Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
7.0/10

Negli Stati Uniti, la fine cruenta di George Floyd, avvenuta nel 2020, ha ridato vigore al movimento di protesta denominato Black Lives Matter, alla lettera “le vite dei neri contano”, che ha, a sua volta, determinato un profondo ripensamento con il proprio vissuto storico anche da parte dei discendenti degli Amerindi. In seno a queste componenti della società americana, alla rivendicazione di un effettivo godimento dei diritti civili si è così associata una lotta senza quartiere contro gli eventi che ricordano gli atti fondativi della comunità statuale, come il Columbus Day o il giorno del ringraziamento, e i loro monumenti e luoghi-simbolo, quali le statue di Cristoforo Colombo, il monte Rushmore o la roccia di Plymouth. "Stonebreakers", girato dal regista Valerio Ciriaci (da diversi anni negli Stati Uniti) è un valido documentario che attraversa tutte queste linee di faglia dello spirito identitario degli abitanti del Nuovo Continente.

I motivi d’interesse intorno all’opera di Ciriaci risiedono innanzitutto nell’apprezzabile sforzo di rimanere equidistante rispetto alle posizioni assunte sia dai fautori che dagli oppositori dei sopracitati movimenti. Non vi è un intervistatore che compaia fisicamente o vocalmente, come ad esempio accade nei lavori di Michael Moore, quali "Sicko" (2007) e "Fahrenheit 11/9" (2018) o in opere quali "Corporation", di Mark Achbar e Jennifer Abbott (2003), o lo stesso "Unfit: la psicologia di Donald Trump" (2020) di Dan Portland, perchè allo spettatore non è richiesta un’adesione aprioristicamente indotta da un percorso obbligato. L’atmosfera che traspare dal documentario è più quella della sospensione, dell’incertezza, della consapevolezza (questa sì) di vivere un’epoca di trapasso verso qualcosa che non è di prim’acchito chiaramente definibile. Il documentario rende dunque giustizia della complessità, della contraddittorietà, della ricchezza di punti di vista ravvisabili in certi processi storici. Anche le tecniche di regia e montaggio, con meditati fermo immagine o inquadrature che indugiano soprattutto sulle statue, sui monumenti, sulle targhe commemorative sono la presa in carico di uno sguardo pensoso e interrogativo, più che perentorio e preconfezionato, come avveniva, ad esempio, in "Frost/Nixon – Il duello", di Ron Howard (2008).

A evocare la complessità dei temi sul tappeto concorrono lo studio delle inquadrature e il rapporto di queste ultime con il sonoro: quasi in incipit, la statua di Colombo, con la relativa epigrafe in primo piano, e il Campidoglio sullo sfondo propongono la dialettica tra storia e politica, tra passato e presente, tra i valori che avevano ispirato la fondazione della nazione e ciò che in questo senso resterebbe da fare oggi. La diagonale che attraversa il quadro altro non è se non un testimone lanciato attraverso i secoli e rinforzato dall’epigrafe “Il passato è un prologo”. Sì, perché "Stonebreakers", oltre che nelle statue, nei monumenti e nelle targhe, è un film che trova sostanza negli slogan. Scritti o proferiti da una parte o dall’altra, sintetizzano l’assiologia intorno alla quale si innerva la narrazione.

Sempre sul piano della grammatica di regia, l’incisività, la lapidarietà degli slogan unendosi alla complessità di certe inquadrature determinano un effetto straniante. Ad esempio, alle immagini degli attivisti Amerindi che a Rapid City bloccano simbolicamente la strada per il monte Rushmore, si sovrappone il sonoro delle parole di Donald Trump (non inquadrato), che, difendendo il valore profondamente simbolico di quelle sculture, muove un atto d’accusa ai contestatori. Non mostrando né il volto né il corteo del Presidente, il montatore (Andrea Fumagalli) ha dato alla politica ufficiale e alla propaganda la consistenza di una sovrastruttura dalla consistenza fumosa, pervasiva e insistente che ricorda la voice over di Walker, il candidato alla presidenza di "Nashville" (1974), il capolavoro di Robert Altman, col quale questo documentario presenta non pochi punti in comune: l’insistenza sul Lincoln Memorial, che ricorda il Partenone della cittadina del Tennesse, le inquadrature sulla bandiera, la suddetta complessità del quadro sociale e culturale.

Ciriaci ha confezionato un film fatto di slogan ma anche di luoghi, alcuni dei quali assai significativi per gli spettatori del Vecchio Continente, in quanto disarticolano il concetto di America come realtà univoca e monolitica: la colonna in onore dei Confederati a Richmond o le statue del generale Robert E. Lee, per esempio, sollevano l’interrogativo sul perché una parte militarmente sconfitta abbia avuto l’onore di un monumento che, viceversa, è stato negato a personaggi che hanno incarnato le rivendicazioni sindacali, quali Pietro Pete Panto, o Angela Bambace.

Più in generale, la durata del documentario consente poi allo spettatore di avere un quadro geograficamente ampio ma mai tedioso dell’America profonda, che predilige la mimesi alla narrazione, l’inedito al clichè e, tenendosi alla massima distanza dalla serialità televisiva, scava tra i solchi della storia riecheggiando l'opera di Howard Zinn. In conclusione, se si volesse cercare l’affermazione che rende meglio lo spirito del film, dovremmo prendere in prestito le parole dell’artigiano impegnato nel restauro delle statue decollate, il quale, sospendendo il giudizio, afferma che non è riparando una statua che si può cambiare il sentimento generale di un paese.


08/08/2024

Cast e credits

cast:
Gabriella Soto, Joseph Sciorra, Randall Nelson, Ana Edwards, Arielle Julia Brown, Roberto Múkaro Borrero


regia:
Valerio Ciriaci


titolo originale:
Stonebreakers


distribuzione:
Awen Films


durata:
70'


produzione:
Awen Films


sceneggiatura:
Valerio Ciriaci


fotografia:
Isaak Liptzin


montaggio:
Andrea Fumagalli


musiche:
Francesco Venturi


Trama
Stati Uniti, 2020. Da New York al Sud Dakota, da Minneapolis a Richmond, un viaggio nell'America profonda per mettere sotto la lente d'ingrandimento il suo patrimonio identitario.