Il dopo e il prima
Sogo Ishii è un regista invero poco noto in Occidente ma apprezzato dagli appassionati e dagli esperti della Settima arte del Sol Levante, in quanto, a cavallo tra anni 70 e anni 80, è stato l'autore di una vera rivoluzione punk nell'estetica del cinema giapponese, da cui altri autori hanno poi potuto attingere (primo tra tutti, Tsukamoto Shin'ya). In un'intervista, Donatello Fumarola, critico cinematografico e storico collaboratore di Enrico Ghezzi, chiedeva a Ishii un suo parere su Ozu Yasujiro, se vi si confrontasse e su quanto il suo stile e il suo cinema potessero essere considerati di rottura: Ishii, in maniera decisa, definisce Ozu un regista punk il cui stile è di rottura totale. La sua osservazione non sembra frutto di una provocazione ma di una convinzione depositata e da tempo assimilata. Lo stesso regista, negli anni 80, realizzava una delle sue opere più celebri, "The Crazy Family" (1984), che appare come la versione scoppiata dei ritratti di famiglia in un interno di ozuiana memoria, trasgredendo la morale e mettendo alla berlina le ossessioni e le perversioni della middle class nipponica: e proprio Ozu sembra il nume tutelare di un certo cinema giapponese, anche qualora lo si affronti ribaltandone etica ed estetica. Tale doppio salto mortale, tra un passato ormai remoto e uno più recente, ci lascia con un buco temporale, colmato da una generazione di autori che fu a tutti gli effetti di rottura totale, la generazione della cosiddetta nūberu bāgu, la nouvelle vague giapponese. Viene dunque da chiedersi cosa avrebbe risposto l'alfiere di quella nuova onda alla insidiosa domanda di Fumarola, ossia se a quel tavolo ci fosse stato anche Oshima Nagisa che, con veemenza, se non con violenza verbale, si era scagliato e aveva aspramente criticato la mendacità e l'ipocrisia del cinema classico giapponese e, in particolare, l'opera di Ozu.
Oshima è stato un regista politicamente impegnato, un contestatore arrabbiato che ha rotto gli argini dei codici espressivi canonici e contribuito a incrinare le convenzioni di un'industria ancora appoggiata sullo Studio System. I suoi esordi avvengono all'interno di questo sistema che, così come a Hollywood, stava inesorabilmente entrando in crisi: prodotti dalla Shochiku, il parzialmente convenzionale "Il quartiere dell'amore e della speranza" (Ai to kibō no machi, 1959) e lo straordinario "Racconto crudele della giovinezza" (Seishun Zankoku Monogatari, 1960) erano opere ancorate ai generi sebbene, il secondo in particolare, avessero contenuti polemici e un'illustrazione della gioventù giapponese in cui il crimine e la violenza diventavano forme di ribellione a una società alla quale i giovani volevano opporsi e non conformarsi. Nell'opera seconda appaiono di sfuggita le proteste studentesche contro l'Anpo, il trattato di cooperazione e mutua sicurezza tra Giappone e Stati Uniti, che sarà lo spunto per "Notte e nebbia del Giappone" (Nihon no yoru to kiri , 1960), opera spartiacque nella storia del cinema politico e sua primo capolavoro. La pellicola è ambientata durante i festeggiamenti per il matrimonio tra Nozawa, un militante comunista delle proteste studentesche degli anni Cinquanta e Reiko, che appartiene invece ai movimenti del decennio successivo. Se i funzionari di partito lodano il matrimonio come il simbolo di un'unione che deve confluire all'interno del Partito Comunista, vecchi amici della coppia, appena sopraggiunti, inizieranno a rammentare i fantasmi delle proteste precedenti, sottolineando amaramente come dietro quelle frasi di circostanza ci siano i rimpianti e le amare sconfitte di due generazioni. "Notte e nebbia del Giappone" è l'inevitabile punto di riferimento del suo autore quando, all'inizio degli anni Settanta, intraprende la produzione della sua summa artistica e politica: "La cerimonia" (Gishiki, 1971).
La cerimonia: il flashback quale interruttore della Storia
L'incipit è in presa diretta, nel 1971, quando l'enigmatico telegramma "Terumichi morto - stop - firmato Terumichi" interrompe la celebrazione di un altro funerale: Masuo, protagonista della vicenda, è con Ritsuko, cugina di cui è sempre stato innamorato e moglie di Terumichi; insieme intraprendono il viaggio che li porterà alla volta dell'isola dove l'uomo si era ritirato dieci anni prima, abbandonando i suoi cari fino a quell'inaspettato messaggio. Il viaggio diviene in maniera naturale un percorso di agnizione nella memoria di Masuo, che si erge a testimone di questa elegiaca e funerea saga familiare che ha l'abbrivio nel 1947, quando i rinaturalizzati giapponesi residenti in Manciuria rientrano in patria; tra questi, proprio Masuo e sua madre fanno ritorno ripresi in seno al clan Sakurada, da cui proveniva il padre. La prima "cerimonia" è il primo anniversario del padre suicidatosi successivamente alla notizia della resa giapponese e alla dichiarazione di Hirohito riguardo la natura umana dell'imperatore. Tali eventi sono al centro, in maniera esplicita o implicita, di tutto il cinema post-bellico giapponese, quasi un punto zero della storia e della cultura del Giappone che ha costretto un intero popolo a ricostruirsi un'identità, confrontando una tradizione plurisecolare con l'ipotesi di rinnovare profondamente il proprio paese. Se i flashback nervosi di "Notte e nebbia del Giappone", saltando di episodio in episodio, servivano a spezzare la continuità narrativa, criticando dall'interno scelte e atteggiamenti della sinistra militante e contestataria, "La cerimonia" amplifica lo sguardo che il regista volge alla grande rivoluzione mancata dopo la fine del secondo conflitto mondiale: il flashback è qui l'interruttore che illumina l'angolo di un affresco familiare che, completandosi, si riverbera su una endemica crisi morale sancendo la paralisi della nazione nipponica. La storia politica del Giappone non è più in primo piano ma emerge attraverso i personaggi, i loro comportamenti e ciò che lasciano intendere durante le conversazioni; in maniera simbolica Oshima sembra psicanalizzare l'inconscio collettivo del proprio popolo, analizzandone l'indolente umanità frutto di una ripetizione formalistica che pare protrarsi e ripetersi all'infinito fino a smarrire il senso dei propri gesti.
Masuo va interrogando i propri familiari ormai defunti, ponendo domande da cui non trarrà ulteriori conclusioni e raccontando la propria famiglia attraverso le cerimonie che ne hanno segnato la storia; questo coro dei morti, questi fantasmi che si agitano nella memoria dell'uomo trovano il loro padre-padrone nella figura dominante del nonno. Kazuomi Sakurada è un imperatore in miniatura e lo stesso clan è la trasfigurazione in scala della secolare struttura della famiglia (e quindi della società) giapponese, in cui il patriarca possiede un potere pressoché assoluto sui suoi familiari. La forte componente sessuale presente nella rappresentazione dei Sakurada è più presupposta che mostrata; già in una delle prime scene cerimoniali Isamu, lo zio comunista, ironizza su come tutti possano essere figli di Kazuomi e prospetta un albero genealogico in cui il nonno occupa un ruolo promiscuo se non incestuoso: la corruzione è quindi parte integrante del clan, scorre nel suo sangue. Al polo opposto è posta la triste e remissiva zia Setsuko, oggetto del desiderio da parte di tutti - Masuo compreso, una volta cresciuto. Gli episodi che seguono all'infanzia del protagonista, sintetizzata dall'unico momento di innocenza della narrazione, ossia i cugini che giocano insieme a baseball arbitrati dalla zia, riguardano il funerale della madre (1952), le nozze dello zio comunista (1956), il matrimonio dello stesso protagonista (1961) e i funerali di Kazuomi (1971): da tale scansione emergerebbe un bilanciamento tra eventi luttuosi e lieti, ma anche le nozze si concludono in realtà con delle morti. Oshima, che aveva ascendenze aristocratiche, addirittura samuraiche, celebra con "La cerimonia" il funerale della famiglia giapponese.
La notte del matrimonio di Isamu, Setsuko viene ritrovata a un albero, trafitta da una katana, e il nonno asserisce che si tratta di suicidio; durante quella notte Masuo ricorda di aver visto la donna arrendersi alle molestie di Kazuomi prima e ai desideri giovanili di Terumichi dopo e dichiara il suo affetto alla zia, dicendosi disposto a morire con lei. La morte non è un caso o la biologica fine della vita, ma una scelta, un desiderio: Setsuko, forse l'unica donna ad aver amato sinceramente il padre di Masuo, si consuma lentamente alla corte di Kazuomi finché non riesce a trovare un modo per fuggirne e sulla dinamica della sua morte Oshima fa calare una cortina di mistero.
Il capitolo più surreale del film riguarda, però, il matrimonio di Masuo: il giovane si sposa nel 1961, quindi un anno dopo il rinnovamento dell'Anpo, così come ogni evento familiare è posto subito dopo un evento importante della storia giapponese (come accadeva in "Storia segreta del dopoguerra: dopo la guerra di Tokyo", 1970), e il suo matrimonio, fortissimamente voluto dal nonno, dovrebbe mettere probabilmente fine all'attivismo politico annunciato nella cerimonia precedente; all'ultimo minuto vi è la defezione della sposa a causa di un'improvvisa appendicite. Masuo viene abbandonato sull'altare ma Kazuomi non ha alcuna intenzione di annullare le nozze, obbedendo alla tradizione a cui anche il nipote deve sottomettersi: influenzato dal teatro brechtiano, Oshima filma i gesti e le varie fasi del festeggiamento eseguiti come se fosse presente la sposa, fatto che ne sottolinea grottescamente l'assenza. Masuo, inizialmente vittima passiva della decisione del nonno, avrà durante la sua prima notte di nozze un moto di ribellione che spezzerà definitivamente gli equilibri interni.
Il movimento e la paralisi: lo stile di Oshima, ovvero l'anti-Ozu
Dopo il funerale della madre, Masuo viene avvicinato dalla zia che gli consegna il testamento del padre, celato per anni secondo le disposizioni del defunto genitore: la scena è inquadrata in pieno medio per poi staccare sul nonno che li sta spiando. Nella scena successiva, egli interroga i due parenti: anche questa sequenza è "cerimoniale" e Oshima usa lenti carrelli in avanti in cui al centro è posto il protagonista della cerimonia (il defunto) o l'officiante (Kazuomi) e ai lati i familiari; la centralità del patriarca costituisce un elemento di gerarchizzazione della messa in scena che il regista spezzetta piegando il découpage ai suoi fini espressivi. Oshima rivolta la prassi stilistica di Ozu contro se stessa, violando programmaticamente la regola dei 180° e centellinando saggiamente i primi piani, i quali però non fungono quali immagini-affetto o come espressione dei rapporti emotivi tra i parenti, quanto piuttosto quale mezzo per scorgere improvvise pulsioni e stabilire una gerarchia di sopraffazioni. I movimenti di macchina in pan focus permettono di riutilizzare la tecnica del pianosequenza già ampiamente sfruttata in "Notte e nebbia del Giappone": è esemplare la scena canora per i festeggiamenti del matrimonio dello zio Isamu, dove la macchina a mano compie un traballante andirivieni, prima avvicinandosi al festeggiato che intona un canto comunista e ri-allineandosi ai convitati quando un altro zio continua con una canzone sconcia, e il fluido avvicendamento viene interrotto dalla perentoria voce del nonno che produce un netto taglio, con cui si stacca sul suo primo piano: in maniera sottilmente dissacrante Oshima mette in scena però un vecchio che non ricorda la canzone del proprio collegio e viene "sostituito" da Setsuko, di cui la macchina da presa va a cercare la voce, altrove schiacciata dal peso e dalla volontà del tirannico patriarca. Il pianosequenza diviene uno strumento malleabile di ricognizione durante le cerimonie, fotografando l'assenza di cambiamenti di un'assemblea che, emanando già una museale aurea di inumazione, ha rimosso la decomposizione, in un immaginario astratto dai fenomeni biologici della vita.
Quando la prima notte di nozze di Masuo si trasforma in una veglia funebre, a causa dell'incidente che uccide il cugino Tadashi, lo sposo solitario finge di fare l'amore con il cuscino: stavolta in maniera attiva prosegue la recita del rituale che tradisce la propria vacuità, degradando l'individuo nell'abisso dell'automazione. Poco dopo, Masuo estrarrà il cadavere di Tadashi e si deporrà nella bara: è una scena altamente straniante ma che permette finalmente al giovane di infrangere quelle regole alle quali si è superficialmente conformato per tutta la vita, azione che lo tramuta immediatamente in folle, così come dice la nonna. La sequenza è costruita attraverso l'alternarsi di piani fissi e tableaux: la cinepresa che inquadra Masuo togliere il cadavere bendato dalla cassa; il suo entrare dentro la bara mentre gli zii lo biasimano; l'arrivo di Ritsuko e la costituzione di una nuova veglia funebre (a un vivo); Masuo che tira dentro anche la cugina; il sopraggiungere di Terumichi, lieto della ribellione avvenuta. Il connubio tra eros e thanatos, da cui Oshima è affascinato, si polarizza qui nell'attrazione verso la morte: Masuo si sente fin da bambino morto insieme al fratellino che, a suo dire, era stato seppellito ancora vivo e tutti i contatti umani della sua vita saranno spezzati dalla morte. È la proiezione di una pulsione interiore nichilistica che invade la narrazione e si propaga mortifera dall'inizio alla fine: "La cerimonia" conclude il tempo della protesta politica e ratifica la sconfitta etica ed esistenziale causata da quel Moloch oscuro che è stato l'imperialismo nipponico, la cui ideologia non è stata realmente scalfita nonostante le buone intenzioni di più di una generazione. L'unico piano d'azione coerente e funzionale è l'implosione, avviarsi verso l'estinzione: ed è l'estremo piano di Terumichi che scompare per dieci anni per poi avvertire del suo suicidio, non appena letto sul giornale il necrologio del nonno (in realtà suo padre); considerandosi quale unico superstite del clan Sakurada che può proseguirne la stirpe, si toglie la vita mettendo fine alla sua famiglia.
La rappresentazione di Oshima è suggestiva e porta la sua messa in scena dal rigore ieratico e straniante di una messa spettrale ai confini di un paesaggio onirico e allucinato: la macchina da presa penetra lo spiraglio della porta della baita dove viveva l'uomo e mostra sullo sfondo il corpo nudo del morto tra accesissime sfumatura di rosa dell'alba. Avvicinandosi , i due cugini scoprono la lettera che spiega il suo gesto, dopo, Ritsuko consiglia a Masuo di affrettarsi per non perdere la nave, facendogli intuire che ha intenzione di morire col marito: il regista, portando la macchina da presa di fronte ai protagonisti, risolve la scena del suicidio della donna con un'unica inquadratura ad altezza tatami. Ciò mostra un altro tratto dirompente della stilistica oshimiana, ossia la dialettica tra stasi e movimento: nelle scene cerimoniali la macchina da presa si muove lateralmente aprendoci a una scena in cui l'immobilità dei personaggi dona alla scena le sembianze della liturgia. All'astrattismo figurativo de "La cerimonia" contribuisce la palette cromatica virata verso colori falsamente sgargianti, l'oro e l'arancione, incupiti dal blu notte delle pareti e del pavimento degli interni, rendendo le situazioni via via più spettrali anche grazie ai punti luce coerentemente antinaturalistici.
Oshima Nagisa con "La cerimonia" porta a compimento un percorso di fiera e corrosiva opposizione alla tradizione, smantellando la sacralità di ogni "cerimonia", i momenti topici in cui l'istituzione familiare mostra il proprio volto alla società. Con pervicace ambizione il regista fa collassare dall'interno quegli stilemi di rappresentazione cinematografica che aveva odiato da giovane, dirottandoli verso nuovi e dissacranti significati.
10/04/2016