dovendo celebrare un film di Yamanaka, si pesca sempre bene.
Per l'articolo in questione è stato scelto "Tange Sazen yowa" in particolare per l'importanza del protagonista, uno dei personaggi immaginari più popolari generati dal Giappone a cavallo fra le due guerre mondiali.

Tange Sazen è un samurai dal volto sfregiato, con un occhio fuori uso e il braccio destro mutilato: creato dallo scrittore Kaitaro Hasegawa (utilizzando lo pseudonimo Fubou Hayashi) nel 1927, vide la luce all'interno di un romanzo a puntate uscito per il quotidiano "Mainichi Shimbun" e dedicato alle gesta di Ooka Tadasuke, samurai e magistrato realmente esistito, vissuto fra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento (nel pieno di quello che la storiografia giapponese identifica come periodo Edo).
La storia era corredata dalle illustrazioni del grande pittore Oda Tomiya, la cui rappresentazione di Tange Sazen colpì a tal punto il pubblico da trasformare un personaggio inizialmente inteso come secondario nel fulcro dell'attenzione.

Il successo fu tale che entro il 1928 uscirono tre film, girati in contemporanea da tre case cinematografiche differenti, tutti e tre intitolati "Shinpan Ooka seidan" (trad. "Le nuove sentenze di Ooka"), così come il romanzo a cui erano ispirati, ma con Sazen promosso al ruolo di protagonista.
Ebbero tutti e tre successo, in particolare quello della Nikkatsu, diretto da Daisuke Ito e con il samurai interpretato da Denjiro Okochi. Nel 1933 Hasegawa decise di riprendere il personaggio per un nuovo romanzo a puntate e da lì la macchina diventa inarrestabile: quello stesso anno esce un nuovo film sul soggetto, sempre a firma Ito e Okochi, ma diversi altri registi e attori lo riproporranno durante tutti gli anni Trenta (nel 1937 nasce addirittura un suo alter ego femminile: Onna Sazen).
Dopo una pausa fisiologica negli anni Quaranta, dovuta ovviamente anche alla guerra, la fama divampa di nuovo nei Cinquanta, prima al cinema e poi, dal 1958, in televisione, con numerose serie a lui dedicate. Okochi rimane a tutt'oggi il Sazen per antonomasia, avendolo interpretato quattordici volte fra il 1928 e il 1954, in particolare nel film oggetto dell'articolo, che ha finito per diventare il più amato dai cinefili.

Uscito il 15 giugno 1935, "Tange Sazen yowa" aveva invero lasciato molto contrariato Hasegawa: a suo avviso infatti Yamanaka aveva trasformato il carattere della sua creatura fino a renderlo irriconoscibile. Pretese così di non essere citato nei titoli d'apertura del film e impose un'intestazione che facesse intendere l'opera come estranea al canone di Sazen: il titolo integrale è infatti traducibile come "Storia minore di Tange Sazen: il vaso da un milione di ryo". Per uno scherzo del destino, Hasegawa non avrebbe visto ulteriori film su Sazen, morendo in quello stesso giugno per un attacco d'asma, appena trentacinquenne.

Il Sazen di Hasegawa, dapprima un samurai che uccide a sangue freddo pur di portare a termine le missioni assegnate, si sviluppa poi in un personaggio capace di agire nel segno della giustizia, benché sempre ammantato da un'aura di tragedia e pessimismo: il film di Yamanaka, che rimarrà il suo unico dedicato a Sazen, lo ribalta invece in una figura comica e dai connotati profondamente umani, pur mantenendo la sua abilità di guerriero e – si presume, dato l'aspetto – il suo passato tormentato.
La scelta in realtà non decostruisce soltanto la figura specifica di Sazen, ma quella del samurai più in generale, guerriero le cui gesta fino a quel momento sono state descritte in tragedie dall'afflato epico e che ora invece mette da parte la violenza, proprio nel momento storico in cui il Giappone va esaltando il valore della guerra.

Non è un caso che il film risulti corale: la locandina d'epoca era incentrata su Sazen per motivi commerciali, ma nel film il samurai è solo una delle tante pedine in un gioco a incastro senza un fulcro preciso. Sono numerose le scene d'insieme, con vari personaggi ripresi in contemporanea, mettendo spesso gli ambienti in risalto, senza ricorrere ai primi piani tipici dei jidaigeki.
A tal proposito va notato come la divisione fra jidaigeki, ossia il film storico, e gendaigeki, ossia film con ambientazione contemporanea, fosse particolarmente sentita all'interno dell'industria cinematografica giapponese dell'epoca (basti pensare che nel 1930 "Kinema Junpo" a fine anno pubblicò al riguardo due liste separate). Yamanaka fu proprio uno dei registi che tentarono con più forza di abbattere la severa separazione stilistica fra i due ambiti, cercando di portare la quotidianità dei sentimenti e delle piccole cose all'interno di un mondo fatto di eroismi e gesti pomposi.

La trama sembra inizialmente divisa in due storie parallele: nella prima, il signore del clan Yagyu regala un vaso a suo fratello Genzaburo, ritenendo l'oggetto di scarso valore e non avendo grande stima del proprio consanguineo. Scopre però che il vaso contiene la mappa per un tesoro dal valore di un milione di ryo (pezzi d'oro usati come moneta in Giappone prima della restaurazione Meiji) e cerca di farlo recuperare da un suo sottoposto, che si reca così presso il dojo gestito da Genzaburo. Quest'ultimo si insospettisce del rinnovato interesse per un oggetto di così poco conto e scopre la verità: purtroppo però la moglie l'ha appena venduto a dei rigattieri ambulanti.
I due cercano di recuperare il vaso, ma l'impresa si rivela più difficile del previsto: Edo, futura Tokyo, era una città enorme già all'epoca. Il vaso nel frattempo è finito in mano a un bambino, figlio di un rigattiere, che lo usa per tenerci dei pesciolini.

L'altra parte della storia è ambientata nella taverna gestita dalla geisha Ofuji, cantante e suonatrice di shamisen, e dal ronin Sazen (il locale offre vari servizi ai suoi clienti: compagnia di donne, musica, tiro con l'arco). Uno degli avventori, preso di mira da due balordi, viene ucciso. Appena prima di morire chiede alla locandiera e al ronin di prendersi cura del figlio. I due rintracciano la sua abitazione, trovano il bambino e lo prendono con loro. Si tratta ovviamente del bambino con il vaso di cui sopra.

Le due storie sono destinate a intrecciarsi e il piccolo miracolo umanista di Yamanaka si compie quando i personaggi, inizialmente ossessionati dal denaro e dall'oggetto prezioso, perdono a poco a poco i propri interessi venali approfondendo la conoscenza degli individui che hanno incrociato il loro cammino durante la ricerca della ricchezza. Il cambiamento avviene gradualmente e il film si trasforma da caccia al tesoro a gestione delle dinamiche della vita di tutti i giorni, senza che questo ne indebolisca il ritmo, grazie ai tempi comici perfetti dei siparietti studiati da Yamanaka.
Il Sazen di Okochi si dimostra a suo agio in questa nuova veste, così come risaltano le performance di Kiyozo Shinbashi – che era una rinomata musicista e in passato era effettivamente stata una geisha – e di Kunitaro Sawamura nei panni della pecora nera del clan Yagyu (sarebbe rimasto il suo ruolo più importante: il resto della sua carriera, fino al 1960, lo vedrà ricoprire perlopiù parti da caratterista).

Dopo aver girato "Ninjou kami fuusen" nel 1937, a Yamanaka, così come del resto al suo collega Yasujiro Ozu, venne rimossa l'esenzione dal servizio militare che veniva solitamente riservata agli artisti in attività. Le motivazioni non sono mai state ufficializzate: pare che per Ozu fu determinante lo scarso successo di pubblico di alcune pellicole, mentre per Yamanaka le voci di corridoio puntano sul sottotesto umanista – quando non tendente a sinistra – delle sue opere, probabilmente inaccettabile in un'epoca in cui i militari assumevano un potere sempre maggiore e lo sciovinismo di stampo imperialista la faceva da padrone.
È giunta ai nostri giorni una foto scattata da Ozu e Yamanaka insieme, all'interno di un campo militare, durante la guerra sino-giapponese: Ozu sarebbe per sua fortuna sopravvissuto, mentre Yamanaka morì in un ospedale da campo in Manciuria per un'infiammazione intestinale, il 17 settembre 1938, a ventotto anni.

Come si accennava all'inizio, l'influenza che ha esercitato sui registi giapponesi successivi è stata decisiva: solo per citare le evidenze più note, Kon Ichikawa l'ha indicato come il suo regista preferito, Kaneto Shindo come colui che l'ha ispirato a entrare nell'industria del cinema, Akira Kurosawa considerava "Tange Sazen yowa" uno dei suoi film preferiti, Nobuhiko Obayashi ha citato "Ninjou kami fuusen" in "Hanagatami" (2017) e ricordato più volte nel corso del film come il regime militare giapponese avesse spedito l'artista a morire in guerra anziché valorizzarlo, infine Kiyoshi Kurosawa ha mostrato un frammento di "Kochiyama Soshun" in "Spy no tsuma" (2020; titolo internazionale, "Wife of a Spy").


14/06/2024

Cast e credits

cast:
Denjiro Okochi, Kiyozo Shinbashi, Kunitaro Sawamura


regia:
Sadao Yamanaka


titolo originale:
Tange Sazen yowa: Hyakuman ryo no tsubo


durata:
92'


produzione:
Nikkatsu


sceneggiatura:
Shintaro Mimura


fotografia:
Jun Yasumoto


montaggio:
Risaburo Fukuda


musiche:
Goro Nishi


Trama
Un aristocratico scopre che un vecchio vaso di famiglia da lui ritenuto senza valore e dato al fratellastro senza pensarci nasconde la mappa per un ricchissimo tesoro. Prima che riesca a recuperarlo il fratellastro lo vende a un povero venditore ambulante, il quale si sbarazza a sua volta del vaso regalandolo al figlioletto. Ovviamente il valore del vaso diventerà presto noto e i tentativi di recuperarlo daranno il via a una serie di equivoci, che coinvolgeranno anche il famigerato ronin Tange Sazen.