"Takano Tofu" è stato il trionfatore della 26esima edizione del Far East Film Festival, aggiudicandosi sia il Gelso d'Oro come film preferito del pubblico della manifestazione, sia il Gelso viola, il premio attribuito dal pubblico che segue il festival online grazie alla partnership con MyMovies.
Il lavoro dell'esperto Mitsuhiro Mihara rielabora su toni più lievi uno dei generi più amati del cinema giapponese, ossia quello shōshimin-eiga che tratta di storie dedicate al lavoro, alle vite e ai dolori della piccola borghesia - spesso in Occidente denominato con la locuzione pseudo-giapponese shomin-geki. Tatsuo Takano, interpretato da Tatsuya Fuji (il protagonista del leggendario "Ecco l'impero dei sensi" di Nagisa Ōshima), è un anziano maestro fabbricante di tofu, alla cui produzione nella sua piccola bottega ogni giorno si dedica insieme alla figlia Haru, anche lei non più nel fiore degli anni. Il tofu di Takano è considerato il migliore da una schiera di clienti affezionati, ma invece di pensare di esportare il suo prodotto anche in altre città, come vorrebbe la figlia, il protagonista lo vende, al limite, al supermercato locale.
Fuji interpreta con perizia uno stereotipo del cinema giapponese, ossia il patriarca testardo e scorbutico ma, al contempo, onesto e puro nei suoi sentimenti e il suo rapporto silenzioso e intimo con Haru è chiaramente esemplato sul modello dei classici di Yasujiro Ozu. Particolare evidenza assume questo tratto quando Takano scopre di doversi sottoporre a un'operazione cardiochirurgica che lo preoccupa tanto da decidere all'improvviso che per sua figlia è tempo di risposarsi. Rispetto ai film di Ozu (o a quelli di Naruse), il clan familiare intorno ai protagonisti si è dissolto: Takano è vedovo da molti anni e il nucleo è composto solo da loro due, affiancati da un coro di personaggi secondari che sono i vecchi compagni di bevute del protagonista. Iniziano le interviste in cui gli amici cercano di scegliere i più valenti single della prefettura di Hiroshima, mentre Takano seguita a essere incontentabile finché non conosce uno chef specializzato in cucina italiana, che ha già conosciuto sua figlia e vorrebbe poter utilizzare nei suoi piatti anche il tofu.
Questa parte, quella spiccatamente più comica, appare quasi una parodia dello shōshimin-eiga: i rituali a cui tutti si prestano sono una pura e vacua rappresentazione di maschere sociali, un gioco di ruolo che viene inscenato come una recita tra amici, tanto da chiamare una studentessa, drammaturga locale, per oliare gli ingranaggi degli incontri. In parallelo, Takano instaura una tenera amicizia con Fumie, una signora incontrata in ospedale, anche lei con qualche acciacco di salute e su cui aleggia l'ombra della tragica eredità della bomba atomica sganciata a Hiroshima.
Mihara lavora all'interno di uno schema narrativo altamente codificato e convenzionale così come la sua messa in scena si inserisce in un canone che rappresenta lo stile piano e disciplinato di molto cinema giapponese sulla classe media. "Takano Tofu" esplora i temi tradizionali dello shōshimin-eiga relativi al rapporto tra padri e figli o, più in generale, tra generazioni diverse (si veda in tal senso il cinismo della nipote che va a trovare Fumie, quando questa è in ospedale). Da una parte c'è il tentativo dei (più) giovani di fondere gusti e istanze diverse in una società giapponese sempre più globalizzata, dall'altra Takano e la fedeltà assoluta alla tradizione e la custodia della memoria di un secolo, il Novecento, che si sta allontanando. "Takano Tofu" è un film nostalgico senza esserlo mai davvero, perché Mihara è abile a non idealizzare il passato, sottolineando la vitalità e le sorprese offerta dall'adattamento al presente.
Tale esplorazione è collocata dal regista in un contenitore formale che incrocia due universi cinematografici: uno è dedicato al cibo giapponese che da "Tampopo" (Itami, 1985) in poi rappresenta quasi un sottofilone e che negli ultimi anni ha avuto una più larga diffusione grazie alle acquisizioni di alcune serie da parte di Netflix: in un genere che potremmo definire feel-good food dramedy, ricordiamo "Midnight Diner", "Samurai Gourmet" e "Makanai" - quest'ultimo è un coming of age interamente girato da Hirokazu Kore'eda. Un secondo riguarda la precisa ambientazione di Onomichi, città della prefettura di Hiroshima situata sul litorale del mare interno di Seto e pertanto molto caratteristica, celebre set della parte finale di "Viaggio a Tokyo" di Ozu (e heimat di molte opere del grande e sottovalutato Nobuhiko Obayashi, nato proprio a Onomichi). Mihara quindi lavora su una regia che all'interno del negozio di Takano osserva con circospezione documentaria la sapienza artigianale del maestro che ogni mattina si sveglia all'alba iniziando la lavorazione dei fagioli di soia, concludendo con l'estrazione del latte di soia e la cagliatura del tofu. La regia si concentra sui piani di insieme dove padre e figlia si prendono una pausa e i dettagli sul tofu, tagliato, soppesato e assaggiato in una silenziosa liturgia di cui si percepisce il riverbero sensoriale. Dall'altra c'è un lavoro iconologico che tende a una riproduzione meno radicale delle immagini di "Viaggio a Tokyo" e, in generale, dello stile ozuiano, prediligendo il campo lungo o medio ai campi lunghissimi del maestro, in un riadattamento contamporaneo e - celierebbe Godard - probabilmente influenzato dalle immagini televisive. "Takano Tofu" è nondimeno un esempio lodevole di cinema popolare in senso alto, capace di creare un senso di intima tenerezza sia tra i personaggi, sia tra questi e il pubblico.
cast:
Tatsuya Fuji, Kumiko Aso, Kumi Nakamura, Riku Kurokouchi, Masato Yamada, Mariko Akama, Katsuya Kobayashi, Jyo Hyuga
regia:
Mitsuhiro Mihara
titolo originale:
Koyadofu Ten no Haru
durata:
120'
produzione:
Shôji Masui, Takao Tsuchimoto, Masahiko Yamakawa
sceneggiatura:
Mitsuhiro Mihara
fotografia:
Shûichirô Suzuki