Il genere cinematografico del docu-film incentrato sulla figura del presidente degli Stati Uniti gode ormai di una certa longevità essendosi ritagliato uno spazio autonomo rispetto al biopic e al documentario tout court. I primi esempi risalgono agli anni 60, quando venne anche coniata l’espressione fly on the wall (letteralmente: mosca sul muro), secondo la quale la mdp, un po’ come un insetto poggiato su una parete, riprendeva senza alcun filtro gesti e parole di John F. Kennedy impegnato nella campagna elettorale. Col passare del tempo il genere si è ovviamente evoluto, dando esiti ovviamente molto differenti, accomunati tuttavia dal fatto che l’azione di mediazione esercitata dal regista ha assunto un peso sempre maggiore. Due casi su tutti, tra loro differenti ma anche con punti di contatto, sono costituiti da “Frost/Nixon – Il duello” (2008), di Ron Howard, che rievoca la celebre intervista all’ex presidente Nixon, coinvolto nello scandalo Watergate, e “9/11” (2004) di Michael Moore, su George W. Bush e l’11 settembre 2001.
La pellicola realizzata da Dan Portland è un film a tesi col quale si vuole mettere in guardia il pubblico, principalmente americano, circa l’affidabilità del presidente Trump. Il lavoro, come ogni tesi che si rispetti, parte da un dato di fatto che è allo stesso tempo un paradosso: in base alle leggi vigenti, mentre per pilotare un aereo militare armato di ordigni nucleari è necessario superare una rigorosissima selezione atta ad accertare il possesso di imprescindibili qualità (affidabilità, coraggio, equilibrio), per svolgere la mansione di presidente degli Stati Uniti non vi è di fatto alcuna prova psico-attitudinale. Fatta questa premessa, si sostiene la tesi (già palese nel titolo) che l’attuale presidente in carica sia inadatto al proprio ruolo e dunque a un secondo mandato. L’assunto è lo stesso alla base di “The Case of Donald Trump” (2007), un libro nel quale tali preoccupazioni venivano sollevate prima che Trump iniziasse il proprio mandato. Nel film invece si analizza il personaggio nel pubblico e nel privato servendosi delle argomentazioni di un comitato (Duty to warn) i cui membri, citati nei titoli di coda, provengono da ambienti assai differenti, ma congruenti nell’esprimere la preoccupazione circa la possibile rielezione di Donald Trump. Si tratta di psicologi, politologi, ex collaboratori o ex esponenti dello staff di Trump, o autori di cronache sportive. Emerge così da diversi punti di vista il ritratto di un uomo (ancor prima che presidente) affetto da narcisismo, paranoia, sociopatia e sadismo. Trattasi di accuse piuttosto pesanti che però vengono efficacemente circostanziate grazie a un montaggio che, a differenza di quanto avviene coi film di Michael Moore, escludendo il regista dal profilmico inanella una lunga serie di episodi facendoli seguire o precedere dalle dichiarazioni del citato Duty to warn. Si alternano dunque le dichiarazioni del presidente rilasciate via Twitter, Facebook, o con comunicati ufficiali, interviste alla stampa, comizi, trasmissioni televisive e via dicendo. Vi è anche una curiosa testimonianza circa la sua propensione a barare in occasione delle partite di golf, sport in cui notoriamente, non essendoci veri e propri arbitri, la lealtà dovrebbe essere dote scontata dei partecipanti. Oltre che di immagini di repertorio, il montaggio si avvale di disegni animati che, grazie alla estrema semplicità del formato, permettono un morbido passaggio da un punto all’altro delle argomentazioni. Sotto questo aspetto qualcosa di simile si è già visto in un altro docufilm proveniente dagli Stati Uniti: “The Corporation” (2003), di Mark Achbar e Jennifer Abbott.
“#Unfit: The Psychology of Donald Trump” non è un film politico, giacchè non è dell’orientamento politico che si parla; è piuttosto un’opera incentrata sulla personalità di Donald Trump, e il fatto che una buona parte del “Duty to warn” sia costituita da psicologi e psichiatri potrebbe far storcere il naso al pubblico italiano, mentre risulta del tutto comprensibile per un americano, per la cultura americana. La ragione affonda le sue radici nel passato. Nel 1964 infatti l’allora candidato repubblicano alle elezioni presidenziali Barry Goldwater fu indubbiamente danneggiato da una pubblicazione della rivista “Fact”, frutto di un’inchiesta in cui oltre 12.000 tra psicologi e psichiatri rilasciavano un loro giudizio circa la salute mentale del politico del Nevada. All’indomani della propria sconfitta che spianò di fatto la strada al secondo mandato di Lyndon Johnson, Barry Goldwater fece causa e fu pecuniariamente risarcito. Sul piano giuridico, tuttavia, negli anni 70 si stabilirono due nuove regole. Da un lato la cosiddetta Goldwater Rule, secondo la quale per psicologi e psichiatri diventava immorale divulgare diagnosi su “pazienti” che non fossero i loro e senza l’assenso di questi ultimi. Dall’altra fu però sancita la regola di Tarasoff, in base alla quale i medici hanno l’obbligo di rendere noto il concreto rischio che un individuo compia un reato o arrechi un danno alla collettività. Come si vede la questione è controversa perché vi è una sorta di limbo giuridico nel quale il regista ha saputo incunearsi. Ma egli ha l’indiscutibile il merito di fare luce su alcuni aspetti della cultura del Nuovo Continente poco noti oltre Atlantico: il rapporto tra l’immagine pubblica di un leader e i comitati che spuntano come funghi in favore delle cause più disparate, il confine tra scienza medica ed etica professionale, il potere effettivo di un presidente e quello dei mass media quando divengano antagonisti.
Essendo “#Unfit: The Psychology of Donald Trump” estraneo al sensazionalismo e al pettegolezzo della vita privata, e dal momento che, come già detto il regista non compare col microfono nell’atto di porre al presidente domandi imbarazzanti che lo condurrebbero teleologicamente su un campo minato, il film appare come un onesto prodotto della cinematografia americana.
cast:
Malcolm Nance, George Conway, John Gartner, Lance Dodes, Justin Frank, Ramani Durvasula, Anthony Scaramucci, Suzanne Lachmann, Rick Reilly, William Kristol, Richard Painter, Ruth Ben-Ghiat, Cheryl Koos, Sheldon Solomon
regia:
Dan Portland
titolo originale:
Unfit: the Psychology of Donald Trump
distribuzione:
Wanted Cinema
durata:
83'
produzione:
Dan Portland, Scott Evans, Omar Haq, Art Horan, Adam Hayman
sceneggiatura:
Dan Portland
fotografia:
Guy Mossman
montaggio:
Scott Evans
musiche:
Tree Adams